I giorni delle strade deserte
Conosco questa città da oltre cinquant’anni, l’ho vista felice nei grandi eventi, preoccupata nelle avversità come nei giorni dell’ Alluvione, ma sempre attiva e operosa.
Il silenzio di questi giorni mi è nuovo: il turismo non era tanto intenso un tempo e certi luoghi, come le piccole strade del centro, non erano mai tanto frequentate; comunque, seppur non affollati, anche gli angoli di quartiere più reconditi erano vissuti dai fiorentini che, con la loro innata vivacità, rendevano meno ordinaria la vita quotidiana.
Adesso invece tutto si è ovattato, fatto silenzioso, come quando ti svegli un mattino e scopri che la tua città è stata coperta da una coltre di candida neve. Chiuse le scuole, gli impianti sportivi, i luoghi di culto; boutique vuote o quasi. Le piazze più belle e i musei che tutto il mondo ci invidiano sono vuoti. Nessun turista intento a scattare fotografie ai monumenti, impugnando il cellulare in una mano ed una guida nell’altra: anche le opere d’arte sono sole ad affrontare questo momento di grave crisi.
I fiorentini sono tutti a casa o, paradosso dei tempi del coronavirus, tutti al supermercato.
I luoghi più belli hanno un aspetto surreale. Sui lungarni si cammina senza incrociare nessuno. Piazza del Duomo è semideserta, vuoti i locali. Non c’è nessuna fila per entrare a visitare Santa Maria del Fiore. Niente code nemmeno davanti alla Galleria degli Uffizi e Piazza Signorianon è mai stata così vuota. Una tragedia, a dire poco. Peggio della guerra, perché nessuno l’ha dichiarata e nessuno immaginava che sarebbe potuta succedere.
Gli autobus transitano con pochi passeggeri, forse solo quelli obbligati dalle necessità; nei musei, mostre ed eventi sono stati tutti rinviati. Gli Alberghi, i ristoranti, i tanti locali pubblici e privati sparsi lungo le strade, sono pronti ma paiono come in attesa, messi in pausa.
Mi incammino verso la stazione di Santa Maria Novella e un po’ più di movimento c’è, ma non sembra un sabato senza le scuole in attività, quando i ragazzi, suonata la campanella di mezzogiorno, di solito si riversano in centro e scherzano, allegri. Di gruppi in giro non se ne vedono. Al massimo coppie. Il traffico scorre veloce, poche auto a occupare le strade.
Ma dalla Firenze spettrale a quella affollata è un attimo. I fiorentini sono nei mercati rionali. Meno di un sabato qualunque, è vero, ma in Piazza delle Cure, per esempio, c’è chi fa acquisti: frutta, verdura, carne. Meglio stare all’aperto a fare la spesa, è più sicuro.
Capisco che forse non tutti hanno afferrato il messaggio.
La mia città, Firenze, per il momento non rientra né in zona rossa né in zona gialla. Non parlo in codice, ormai tutti conoscono il significato di queste definizioni.
Il fatto è che, purtroppo, in Italia come nel resto del mondo, stanno circolando due virus:l’uno biologico, il coronavirus; l’altro immateriale, quello che definirei il virus della paura, enfatizzato da taluni, deriso da altri.
Forse perché costruito troppo spesso su chiacchiere da bar, su superficiali impressioni: si tratta però di un virus pericoloso, che vivendo in questo secolo riceve una copertura mediatica che non ha visto precedenti per nessun evento o catastrofe occorso nell’Italia contemporaneama che è capace, se mal interpretato, di diffondere il panico come altresì di paralizzare gli sforzi necessari a contenere la diffusione dell’«altro» virus (quello vero), di dilatare ulteriormente gli effetti sull’economia e di disunire ancora più di quello che già è, il popolo italiano.
Il termine stesso di contagio, in cui s’intrecciano i concetti di diffusione, epidemia, infezione, trasmissione, fa paura a molti, fa paura anche a me, lo ammetto. Angosce, paure, reazioni emotive appartengono al presente quanto al passato. Ritengo pertanto che sia giusto ricordare che occorre “addomesticare” la paura ed “operare” secondo ragione.
Personalmente, per motivi personali, ho già vissuto i miei anni di emergenza: ho già dovuto vivere nel rispetto di restrizioni e regole igieniche come quelle suggerite adesso da questo virus dilagante: che dico, ho fatto di più, relegata per mesi in camere sterili, isolata dal resto del mondo da chi mi poteva dare il sostegno di cui abbisognavo con un abbraccio vero concreto, fatto di carne e di ossa: non è stato facile ma ne sono uscita più fortificata di prima ed ho imparato tanto.
Ho imparato che nella vita la rinuncia alla vita sociale e la limitazione dei contatti in generale non significano accettare un’ansia imposta senza motivo o la chiusura degli individui nella diffidenza e nel sospetto. Al contrario sono da considerarsi un atto di responsabilità, di affetto, di rispetto nei confronti del prossimo come di noi stessi, delle persone che amiamo.
Noi italiani, adesso, dobbiamo essere rigorosi. E per «noi italiani» non intendo chi ci governa, ma noi cittadini. Tu che leggi, io che scrivo.
Certo, è uno choc. Ma non c’è altra strada da seguire per fermare il virus. In Cina, dove una dittatura ha imposto il coprifuoco, il contagio sta ormai da giorni rallentando. Noi dobbiamo fare altrettanto senza che nessuno ci punti contro il fucile ma “solo” per senso di responsabilità. L’economia ne risente, certo: ma ne risentirà molto di più se non seguiremo alla lettera quello che ci viene chiesto di fare.
La scienza riuscirà col tempo a mettere a punto un efficace vaccino e adeguate cure terapeutiche: io confido in questo, confido in Dio e nelle risorse umane. Per questo dobbiamo cercare di concedere il meno possibile a questo Virus.
Spero che alla fine (perché sicuramente ci arriveremo), il superamento della situazione contingente porterà ad un nuovo e più consapevole equilibrio; un necessario miglioramento dei rapporti umani, dei giusti valori, di quanto sia bello partecipare e trasmettere amore con un abbraccio (reale e non solo virtuale) che in molti, con l’avvento di internet e dei social, avevano dimenticato!
Sono certa che Firenze ed i fiorentini ne usciranno migliorati e rinforzati: questa città lo urlava a gran voce già da tempo.
Adesso tace, costretta ad un forzato silenzio.
Però vi assicuro che è bella anche così!