Per un pugno di brillanti
Certo che il destino alle volte è ben strano, si disse la donna, non più giovane, ma ancora bellissima, che seduta alla sua scrivania, sfogliava lentamente alcune carte.
E lei ci credeva al destino, ci credeva eccome, così come credeva alle predizioni, ai tarocchi, ai vaticini.
Era nata lo stesso giorno dell’Imperatrice d’Austria, la leggendaria Elisabetta di Baviera, anche se quasi quarant’anni anni dopo, come lei era sempre stata ammirata per la sua bellezza, ma a differenza di questa, lei era nata in una famiglia povera ed umile; beh almeno c’era da sperare che non avrebbe avuto un destino tragico come quello della povera Sissi, uccisa a neppure sessant’anni da un pazzo anarchico, si disse mentre si ammirava in un piccolo specchio a mano che teneva sempre vicino.
Si guardò con aria critica, certo l’ovale, una volta perfetto, del suo viso, un poco aveva ceduto, qualche ruga maligna le sciupava il nitore della pelle, ma gli occhi erano ancora due profondi pozzi oscuri, il piccolo naso perfetto era ancora incantevole, cosi come la bocca sensuale ed anche il suo corpo scultoreo aveva resistito bene agli attacchi del tempo.
Era nata povera lei, eppure aveva salito vertiginosamente le scale del successo e della fama; i suoi amori non si contavano, gli uomini che per lei avevano perso la testa erano stati tantissimi, e c’era stato un periodo della sua vita, in cui ogni suo gesto veniva esaltato ed aureolato di leggenda.
Davvero la natura era stata generosa con lei! Non solo le aveva dato una bellezza che diventava ogni giorno più sfolgorante, ma le aveva anche donato una bella voce da soprano. Forse non una voce eccelsa, ma con la quale aveva potuto cantare nei maggiori teatri del mondo.
Aveva interpretato eroine appassionate, come del resto lo era stata sempre lei, dedicandosi ai melodrammi che gli autori veristi sfornavano in quegli anni. Mimì, Santuzza, Nedda, Tosca, Manon, Fedora, Thais, erano state portate da lei alla ribalta con un tocco di passione e di sensualità che cantanti forse maggiormente dotate di lei dal punto di vista della vocalità, nemmeno si sognavano.
Come l’avevano soprannominata gli americani? Ah sì ...The kissing primadonna, la primadonna che bacia! E tutto per un bacio veristicamente, forse troppo veristicamente appassionato che lei e Caruso si erano scambiati alla fine del duetto della Fedora! Come si erano scandalizzati! Aveva portato alla ribalta i loro desideri nascosti e pruriginosi ed i giornalisti di mezzo mondo ci avevano ricamato sopra!
Eppure fra lei e Caruso non c’era stato nient’alto che quel bacio incriminato. Forse in un altro momento, ma lui era troppo preso dalla sua passione per Ada Giachetti, troppo triste, per far sì che tra loro nascesse qualcosa di più profondo e forse era meglio così. Due stelle come loro non avrebbero potuto vivere in modo normale un rapporto sentimentale.
Era stato un periodo magnifico quello a cavallo fra i due secoli, quello che ora chiamavano Belle Epoque! Bastava che vi fosse il suo nome in cartellone e la gente correva, non solo per ascoltarla (e per non lesinarle critiche) ma per ammirare le sue mise ed i gioielli (veri) con i quali andava in scena.
I gioielli erano sempre stati la sua passione, pensò mentre accarezzava la collana di brillanti che aveva voluto indossare pur essendo mattina. Li amava e ne aveva ricevuti tanti dagli uomini che si erano innamorati di lei. Inoltre lei era stata saggia, oculata e pur vivendo lussuosamente era riuscita a mantenere un buon patrimonio e non aveva avuto mai bisogno di vendere quelle testimonianze di un’epoca tramontata.
Anche adesso che c’era la guerra non aveva sofferto ristrettezze. Aveva solo paura, tanti anni prima un’indovina le aveva predetto che sarebbe perita per un incidente di guerra, ma adesso che dalla pensione di Via Tornabuoni, si era trasferita nella piccola villa alle pendici del Poggio Imperiale, tanti timori se n’erano andati.
In quel mentre il fischio lacerante delle sirene che annunciavano un bombardamento, venne a riscuoterla dai suoi pensieri. Arnaldo, l’avvocato con il quale da anni viveva si precipitò nello studio seguito dalla cameriera che portava una preziosa pelliccia.
«Forza Lina, su vieni, presto, non senti che ci sono aerei che stanno sorvolando Firenze?»
Lei si alzò e buttandosi la pelliccia sulle spalle lo segui fuori dalla villa verso il rifugio che era approntato lì vicino, mentre il rombo degli aerei nemici stava diventando sempre più forte.
Era già uscita, quando un pensiero la folgorò: «I miei gioielli– urlò- non posso lasciarli così, li ho tirati fuori dalla cassaforte, chiunque potrebbe rubarmeli!» e si voltò per tornare indietro.
«Tu sei pazza – le urlò Arnaldo prendendola per un braccio – chi vuoi che ti tocchi i tuoi dannati gioielli»
Ma Lina non lo ascoltò nemmeno e divincolandosi dalla presa si precipitò di nuovo dentro casa, dirigendosi verso il suo studio, mentre l’uomo esasperato le correva dietro.
Qui giunta, si slanciò verso il cofanetto stringendoselo al seno e voltandosi verso la porta per uscire. Non riuscì neppure a fare nemmeno un passo: un boato terribile sconquassò la casa mentre il soffitto crollava seppellendo lei e l’uomo che l’aveva seguita, mentre l’aereo americano che si era alleggerito del suo carico di morte si allontanava dai cieli fiorentini.
Moriva così, a sessantanove anni Lina Cavalieri, colei che era stata definita da Gabriele D’Annunzio, “la massima espressione di Venere in terra” e “la donna più bella del mondo”, artista celebre ovunque, amata ed osannata, detestata e stroncata dalla critica.
La sera i corpi di Lina e di Arnaldo furono estratti dalle macerie. Lei era ancora bellissima, quasi che la morte avesse rispettato la sua leggenda; solo la forza dell’esplosione aveva conficcato la collana di brillanti nelle sue carni, unendo in modo indelebile ladonna ed il gioiello.