Il maestro dell’Architettura Modernista
«L’architettura non è un quadro, un edificio resta sempre visibile agli occhi di tutti e non si può evitare. Per questo bisogna avere nervi saldi e accettare le critiche»
(I.M.PEI)
Il 17 maggio scorso è mancato l’architetto cinese naturalizzato statunitense Ieoh Ming Pei, meglio noto come I.M.Pei. Aveva compiuto 102 anni, ma era gravemente malato da qualche anno. La sua carriera ebbe inizio disegnando grattacieli per un costruttore immobiliare; ben presto però divenne uno degli architetti più importanti del Novecento.
Cinese naturalizzato americano, nato a Canton il 26 aprile 1917, Pei è stato, anche per i non addetti ai lavori, colui che ha trasformato il Louvre e il modo di intendere i musei, soltanto con una Piramide: esattamente quella piramide da lui realizzata tra il 1983 e il 1989 in cemento, vetro e acciaio, che oggi definisce e caratterizza il nuovo ingresso del museo parigino, capace di accogliere nove milioni di visitatori all’anno. Secondo la critica, lo spazio della Cour Napoléon sarebbe potuto diventare un parco giochi, ma invece Pei seppe magistralmente riorganizzare l’intera corte, inserendo quei pochi ma incisivi elementi geometrici, divenuti nel tempo decisamente tipicizzanti.
Ma la storia di Pei non è certo racchiusa solo in quella Piramide.
Primo cinese a vincere il premio Pritzker nel 1983, quell’architetto magrolino ma molto elegante, che indossava sempre e unicamente un paio di occhiali da vista dalla montatura rotonda, seppe trasformare il Modernismo (a lungo considerato troppo freddo e rigoroso per esprimere la grandeur), in uno stile adatto anche ad importanti edifici pubblici, musei e università.
Da sempre i suoi progetti hanno giocato sulla purezza geometrica, senza aggiungere mai troppi ornamenti (al massimo rievocando un tocco vagamente orientaleggiante) e sui materiali innovativi quali il vetro, il cemento e l’acciaio. Grazie al suo stile apparentemente minimal , ma in verità assai costoso, Pei assunse il ruolo di archi-star, amato e apprezzato dal bel mondo e dai personaggi potenti, molti dei quali oltre che amici, divennero suoi clienti: a partire da Jackie Kennedy, che gli commissionò la John Kennedy Library di Boston (1965-1979) e che lo frequentò anche dopo il matrimonio con Onassis (celebre una foto di gruppo in un ristorante dell’Upper Side newyorkese), al presidente francese François Mitterrand, che nel 1983 lo incaricò appunto di cambiare letteralmente il volto del Louvre; da Steve Jobs, per cui nel 1972 disegnò l’appartamento privato di due piani nel San Remo Building, alla Famiglia Reale di Doha, che gli chiese di realizzare l’Islamic Museum di Doha (2008).
Dunque un progettista che come ebbe a definirlo David Adjane fu «capace di lavorare con leggerezza, eleganza e grande qualità con regine e presidenti e con grandi investitori e associazioni umanitarie no-profit» .
Un elenco veramente importante di progetti e realizzazioni, che si apre nel 1948 con una prima collaborazione con l’immobiliare Webb and Knapp, proseguendo con la fondazione nel 1955 di un primo studio, I.M.Pei & Partners, che nel 1989 avrebbe cambiato denominazione in Pei Cobb Freed & Partners ( riconoscendo il lavoro di due degli storici collaboratori di Pei, James Ingo Freed e Henry N. Cobb), passando, soltanto pochi anni fa, in mano agli esperti e sempre dotatissimi, suoi quattro figli.
L’immaginario collettivo di Pei resta principalmente legato a mega-strutture molto mediatiche: il National Center for Atmospheric Research di Boulder in Colorado (1961-1967), il John Hancock Building di Chicago (1967-1976), l’ampliamento della National Gallery di Washington (1974-1978), il Fragrant Hill Hotel di Pechino (1982), il Meyerson Symphony Center di Dallas (1982-1989), la Torre della Banca di Cina a Hong Kong (1982-1990), il Four Seasons di New York (1994), la Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland (1987-1995), l’allargamento del Deutsches Historisches Museum di Berlino (2003), la nuova sede della Regione Lombardia di Milano (2004, unico lavoro made in Italy), il Martha Stewart Center for living del Mount Sinai Hospital di New York (2006), l’Ambasciata della Repubblica popolare cinese di Washington (2006).
«Ha realizzato alcuni dei progetti più belli di questo secolo, — recitava la motivazione del Pritzker— ma il significato delle architetture di Pei va oltre la limitazione del tempo, passando dalle ragioni del passato all’attenzione per le nuove forme di energia».
Un’attenzione per il passato che arriva da lontano, dalle radici familiari di Pei: la famiglia di Pei era assai benestante. Il padre era stato prima direttore della Banca of China poi governatore della Banca Centrale; risiedevano in una bellissima dimora a Canton, chiamata il Giardino del Leone della Foresta, che, proprio per la sua magnificenza, fu inserita nel patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Proprio da quell’universo sarebbero scaturiti i suoi edifici tutti vetro, acciaio e cemento; edifici faraonici secondo i critici che tutto sommato, non hanno mai amato più di tanto lo stile di Pei, ma che però sapevano giocare con le luci e le ombre della natura, diventando veri e propri simboli di architettura.
In fondo, la strabiliante Piramide del Louvre, capace di catturare ogni minima variazione del cielo parigino e di strappare ancora fotografie e selfie persino a la Gioconda di Leonardo Da Vinci, è la conferma della filosofia di Pei: «L’arte, l’architettura, la natura posseggono la stessa essenza spirituale e il mio sogno è trovare l’armonia tra tutti questi elementi».