Strane amicizie
Quando si vede un gabbiano che si libra nel cielo non si può far a meno di pensare che il suo volo sia sinonimo di libertà.
Come nel famoso romanzo Il gabbiano Jonathan Livingston scritto dalla penna di Richard Bach, aviatore e scrittore statunitense e pubblicato, con grande successo di pubblico, nel lontano 1970: più che un libro, una dedica a quel gabbiano Jonathan che vive dentro ciascuno di noi. Meglio ancora, forse potremmo definirla una fiaba, ispirata dalle gesta di Jenny Livingston, un pilota acrobatico che pare essere stato molto attivo negli anni 1920/30.
Nel romanzo di Back, Jonathan il gabbiano, non è un gabbiano come tutti: bello e forte, desidera migliorare il suo volo, salire verso l’alto per la curiosità di scoprire nuovi mondi, nuove tecniche, nuovi modi di vivere. Egli non vuole certo restare a svolazzare disordinatamente per procurarsi qualche briciola lasciata dalle barche. Ma lo Stormo non comprende questa sua aspirazione: occorre obbedire alle regole della tradizione, pena l’esilio. Così il giovane reietto, da solo, con dispiacere, ma anche con tenacia, se ne vola lontano per coltivare il suo sogno di migliorare quanto più possibile la tecnica del volo, fino a raggiungere la perfezione.
Un libro che mi piacque molto leggere, vuoi per il suo linguaggio chiaro, molto comprensibile, vuoi per il suo tono, che come dicevamo in principio, profuma di fiaba: una metafora del cammino verso la perfezione e quindi, verso la comprensione finale dell’essenza della vita, che è bontà, amore e condivisione con gli altri delle nostre conquiste.
Un libro il cui argomento mi fece molto riflettere per il consiglio che vi è insito: migliorarci, sempre. E imparare ad insegnare agli altri ciò che abbiamo capito, perché soltanto innalzandoci potremo conquistare la libertà del nostro spirito, capire il passato, programmare il futuro, muoverci ovunque con il pensiero. Soprattutto capire che l’esistenza è bontà e amore.
Così leggevo quando ero ancora adolescente e correvano gli anni Ottanta.
Adesso, ai nostri giorni, mi si è presentata sotto mano un’altra bella storia che vede come protagonista, ancora una volta, un gabbiano e la sua incredibile amicizia con un pescatore. I fatti sono accaduti realmente in terra toscana, a Marina di Carrara; e poiché questa volta non è la fantasia di un romanziere a dare il La -bensì trattasi di una storia vera- ho pensato di raccontarvela io stessa.
Un legame particolare e indissolubile, nato circa dieci anni fa tra Angelo il pescatore, e Nello, un gabbiano che lo stesso Angelo aveva salvato dalle reti in cui era rimasto impigliato tra le onde del mare apuano: un’amicizia coltivata trascorrendo ore ed ore insieme su una barca da pesca, giorno dopo giorno. Lui, il gabbiano, fermo a prua come a indicare la rotta. L’altro, il pescatore al timone.
Proprio come nelle migliori storie d’amicizia, l’incontro tra i due è stato del tutto casuale e inaspettato. Racconta Angelo: «Una decina di anni fa, in una delle mie quotidiane uscite con la barca da pesca, ho visto questo piccolo gabbiano impigliato in una rete con un anellino legato alla zampa».
L’uomo si ferma per soccorrere il volatile, lo libera dalla rete, e come prassi, lo affida poi al Wwf affinché i veterinari ne controllino lo stato di salute e lo curino prima di rimetterlo in libertà. Ma quando le autorità riportano a Marina di Carrara il gabbiano guarito perché ricominci a volare libero, ecco che accade la magia. «Ero lì. Il gabbiano ha fatto un piccolo volo vicino alla costa però, nel giro di poco, è tornato indietro – racconta Batti – e si è appollaiato sopra al capannone da pesca. All’inizio non ho dato peso alla cosa perché pensavo che dovesse solo riabituarsi pian piano a volare». Invece sono passati i giorni, le settimane, i mesi e anche gli anni, e il gabbiano non si è mai allontanato troppo dal magazzino sul molo di Marina di Carrara. Anzi, ogni giorno ha preso sempre più confidenza con i pescatori. «Quando al mattino uscivo con la barca da pesca, lui volava sulla prua o in qualsiasi altro punto della barca e rimaneva lì con me. Aveva sempre l’anellino legato alla zampa, impossibile confonderlo con qualcun altro – racconta Batti –. Proprio per l’anello alla zampa ho deciso di chiamarlo ‘Nello’, è il nome giusto per lui».
Da quel momento in ogni uscita in barca, Angelo e Nello condividono ore e ore tra le onde e sono diventati quasi indispensabili uno per l’altro. «Sono dieci anni che mi accompagna in mare. Nel tempo si è creato la sua piccola famigliola di gabbiani, che talvolta vengono sulla mia barca. Ma Nello è Nello, come lui non c’è nessuno»!
Un altro esempio di vita, di amore e dedizione che vede ancora per una volta un gabbiamo protagonista.
Insomma, ancora una volta Richard Bach aveva ragione: l’esistenza è amore.
E gli animali hanno davvero molto da insegnare a noi umani. Forse sarebbe il caso di cominciare a prenderne atto.