La madre sublime
“Io resto tanto sconsolato, avendo perduto non solamente la madre, ma l’unico rifugio di molti miei fastidi e sollevamento di molte fatiche”.
Il magnifico Signore di Firenze, posò la penna con al quale aveva vergato la lettera rivolta alla duchessa di Ferrara, Eleonora, lettera con la quale annunciava la dipartita della madre Lucrezia, e si sfregò la fronte con un gesto sconsolato.
Si sentiva strano, Lorenzo, come se improvvisamente un macigno enorme gli fosse caduto sulle spalle, spalle che già portavano tanti pesi. Ma era il signore di Firenze e non poteva piangere pubblicamente e così si alzò e con un gesto deciso si avviò verso la cappella di famiglia. A sua madre avrebbe reso onori regali anche nella morte; dopotutto nessuna più di lei li meritava.
Eppure non era pronto a perdere sua madre, perché lei era sempre stata il suo miglior consigliere, la persona più vicina al suo spirito ed il cuore della famiglia.
Ricordava ancora suo nonno Cosimo che, ammirato dall’acume dimostrato dalla nuora, era solito esclamare “…Lucrezia, ah sì Lucrezia, è lei l’unico uomo di casa!”, con una chiara allusione al figlio Piero che debole e sempre malaticcio, sovente si appoggiava alla moglie non solo per le faccende quotidiane, ma anche per l’amministrazione delle loro sostanze.
Davvero, si ripeté Lorenzo, Monna Lucrezia, aveva in sé il sangue dei Tornabuoni, mercanti accorti ed abili e sapeva far fruttare al meglio tutto ciò che le passava per le mani, fossero possedimenti fondiari od investimenti di capitali, per non parlare del governo della casa e della famiglia.
Nonostante la ricchezza, lei non tollerava sprechi ed era sempre all’erta, sempre a vigilare affinché non ve ne fossero. Nessun sciupio, nessuna ruberia era consentita ai servitori e lei controllava che i prodotti delle loro terre affluissero alla loro tavola con un notevole risparmio per le loro finanze.
Non era mai stanca di scrivere lettere su lettere per invitare i fattori ad un controllo oculato, per consigliare sulle semine, sui raccolti, per chiedere che venissero inviati capi di cacciagione o frutta particolare, insomma il timone delle proprietà di famiglia non poteva essere in mani più salde e capaci.
Non contenta, dopo aver scritto decine di lettere e riempito libri mastri, era capace di mettersi a cesellare versi pieni di grazia che sarebbero poi stati ammirati dagli intellettuali gravitanti intorno alla loro famiglia e missive al Vescovo di Firenze che considerava la sua guida spirituale, Antonino Pierozzi, il quale la consigliava anche in merito alle opere caritatevoli da fare ed alle quali lei mai si sottraeva.
Non era mai stata bella sua madre, ma lei non si era mai curata della sua scarsa avvenenza, degli occhi un po’ gonfi e miopi che però vedevano benissimo tante cose anche spiacevoli, nel di quel naso un po’ largo e schiacciato, che però possedeva un fiuto formidabile per i maneggi politici e per i tradimenti.
Donna eccezionale davvero, che aveva tirato su splendidamente cinque figli, seguendone gli studi anche grazie alla profonda cultura che lei stessa aveva ricevuto.
Lorenzo stesso, aveva ritrovato fra le lettere del padre, una missiva di Lucrezia che informava il marito, dimorante ai bagni di Petriolo per cercar di curare la gotta, dei progressi fatti dai due figli maschi e dal quale si evinceva che era capace di insegnar loro pure i poeti latini … “Lorenzo habiamo molto bene innanzi l’Ovidio et Giuliano quattro libri tra historie et favole”. Era bellissimo studiare insieme a sua madre perché ciò riusciva a trasmettergli travalicava la lezione pura e semplice.
Era stata lei l’artefice del suo matrimonio romano e se poi Clarice non si era dimostrata all’altezza della situazione, non era certo colpa di Lucrezia, che aveva cercato per il suo amatissimo primogenito maschio una grande alleanza ed una buona fattrice di figli per proseguire la casata.
Aveva retto splendidamente la morte del marito, conscia di dover essere il supporto del suo adorato figlio, ma la morte di ., il suo figlio più piccolo, le aveva spezzato qualcosa dentro.
Non era stata più la stessa da allora, anche se in quei primi terribili momenti era riuscita a mantenere una lucidità di pensiero che erano stati di immenso aiuto per risolvere la crisi che minacciava tutta la famiglia, ma poi, passato il momento del pericolo e consumata la vendetta di Lorenzo, si era come spenta, quasi che il terribile dolore subito avesse infranto una fibra che sembrava di acciaio.
Da allora non era stata più lei ed a niente era servito che tutti in famiglia la circondassero di immenso affetto e considerazione; neppure gli amatissimi nipoti riuscivano a distrarla dal suo tormento e lentamente era andata consumandosi, come una candela che piano piano si va spengendo.
Ed ora in questo ventoso giorno di marzo, il 28 marzo dell’anno di grazia 1482, il lume di casa Medici, aveva fatto i suoi ultimi guizzi e lui, Lorenzo era rimasto solo.