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Angelica beltade!

 

«Angelica beltade!
Parmi ogni più bel volto, ovunque io miro,
quasi una finta imago
il tuo volto imitar. Tu sola fonte
d’ogni altra leggiadria,
sola vera beltà, parmi che sia»

Un sospiro appeno represso accompagnò la fine della lettura di quei versi così sofferti, un sospiro che parve esalare dalla bocca rossa e turgida come una piccola rosa, della giovane donna che leggeva.
Non si sentiva volare una mosca nel bel salotto che occupava quasi tutto il primo piano dell’imponente palazzo di Via Ghibellina ed il silenzio sembrava esaltare quei versi che avevano appena finito di risuonare.
La donna dai lineamenti cesellati, incorniciati da una massa di riccioli neri, volse gli occhi grandi ed un po’ allungati, sull’uomo alto e prestante che le sedeva di fronte.
“E così…e così voi dite che questi versi li ha scritti per me?”
“Ancora ne dubitate? Fanny, mia splendida e cieca Fanny, come potete ancora dubitarne?”
“Ma io, io non ho mai alimentato in lui alcuna speranza, lo sapete, per me era solo un amico, un dolcissimo amico, che mi confidava le sue pene, al quale rivolgevo le mie attenzioni, ma come si potrebbe fare con un fratello”, tentò di argomentare la donna.
“Allora dovevate esser cieca, mia cara, oppure ostinata nel non voler vedere”, rispose il suo interlocutore che l’accento rivelava come napoletano.
E poiché la donna continuava a tacere, riprese con una certa asprezza.
“Aspasia siete voi! Voi soltanto, che avete infiammato i sensi di quel ragazzo così geniale e così fragile, che vi ha paragonato alla donna più brillante di Atene, voi con il vostro salotto così raffinato, voi amica di intellettuali e sapienti e la cui cultura è oggetto di ammirazione ovunque e non solo a Firenze!”
La donna scosse il capo quasi a voler scacciare dalla mente un pensiero molesto, mentre l’uomo riprendeva a parlare.
“Sapete, quando mi scrisse per la prima volta di voi, vi definì bellissima e cortese, mi disse che brillavate per cultura ed ingegno, un fiore per l’arte e la letteratura e…e…aveva ragione”, concluse quasi suo malgrado, mentre gli occhi tornavano a divorare quel volto incantevole e quel corpo così voluttuoso che conosceva bene.
“Sapete, bella come siete non eravate immune da calunnie, voci malevole vi dicevano l’amante di uomini in vista e frequentatori del vostro salotto, ma Giacomo non vi ha mai creduto e vi ha sempre difeso a spada tratta!”
Un rossore delicato imporporò le guance della donna che abbassò gli occhi confusa, perché sapeva bene quanto la sua vita fosse sempre stata giudicata spesso a casaccio. Non era facile essere donna e se poi eri bella ed intelligente, nessuno te lo perdonava.


Lei lo aveva sempre saputo, così come sapeva che solo un matrimonio conveniente le avrebbe potuto aprire le porte della buona società fiorentina, perché non bastava essere, come lei era, di buona nascita, occorreva un marito. Una donna sola non poteva certo brillare in società.
E così era stato. A vent’anni aveva sposato un uomo più anziano di lei di sedici anni, ancora giovane certo, ma la cui professione ed i cui gusti facevano apparire grave e maturo, il Professor Antonio Targioni Tozzetti, medico, chimico e botanico insigne e già celebre, oltre che ricco.
Era stata una buona moglie, dandogli tre figlie, ma poi, poi aveva spiccato il volo ed era diventata l’anima della vita intellettuale fiorentina, aprendo un salotto diventato celebre e presso il quale i migliori spiriti del tempo, provenienti da tutta Italia e dall’estero, erano soliti darsi convegno.
Nel 1830, in quel salotto aveva fatto la sua comparsa un giovane esile, dal volto tormentato e dal fisico infelice, un giovane che però lasciava intuire dalle sue parole e soprattutto dai suoi scritti che iniziavano a circolare, quanto genio potesse essere contenuto in quel corpo minuto e dalle spalle asimmetriche.
Era stato facile per il ragazzo proveniente da un piccolo paese sepolto in provincia farsi affascinare da Firenze, dalla vita intellettuale del tempo e soprattutto da questa donna così bella e splendente che ne era l’astro principale.
Si era accostato a lei con reverenza, quasi come un cavaliere antico che deponesse le sue armi ai piedi della dama eletta ed ai piedi di Fanny aveva infatti deposto un amore intenso ed appassionato, ancorché segreto.
Avrebbe fatto di tutto per attirare un suo sguardo benevolo, un sorriso di quegli occhi profondi che però lo guardavano senza vederlo.
Senza vederlo ma, ahimè, posandosi invece sul suo amico fraterno, quello che sempre lo accompagnava, Antonio Ranieri.

Antonio era bello, Fanny lo stesso, entrambi giovani, appassionati e sicuramente quello che lei non aveva mai pensato di concedere al poeta di Recanati, fu donato al giovane napoletano, diviso fra passione ed amicizia.
Lui, Giacomo, ancora una volta aveva trovato rifugio nella poesia ed erano così nate le liriche del ciclo di Aspasia, dove Fanny veniva cantata con il nome della grande donna greca, la donna che con Pericle aveva contribuito a rendere illustre Atene.
Poi, la salute declinante lo avevano costretto ad allontanarsi da Firenze, recandosi a Pisa e poi a Napoli, ma il male pian piano aveva avuto ragione di quel povero fisico e nel 1837 Giacomo aveva reclinato il capo come quei fiori di campo che vengono falciati inesorabilmente.

Antonio Ranieri, che fra amicizia ed amore aveva scelto l’amicizia, aveva seguito Giacomo ed ora era tornato a Firenze a portare gli ultimi messaggi d’amore di un’anima tormentata ed infelice.
Evidentemente la forza di questo sentimento colpì, sia pure a posteriori la bella Fanny, se in una lettera successiva, proprio ad Antonio Ranieri lei si diceva scossa e sconvolta per l’accaduto, ribadendo l’affetto che aveva sempre provato per il poeta marchigiano.
Ribadiva pur che non credeva essere lei l’Aspasia delle liriche, anzi accusava Ranieri di aver voluto far sì che si sentisse in colpa.
Eppure quella frase le si era fissata nelle mente, aveva un bel cercare di dimenticarla, essa tornava prepotente e, purtroppo, vera ….”Aspasia siete voi!”

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Antonella Bausi

Antonella Bausi nasce a Firenze nel 1956. Laureata in filosofia, bibliotecaria presso l’Istituto tecnico Leonardo Da Vinci, ha da sempre nutrito una forte passione per la storia tutta, per Firenze in particolare, e per la scrittura in generale.

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Lunella Colxi

Antonella riesce a dare vita a qualsiasi storia racconti. Ci fa calare nell’ambiente e nei personaggi. Brava narratrice

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