Un amore di figlia
«Reverendissimo et amatissimo signor padre, umilmente le raccomando il riguardo della di lei salute et a questa mia accludo poche frutta candite al gusto suo. La prego, se ne avrà tempo et possibilità, di inviarmi un poco di panno di lucchesino affinché io et la Livia ne potessimo ricavare un corpetto che il freddo qui morde assai …»
La fragile suora, dal viso non bello ma dolcissimo anche se sciupato, interruppe per un momento di scrivere e posando la penna, si sfregò le mani, nel vano tentativo di riscaldarle. Il freddo era terribile quell’inverno ed il convento non disponeva di mezzi sufficienti per poter tenere al caldo le suore che vi risiedevano.
Era un convento povero quello di San Matteo in Arcetri e le monache, se non fossero state soccorse da qualche anima pietosa, avrebbero seriamente corso il rischio di morire di fame. Ora poi che l’inverno era così rigido, non si contava il numero delle malate che tossivano l’anima e stentavano a guarire.
La porta della cella, debolmente illuminata da una povera candela di sego, si aprì bruscamente ed un’altra suora entrò nella stanza. Dai lineamenti si intuiva che era parente stretta della prima, ma quanto nel volto di questa vi era di dolce e quieto, nella seconda totalmente mancava.
Pareva che un odio antico, una rabbia sorda ancorché repressa trasparissero non solo dai movimenti rapidi e duri della persona, ma anche dalle linee del volto e dai lampi che le attraversavano gli occhi.
«Non ho bisogno di chiederti cosa tu sia facendo vero?» fece con un sarcasmo accentuato, rivolta alla suora che era seduta a scrivere.
«Scrivi a nostro padre immagino» continuò, mentre con una mano afferrava il foglio sul quale solo poche righe erano state tracciate.
«Davvero Virginia -fece con un’acredine che le arrochiva la voce- non ti capisco».
«Nostro padre -proseguì quasi sputando la parola- ci ha rinchiuso qui, in questo carcere maledetto, nella miseria più nera, impedendoci di vivere una vita normale e tu continui a scrivergli cose affettuose! Non abbiamo di che mangiare noi e tu gli mandi dei dolci! Sei completamente fuori di senno» concluse con disgusto.
La sorella, nell’udire quelle parole, si fece rapidamente un segno di croce ma non diede segno di assecondare quanto udiva.
«Livia, Livia, ma cosa dici? E’ nostro padre ed lui noi dobbiamo rispetto e reverenza»
«Non sono più Livia, adesso, sono Suor Arcangela, così come tu non sei più Virginia, cara Suor Maria Celeste – rispose l’altra con rabbia- anche se certo non per mia volontà!».
«E poi, mi dici perché dovrei a nostro padre reverenza e rispetto, cosa ha fatto lui per noi?» concluse con amarezza.«Ci ha dato la vita sorella mia, e adesso sai che è in guai grossi, sottoposto a processo dal Sant’Uffizio a causa delle sue dichiarazioni sul moto dei pianeti e noi dobbiamo pregare per lui», rispose con voce tremante la giovane monaca.
«Pregare per lui? Per lui che più che metterci al mondo non ha fatto altro? – fu la risposta sprezzante di Livia- anche con nostra madre si è comportato in modo orrendo”.
Un verso intelligibile di protesta fu la risposta di Virginia, ma Livia proseguì imperterrita.
«Prima la seduce, la porta a vivere con sé, le fa fare tre figli e poi l’abbandona dall’oggi al domani, sottraendole i figli. Noi non sappiamo più niente di lei, niente, se è viva, se è morta, se è in miseria», concluse guardando la sorella con un misto di disprezzo e di affetto.
Virginia si porto le mani al volto in un gesto di disperazione quasi ad impedire alle parole che udiva, di penetrarle nella mente, ma fu tutto inutile perché Livia proseguì con acredine crescente.
«Non ci ha neppure riconosciute, siamo figlie bastarde, solo nostro fratello, perché maschio è stato riconosciuto, noi non siamo state degne nemmeno del suo cognome», concluse allungando le mani verso il foglio sul quale sua sorella aveva scritto, con l’intenzione di strapparlo.
Virginia però fu pronta a metterlo in salvo e se lo premette contro il petto, quasi a voler difendere il padre dalle accuse della sorella, mentre le rivolgeva uno sguardo nel quale dolore e supplica si fondevano.
Livia, scosse il capo, ormai convinta che l’ostinato affetto di Virginia verso un padre indegno di questo nome non sarebbe stata scalfita da nessuna accusa che lei poteva lanciare.
«Va bene – fece con una smorfia di derisione- continua pure ad amarlo il tuo prezioso padre, che non si degna neppure di soccorrerci mentre lui se ne sta agli arresti domiciliari nella sua bella villa così confortevole, in mezzo agli agi, mentre noi moriamo di fame. Continua a coccolarlo da lontano, ma ricordati che il tuo è un amore a senso unico!» e con quest’ultima frecciata uscì rapidamente dalla cella.
Virginia, rimase immobile mormorando una preghiera a Dio, perché perdonasse sua sorella delle parole sacrileghe. Forse Livia aveva ragione, ma lei non avrebbe mai smesso di amare suo padre.
Era stata lieta di farsi suora, tanto lo sapeva che nessun uomo avrebbe potuto prendere nel suo cuore il posto di quel padre così amato e poco importava che questo sentimento fosse tiepidamente ricambiato, lei aveva amore per due.
Suor Maria Celeste, al secolo Virginia Galilei, morì nel 1634 a poco più di trentatré anni di “umori bronchiali” ossia broncopolmonite, malattia aggravata dalle pessime condizioni di vita del convento ma amò fino all’ultimo respiro suo padre.
Invece Livia fu una suora “ribelle” che contestò ogni aspetto della vita monacale che le era stata imposta e non gli perdonò mai il modo in cui si era condotto verso la sua compagna e verso le due figlie e, sinceramente non mi sento di dare torto alla secondogenita di Galilei.
Galileo fu un grande scienziato ma un uomo abominevole, un uomo che dimostrò sempre di non tener in nessun conto i sentimenti della donna che gli aveva dato tre figli, ne quello delle sue figliole. Eppure di questo suo lato in ombra non ne parla nessuno.
Un’altra storia piacevole ma anche triste! Non sapevo che Galileo avesse 3 figli e il poco rispetto per le donne’ sono pienamente d’accordo con Livia !
Stupendo racconto (malgrado il triste contenuto). Incredibile venire a conoscenza di queste due figlie di Galilei (sconosciute ai più) Cara Antonella, grazie per la storia di Livia e Virginia che sarà certo apprezzata e condivisa da tutti coloro che avranno la fortuna di leggerla