Il Rito del Te’
Il mio primo significativo incontro con il tè avvenne a Firenze in un pomeriggio di primavera, quando, ancora collegiale, fui invitata dalla signora Brunetta, mamma di Fiormaria, mia compagna di studio, ad una incontro tra amici nella sua dimora, situata nel centro città, ad un passo dal Duomo.
Dopo i vari permessi ottenuti, ambedue rivestite a festa con la divisa del collegio, fummo prelevate da Gioni, aitante giovanotto, fratello di Fiore, resosi gentilmente disponibile al desiderio della mamma. Il tratto di strada era breve, per cui arrivammo in Via dei Pecori, prima di tutti gli invitati.
L’appartamento, mai visto prima, spazioso e luminoso mi accolse trasmettendomi un senso di calore, accentuato dall’accoglienza della signora Brunetta, come fossi un’altra figlia. Il salotto riservato all’incontro era ampio ed invitante: divani e poltrone erano disposti in maniera da poterci camminare attorno; un tavolo, appoggiato alla parete, rivestito di una candida tovaglia di lino, era colmo di vassoi, al momento coperti, mentre ai due lati estremi erano appoggiati tazze, piattini, posate e tovaglioli, pronti per l’uso. Un pianoforte, posto ad angolo, raccontava l’amore di Gioni, provetto pianista, per la musica. Dalla finestra prospicente la strada, irrompeva nella stanza un fascio di sole che mi attirò tanto da volere penetrare in tutto quello splendore, per poi sporgermi e conoscere quale visione Firenze offriva di sè: il Battistero, la Cupola, il Campanile erano appena lì, quasi da poterli toccare. Fu un dono inaspettato!
Esisteva una Magia che potesse sradicarli, rimpicciolirli e deporli in bella vista sul mobile del salotto? Sarebbe stato il regalo di Mara fanciulla per la signora Brunetta. Intanto Fiormaria stava aiutando la mamma a togliere le coperture ai vassoi, che esplosero per la loro diversità e abbondanza. Su una metà del tavolo era disposto il salato: stuzzichini dalle varie fogge e sapori diversi, tartine al salmone e al formaggio, muffin alle olive nere, piccole ciambelle al mais, patatine salate e altro più. Sull’altra metà del tavolo, il dolce: biscotti di sfoglia, frollini alla rosa, madeleine, biscottini alla mandorla, dolcetti di vari sapori, ciotoline di creme caramel e zuppa inglese, bicchierini con mousse di ricotta alle fragole. Al centro, un’alzata a tre ripiani con un trionfo di frutta e fiori, dominava per la sua magnificenza. Quale fanciulla venuta dalla campagna, rimasi dapprima attonita e poi entusiasta di tale munifico spettacolo.
Poco prima delle cinque, gli ospiti iniziarono a giungere accolti dalla signora Brunetta, che li attendeva vicino all’ingresso, ricevendoli con saluti e complimenti. Quando il benvenuto ebbe termine e gli ospiti, con soddisfazione, si erano accomodati sugli invitanti divani a conversare, la signora Brunetta, spargendo attorno ampi sorrisi, si diresse verso la cucina -regno da sempre della tata storica di casa- per rientrare non molto tempo dopo, seguita da Fiore, spingendo un carrello corredato di tutto il necesssario, anzi di più, per sevire ciò che a quell’incontro, dava il significato: il Tè
Sul piano superiore del carrello, un’importante servizio in argento, -corredo antico della Famiglia, completo di teiere fumanti, lattiera, zuccheriera, piatto per il limone, più piccoli accessori- faceva mostra di sé, allusivo e invitante, molto invitante. Solleticava il desiderio!
Gli ospiti, signore e signori, che già si erano compiaciuti del salato erano ora pronti a sorseggiare quel tè di aromi e gusti diversi, versato con grazia dalla padrona di casa per proseguire e concedersi nel contempo, un’ampio assaggio di tutte quelle invitanti e dolci delizie, tutto compiuto con molta signorilità, non scevra di sotteso compiacimento.
Il rito si era svolto e proseguiva ancora in perfetta armonia, come se un esperto e sensibile Regista fosse intervenuto a curarne le varie sequenze. E non solo quello! L’ultimo tocco fu l’intervento di Gioni che, improvvisamente sedutosi al pianoforte, fece risuonare le note armoniose e dolcissime di Al chiaro di luna di Beethoven, quasi per rendere più nostalgico il commiato dagli amici. Provai, allora, un non so che d’incanto e commozione!
Ma non solo Mara! Cercai con gli occhi Brunetta e la trovai appoggiata alla parete, immobile, con gli occhi socchiusi. Penso che stesse assaporando il plauso sincero del figlio e degli amici quale ringraziamento per l’impegno e il risultato di quella riunione, davvero speciale. Più tardi nel tempo, compresi che, in quel pomeriggio di maggio, a Firenze, era avvenuto un incontro, mai dimenticato, anzi approfondito nei suoi significati: il rito del te’.
Il secondo significativo incontro, non meno istruttivo, avvenne più avanti quando sempre fanciulla fui invitata dagli zii Carlo e Bruna a trascorrere con loro una vacanza.
La meta era Tripoli, capitale della Libia, posta sul limitare del deserto sopra una parte di terra rocciosa, protesa nel Mediterraneo, formando una baia, in quel momento di maggio nel suo pieno spendore: il mare di un intenso blu, le spiagge dorate e il sole splendente che vestiva di luce i pizzi delle palme, ondeggianti nel vento. Gli zii risiedevano in una confortevole villa con ampio giardino nel quartiere residenziale, vicini al centro storico, insieme alle tre figlie, ancora giovanissime: Luciana, Laura e Liliana, la più piccola,formando una famiglia molto unita, solare e gioiosa in cui il motivo conduttore del vivere era il sorriso. All’ora del pranzo, mamma Bruna chiamava a raccolta: «Bimbe venite, arriva Papà!» Quando Papà giungeva, l’aperitivo era pronto; ma la cosa bella era assistere all’interesse che lui nutriva per le figlie, me compresa. Rivedo ancora lo splendore del volto di mia Zia, bellezza bruna illuminata di sole, come non dimentico il loro prodigarsi per me, pronti sempre a dedicarmi del tempo per rendere interessante e piacevole il mio soggiorno: visite ai luoghi storici di Sabratha e Leptis Magna, gli incontri con gli amici, il mare.
Allo zio, per incarichi conferiti dal Governo Italiano e vivendo a Tripoli da anni, era stata concessa l’opportunità di incontrare i personaggi più significativi del luogo, con i quali intratteneva rapporti molto cordiali.Un mattino giunse un elegante biglietto, nel quale la Principessa Fathma Caramanli invitava a palazzo, per un Tè, zia e nipote.
La famiglia Caramanli, una delle dinastie più antiche e rappresentative del Paese, aveva guidato la Tripolitania per oltre un secolo (1710-1835), lasciando un ricordo di fasto e di benessere. Quel gesto della Principessa fu apprezzato molto da zia Bruna, felice di accompagnare la nipote in una dimora così prestigiosa. Pure Mara era curiosa e bramosa di conoscere gli usi e i costumi di quella parte del mondo per lei inesplorato.
Il giorno dell’invito, ambedue addobbate convenientemente, eravamo pronte a raggiungere, prima delle cinque, il palazzo, situato nel centro storico: la Medina, racchiusa entro mura antiche, era un luogo dove fluttuava la vita. Le botteghe dei maestri: orafi, sarti, tappetai, ceramisti e altri, creavano un’atmosfera carica di molteplici frequentazioni, dove era consuetudine che le donne vi transitassero vestite con gli ampi barakani, bianchi, rossi o blu e velate da lasciare scoperto soltanto un occhio. Non solo, questo accadeva dove il passato e la storia avevano lasciato i propri retaggi e le tante testimonianze: palazzi, statue, fontane, moschee ! Di queste, la più significativa, la Moschea Caramanli, munita di venticinque cupolette e completa di svettante minareto, era al centro della Medina. A fianco della Moschea, da fare quasi tutt’uno, il palazzo.
Arrivandoci, dopo aver attraversato tutto quel fremore di vita e di bellezza, un poco confusa ed eccitata, fummo accolte con premura e accompagnate attraverso vari locali fino al salotto personale della Principessa, la quale ci venne incontro con affettuosa amabilità.
Lei, Fathma, con il viso scoperto appena ambrato, dove gli occhi grandi e scuri brillavano ammaliatori, era molto avvenente. Indossava un Suddara, il costume nazionale ricco e setoso: pantalone largo, ripreso al ginocchio per poi ricadere fino a terra, mentre una blusa a maniche ampie, dello stesso tessuto di seta, lasciava intravedere una preziosa camicia di pizzo. Un corpetto ricamato in oro la cingeva fino alla vita e un velo inbrillantato le copriva i neri capelli, lasciando ammirare i lunghi orecchini e la collana in filigrana d’ oro, che le cadeva sul petto. Era veramente bella! Aveva le movenze di una dea, spostandosi in quel salotto, non grande, con pochi mobili, ma rigurgitante di cuscini di seta colorata.
Non ricordo esattamente i pensieri e le sensazioni di quel momento, davanti a quell’insolito spettacolo. Non era tanto il vedere, quanto il percepire nell’aria quel non so che di magico, quasi fiabesco, che vi aleggiava. La Principessa ci fece accomodare su due poltroncine, quasi a fianco e lei, adagiandosi su un divanetto di fronte, prese un campanellino dall’ampio tavolo basso, decorato con tarsie d’avorio, posto fra noi, e lo suonò ripetutamente. La porta si aprì e una donna vestita più semplicemente e senza barakano, depose sul tavolo un grande vassoio d’ argento colmo di una immensità di cose, con al centro un bricco fumante: il Tè.
Alzandosi con grazia, la Principessa, come per iniziare una consueta cerimonia, con gesti misurati e abili, versò il Tè, biondo e trasparente, in alti bicchieri di vetro colorato, decorati con oro a rilievo e li porse alle due ospiti, suggerendo, con un gesto, di servirsi dal ricco vassoio. Mentre il profumo del Tè e della menta prese ad espandersi nell’aria, fui pronta ad approfittare di tutte quelle invitanti leccornie, che erano, pure, una gioia per gli occhi : tartine salate, dolcetti, biscotti leggeri, datteri, rotolini di mandorle, fichi secchi ripieni, quadratini al miele e consistenti scaglie di zucchero. Il tutto accompagnato dal Tè, più volte servito.
Mentre le due Signore conversavano piacevolmente, oltre che spelluzzicare, io continuavo a sgranocchiare tutte quelle bontà, fino a quando la Principessa suonò il campanello e la donna apparve per ritirare il vassoio. Mi era piaciuto! Ero sazia e contenta e unendomi alla conversazione, risposi con piacere alle domande curiose e interessate della Principessa, che parlava correttamente l’italiano. L’atmosfera che spirava su tutti quei colori setosi era intima e felice. Poi il campanello risuonò, non permettendomi più di adagiarmi in quella beatitudine.
La porta si aprì, lasciando entrare il solito grande vassoio ripieno e fumante che un attimo dopo riposava sul tavolo basso, offrendo lo stesso spettacolo, uguale e diverso. Per chi era tutta quell’abbondanza? Guardandomi attorno e notando la tranquillità delle due signore, capii che tutto era normale. Perché la zia non mi aveva avvertita? Era impossibile mangiare ancora.
Poichè il mio pensare era muto, la Principessa, nuovamente, mi stava porgendo un bicchiere di Tè, dal colore carico come l’ oro antico e con un sorriso accattivante, mi incitò a gustare tutte quelle fantasie.Ero sovraccarica! . Però, nella scia del dovere di rispetto, un poco stordita, scelsi a caso dei pasticcini speziati, ricchi di miele e un dolcino ripieno di frutta, che aiutati dal Tè, riuscirono a scendere dalla mia bocca.
Quando la donna riapparve al suono del campanello per togliere, di nuovo, l’immenso vassoio, mi sentii sollevata e cercai di rientrare in un socievole comportamento. Ma, ahimè, la tranquillità fu breve. Dopo l’identico rituale, ella rientrò, per la terza volta, con il solito enorme vassoio, traboccante di altre nuove creazioni, alla vista, molto accattivanti. Quello che mi colpì fu il martelletto appuntito, per frangere la stecca di zucchero, alcuni dolcetti coperti di caramello e un insieme di noccioline varie e pistacchi, oltre, ovvio, il bricco del Tè …fumantissimo.
La mia capacità di accettazione, però, si era esaurita, anche se il Tè, che tenevo in mano, nero come il caffè, emanava un aroma intenso, pieno di profumi speziati. Mi mossi irrequieta sulla poltrona e volgendomi verso la finestra, che avevo a fianco, guardai fuori. Le palme, immobili nel caldo sole pomeridiano, mi fecero comprendere la misura del mio inconscio desiderio.
Improvvisa, una mano gentile tolse dalle mie labbra il bicchiere del Tè, e con un tocco leggero, facendomi alzare, mi spinse oltre una tenda, che nascondeva un portoncino: il giardino era lì. La Principessa Fathma aveva seguito il mio sguardo e aveva compreso. Anche se il mio pensiero era immoto, non lo erano i miei occhi!
Piccole aiuole di prato verde, delineate da vialetti di pietra, che seguivano un disegno ad arabeschi, regalavano un aspetto di armoniosa fantasia, come fosse un grande tappeto variegato. Le palme, poste al centro di ogni aiuola, stavano svegliandosi, sollecitate dalla serale brezza di mare, facendo vibrare la raggiera di foglie appuntite che, complice il sole, disegnavano sul verde dei prati, vividi ricami. Un luogo di pace!
All’ improvviso, il silenzio che mi avvolgeva, fu rotto dalla voce cantelinante del Muazzin, che dall’alto del Minareto, al di sopra, chiamava i fedeli alla preghiera.
Anche per me, giunse il momento del richiamo: le due signore mi attendevano sulla porta. Pensai che, in quel pomeriggio, molto mi era già stato regalato, senza ancora averci aggiunto, salutandoci, l’abbraccio pieno di affetto della magnifica Principessa.
Mentre tornavamo verso casa, Zia Bruna fece ancora più luce nei miei pensieri, ridendo per non avermi edotta sulla cerimonia del servire il Tè con tanta abbondanza, e mi spiegò che, per la tradizione araba, offrire il Tè agli ospiti era un rito, quale benvenuto nella loro casa, divenendo sinonimo di amicizia e cordialità. Comunque era felice di avermi accompagnato in quel luogo pieno di bellezza.
Per ” IL RITO DEL TE ‘ “, un proverbio arabo canta :
IL PRIMO BICCHIERE E’ DOLCE COME L’ AMORE
IL SECONDO BICCHIERE E’ FORTE COME LA VITA
IL TERZO BICCHIERE E’ AMARO COME LA NOTTE