Finale degli Europei di calcio oppure …”Derby del Cuore”?
Per buona parte degli italiani, probabilmente, non sarà così ma, per gli abitanti della città di Firenze, la finale che si disputerà tra poche ore al Wembley Stadium di Londra, tra la Nazionale italiana e quella inglese, per affrancarsi il titolo di campioni d’Europa, è da considerarsi un vero e proprio derby.
Questo perché la sfida calcistica tra Inghilterra e Italia, vista con la prospettiva del fiorentino d.o.c., diventa uno scontro fra due genie contigue eppure diverse o, se preferite, una sfida tra due popoli che si sono sempre frequentati ma che al contempo hanno comunque mantenuto le debite distanze l’uno dall’altro.
Adesso non ce lo ricordiamo più: è comprensibile, ci siamo assuefatti al turismo di massa, a orde di stranieri che invadono la nostra città, in estate come in inverno. Anche se provenienti da paesi diversi, per via del loro flusso e afflusso, ci paiono tutti uguali. Ma prima, prima non era così. Qualche lustro fa la nostra Firenze era la città d’oltremanica più inglese di tutta Europa: la comunità anglosassone nell’Ottocento proliferava sulle rive dell’Arno. Addirittura, fonti d’archivio riferiscono che essa fosse pari ad un terzo della popolazione locale!
Tutto ebbe inizio a partire dal XVII secolo con il Grand Tour, quel viaggio di formazione che i giovani e ricchi aristocratici europei intraprendevano nell’Europa continentale per conoscerne l’arte, la storia, la politica. L’Italia, per il suo immenso patrimonio artistico, era una meta privilegiata. In particolare Roma, Napoli e Venezia nel corso del Settecento si affollarono di gentiluomini inglesi, francesi e tedeschi che venivano alla scoperta dell’arte classica. Tra di loro numerosi artisti, come i pittori che eternizzavano su tela le splendide vedute con rovine di Roma o i trafficati canali veneziani, e scrittori che documentavano le loro esperienze nei diari di viaggio (Goethe, Chateaubriand, Montesquieu) e romanzi ambientati in questi luoghi. A partire dall’Ottocento fu però Firenze a suscitare un crescente interesse, una riscoperta iniziata anche grazie al Romanticismo e agli studi di John Ruskin, che esaltava l’arte due-trecentesca di Giotto e Masaccio. Frotte di angloamericani si riversarono in città, non solo per le sue bellezze artistiche, ma anche perché si poteva vivere nel lusso a minor costo rispetto alla madrepatria e perché il clima mite leniva malattie polmonari come asma e tubercolosi. Ultimo ma non ultimo, si facevano buoni affari esportando arte e artigianato locali.
Nell’arco degli anni, a questo modo si creò una folta comunità di angloamericani che perlopiù si stanziarono nelle ville sui dolci colli intorno alla città: famose sono quelle a Bellosguardo, come la villa di Constance Fenimore Woolson che ospitò niente meno che Henry James mentre scriveva il Carteggio Aspern, o villa Montauto dove soggiornò Nathaniel Hawthorne, che qui scrisse Il fauno di marmo.
Spesso non interessati a mescolarsi con la società del luogo, si isolavano nelle loro ville, ritrovandosi a sorseggiare tè nei salotti da cui passarono anche Oscar Wilde e Edith Wharton. David Herbert Lawrence, per esempio, soggiornò sulle colline di Scandicci, presso villa Mirenda, uno splendido luogo in cui trarre ispirazione dalla bucolica campagna toscana per scrivere il suo scabroso e più famoso romanzo, L’amante di Lady Chatterley.
E come non menzionare poi Elizabeth Barrett Browning, la quale scelse Firenze come città d’elezione dopo un’avventurosa fuga dall’Inghilterra con il marito -sposato in segreto, contro la volontà paterna- e poeta Robert Browning! Arrivata in Italia nel 1846, scelse di vivere a Firenze, nel piano nobile di Casa Guidi, a pochi passi da Palazzo Pitti. Da qui scrisse i versi appassionati che sposavano la causa risorgimentale italiana, di Casa Guidi Windows e qui ricevette intellettuali e artisti dell’epoca.
Erano una comunità numerosa, questi inglesi. E parlavano un buffo toscano con accento decisamente anglosassone tanto che i fiorentini, con la loro tagliente ironia, in men che non si dica, li soprannominarono gli anglobeceri!
Ma, anche se si tenevano un po’ ai margini della vita sociale e politica italiana, tutti questi inglesi avevano scelto di vivere a Firenze.
Frequentavano i caffè letterari, facevano gossip nei salotti delle loro ville, leggevano le riviste straniere presso il Gabinetto Vieusseux, passeggiavano al parco delle Cascine e ammiravano le cappelle affrescate nella basilica di Santa Croce. Lo stesso scrittore Richard Lassels nel suo An italian voyage descrisse Firenze come una delle meraviglie del mondo.
Firenze incantò tutti e il suo fascino è rimasto immutato nei secoli. Basti ricordare quando in un ormai lontano aprile dell’anno 1985 anche i principi del Galles soggiornarono a Firenze, in un viaggio che segnò il massimo grado di popolarità per Diana, accolta dalla folla entusiasta.
Molti sono stati gli angloamericani che hanno poi donato le proprie collezioni d’arte alla città (vedi il Museo Horne e il Museo Stibbert); ancora altri l’hanno immortalata nelle proprie opere, come Edward Morgan Forster con la sua Camera con vista. Alcuni hanno addirittura scelto di rimanerci per sempre, anche dopo la morte, nel Cimitero degli Inglesi, in piazzale Donatello (è il caso della già menzionata Elizabeth Barrett Browning).
È vero, forse oggi di questa tradizione non resta molto ma, a dimostrazioni degli antichi fasti, ci rimane ancora tantissimo. Musei, cimiteri, quadri e poemi a parte, ci restano anche il roast-beef e la zuppa inglese!
Ma, soprattutto, ci resta quella meravigliosa idea che Firenze sia stata una città davvero magica che seppe stregare e incantare personaggi tanto altezzosi e raffinati.
Insomma, per farla breve, tra poco a Wembley la nostra squadra di calcio nazionale disputerà la finale degli europei di calcio. Potrà vincere come perdere… ma per Firenze e per i fiorentini, il vero derby con gli inglesi, quello che conta, è già stato vinto da tempo … E a mani basse!