Le vostre storie,Storie dal passato

L’ultimo amore di Don Giovanni

La casa che si affacciava su uno dei tanti canali che attraversavano Venezia era un palazzotto signorile ma niente di più. Una costruzione solida, più da agiato borghese che da abitazione nobiliare e la stessa impressione la si ritrovava all’interno.
Mobili raffinati ma non eccessivamente ricercati, suppellettili preziose ma non sontuose, tutto dava l’idea che coloro che vi abitavano, cercassero più la quiete e la comodità, che il lusso.
Questo pensava l’uomo vestito di scuro che, stringendo una voluminosa cartella in pelle di marocchino seguiva il servitore incaricato di introdurlo per un lungo corridoio, corridoio che dopo una brusca svolta portava ad una sala abbastanza ampia, con le finestre spalancate sul rio sottostante, immersa in una luce dorata, come solo Venezia, in certe stagioni, può offrire.
Anche qui la mobilia sembrava fatta per indurre alla pace ed alla tranquillità, con poltrone profonde, un ampio caminetto in cui ardevano ciocchi profumati, cuscini morbidi sulle panche e sulle sedie e tavolini bassi ed intarsiati che sorreggevano libri e vasi di fiori.
Anche la coppia che sedeva in due identici seggioloni non aveva nulla di eclatante; le vesti di entrambi erano di tessuto prezioso ma non sontuoso e la sobria eleganza del taglio ben si adattava al loro colore scuro, appena rischiarato da un candido fiorire di trine spumeggianti che ingentilivano lo scollo ed i polsi degli abiti.

Don Giovanni de’ Medici

L’uomo, di cui si indovinava anche da seduto la statura alta ed il fisico prestante, non era più nel fiore dell’età, ma sembrava che gli anni avessero ingentilito e non invecchiato una fisionomia interessante ed i cui occhi vivissimi tradivano l’intelligenza eccezionale per la quale era famoso.
La donna, molto più giovane del suo compagno, mostrava un volto che più che grazioso, si poteva definire, cesellato, con lineamenti forti e nel quale gli occhi imperiosi, solo quando si posavano su colui che le sedeva accanto, si addolcivano trasfigurandone la fisionomia.
Dunque caro Baroncelli” chiese l’uomo che si era appena alzato in segno di cortesia, “che notizie ci portate?” fece rivolgendosi all’individuo che i modi ed il vestito indicavano come un segretario o un funzionario.
Non buone, mio signore, non buone” fece questi scuotendo il capo sconsolato.
Il primo marito della signora, o meglio, dovrei dire .. il marito, sicuramente su suggerimento delle vostre auguste parenti, si rifiuta di annullare il matrimonio ed anzi chiede che Madonna Livia sia rinchiusa in un monastero quale moglie adultera”.
Ma questa è una vergogna!” esplose l’uomo alto, che alzatosi in preda alla rabbia aveva iniziato a percorrere la stanza a grandi passi “è una vergogna e Giovanbattista Granara dimostra quello che è, un uomo ridicolo e meschino, un individuo spregevole!”.
E cosa vi aspettavate da lui?” rispose la donna mentre il disdegno le accendeva gli occhi che sembravano mandare lampi, “un uomo che a quarantacinque anni suonati non si fa scrupolo di sposare una fanciulla di tredici, che incurante del suo disgusto la violenta senza pietà, cosa pensavate che potesse fare? Ritirarsi in buon ordine forse?”.
E poi”, sottolineò scrollando la piccola testa fiera, “dietro di lui ci sono le Arciduchesse fiorentine che non vorranno mai mescolare il sangue dei Medici con quello di una che è stata bollata come prostituta” concluse con amarezza.
Un silenzio pesante calò nella stanza mentre il segretario di Don Giovanni de’ Medici crollava il capo conscio che veramente il suo signore si era messo in un bell’impiccio.
Ma Don Giovanni non era certo domo e.. “Non pronunciate più questa parola riferita a voi, amor mio” fece, rivolgendosi con impeto verso la donna “vi hanno bollato così ma io lo so che non lo siete e non lo siete mai stata; cosa potevate fare, povera creatura, voi sposata a forza ad un vecchio libidinoso, che avete trovato il coraggio di fuggire da questa ignominia”, concluse baciandole appassionatamente la mano.

Livia Vernazza

Livia, gli restituì una stretta convulsa e chiuse gli occhi sopraffatta dalla marea di ricordi tremendi che da sempre la ossessionavano.
Il matrimonio forzato, le sue inutili proteste, i suoi fratelli che pronunciavano il sì in vece sua, davanti ad un sacerdote connivente, le violenze quotidiane, poi la fuga, gli uomini che si erano approfittati della sua giovinezza ed ingenuità, le peregrinazioni che di città in città l’avevano portata a Firenze, il suo corpo del quale aveva dovuto fare commercio per non morire di fame… un orrore che ancora adesso minacciava di sopraffarla.
Era stato un incubo continuo, finché una sera, portata dalla ragazza con cui condivideva l’alloggio e che effettivamente faceva la cortigiana, era approdata nel bel palazzo di via del Parione dove teneva corte bandita e dava splendide feste, Don Giovanni de’ Medici, il bastardo del Granduca Cosimo.
Don Giovanni non era più un ragazzo ma l’intelligenza vivissima che lo aveva fatto primeggiare in ogni campo lo rendeva un uomo dal fascino indiscutibile, senza contare che era ancora un uomo splendido e lei, lei era bella, di una bellezza non intaccata dalla vita orrenda che aveva condotto.
Lui quella sera non si era comportato come gli altri uomini, non aveva tentato approcci galanti, ma era stato gentile con lei, le aveva mostrato la sua casa ed avevano parlato …. Tanto, solo parlato e lei si era sentita, per la prima volta in vita sua, al sicuro.
A quella prima sera, altre erano seguite e solo dopo diverso tempo erano diventati amanti, ma avevano compreso subito che ciò che li legava era qualcosa che trascendeva la sfera fisica.
Giovanni l’avrebbe sposata immediatamente, ma il marito di lei era ancora vivo e poi sia sua cognata la Granduchessa Cristina, che la moglie di suo nipote Cosimo, la Granduchessa Maddalena, avevano gridato allo scandalo, tanto che alla fine Giovanni si era deciso ad accettare l’invito della Repubblica Veneta, come capitano delle milizie di terra e si erano trasferiti a Venezia, mentre procedevano con il tentativo di far annullare il matrimonio di Livia, ma le cose non erano facili.
Per alcuni anni vissero così, sotto la minaccia di veder Livia arrestata dalle autorità ecclesiastiche ed internata in un convento, ma finalmente il marito della donna si decise a morire e loro due si poterono sposare e Giovanni poté legittimare il bambino che nel frattempo era nato.
Favola a lieto fine? Ma nemmeno per sogno perché solo due anni dopo il matrimonio, Giovanni moriva e Livia, attirata con false promesse a Firenze si vedeva spogliata di ogni sua eredità, privata del figlio ed addirittura le veniva comunicato che il suo matrimonio non era valido e questo faceva di suo figlio un bastardo.
Relegata in un monastero prima ed in una villa successivamente in una larvata prigionia, stroncata da tutti questi affanni, la poveretta trascinò una vita misera per più di vent’anni, morendo sfinita da troppi dispiaceri.
L’unica cosa che le due terribili Arciduchesse non riuscirono ad ottenere da lei furono i gioelli che lei con mossa astuta lasciò in eredità ad una chiesa veneziana, perché contro la Chiesa neppure loro potevano mettersi e forse neppure un rimorso per la loro orribile condotta, sfiorò le loro coscienze di bigotte.

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Antonella Bausi

Antonella Bausi nasce a Firenze nel 1956. Laureata in filosofia, bibliotecaria presso l’Istituto tecnico Leonardo Da Vinci, ha da sempre nutrito una forte passione per la storia tutta, per Firenze in particolare, e per la scrittura in generale.

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