123 anni…in Fiat!
Entrare in un bar a prendere un caffè e uscirne fondando un’azienda automobilistica: queste cose potevano accadere nella Torino di fine XIX secolo. In un certo senso, se possiamo concederci una licenza storica, la Fiat è nata proprio così, oltre 120 anni fa. In un mite martedì estivo, datato 11 luglio 1899, una sontuosa dimora nobiliare del centro storico, Palazzo Bricherasio, sede del Banco di Sconto e di Sete, ospitò la riunione in cui venne ufficialmente fondata la Fabbrica Italiana di Automobili: la parola Torino venne aggiunta successivamente.
Il primo consiglio di amministrazione era così composto: presidente Ludovico Scarfiotti (cavaliere e avvocato), vicepresidente Emanuele Cacherano di Bricherasio (conte), segretario Giovanni Agnelli (cavaliere), oltre ad altri importanti notabili della ex capitale del Regno, quali Roberto Biscaretti di Ruffia (conte) e Cesare Goria Gatti (avvocato).
Ben 4.000 azioni da 200 lire ciascuna componevano il capitale sociale di 800.000 lire: per rendervi meglio l’idea di quali cifre stiamo parlando, pensate che a quell’epoca un importante ristorante quale il Grand Hotel Ville & Bologne, faceva pagare 70 centesimi un piatto di scaloppine di vitello alla milanese con piselli!
L’idea e l’iniziativa per fondare una nuova azienda automobilistica a Torino fu prevalentemente di Biscaretti e Bricherasio. Questi due aristocratici ben piazzati anche finanziariamente, cercavano una nuova avventura per movimentare le proprie vite, nonché un modo per investire le loro cospicue rendite che non fosse il solito acquisto di titoli e obbligazioni, statali e non.
Così, convinsero altri nobili e membri dell’alta borghesia sabauda ad associarsi in quella nuova intrapresa in un settore che stava diventando prepotentemente di moda nel bel mondo.
Giovanni Agnelli entra in scena al bar: non di nobili origini ma ricco proprietario terriero ed ex ufficiale di cavalleria, quando si recava in città per trattare i suoi affari, egli soleva frequentare il caffè Burello, vicino alla stazione di Porta Nuova, luogo di ritrovo dei commercianti e imprenditori.
Proprio qui Biscaretti gli propose di occupare quel posto disponibile nella società automobilistica in embrione. A sua volta Agnelli aveva investito una somma secondaria nell’importazione di tricicli a motore di origine francese. Biscaretti invece importava auto da corsa da Francia e Germania, già allora capitali dell’automobile. Il cavaliere di Villar Perosa non smaniava per espandersi in tale avventura, fu trascinato dall’entusiasmo del conte. Ma alla fine accettò e sottoscrisse l’impegno che avrebbe cambiato non solo la sua vita, ma quella dell’Italia intera.
Il più importante gruppo finanziario e industriale privato italiano del XX secolo – oltre alla prima holding del Bel Paese – inaugurò nel 1900 il suo primo stabilimento con una produzione di circa 20 automobili all’anno, realizzate da una trentina di operai.
Raccontare l’evoluzione di un’azienda nata dall’ambizione di un manipolo di aristocratici, imprenditori, borghesi, danarosi ed emergenti, ben 121 anni fa, è un po’ come raccontare l’evoluzione dell’Italia dagli anni successivi all’Unificazione, fino ai nostri giorni. Molte le date, gli eventi storici, gli sviluppi aziendali, le tecniche di mercato, davvero troppe da elencare ma, tra queste, non si può fare a meno di ricordarne almeno alcune.
All’inizio nella dirigenza Fiat ci furono diverse incertezze strategiche sull’opportunità di fabbricare solo veicoli di lusso per il ristretto ambiente dei super-ricchi, oppure lanciarsi in una produzione più vasta di auto relativamente accessibili, ipotizzando una vicina espansione del mercato.
Fu proprio Agnelli a mettere le cose a posto. Memore dei trascorsi militari, prese in mano la situazione, assumendosi la responsabilità di sterzare verso il futuro: vedendo anche quanto fatto dagli altri costruttori, l’ex tenente di cavalleria capì subito che sarebbe stato essenziale adottare parti meccaniche quanto più standard possibile, affidabili e facili da reperire. Soprattutto, una volta decisa una soluzione, non si dovevano più effettuare modifiche in fase di produzione. Altrimenti si sarebbero sprecate troppe risorse.
Dopo forti contrasti con gli altri amministratori e soci, la Fiat si orientò per affidare ad Agnelli la responsabilità dell’azienda. Quindi nel marzo 1902 fu creata per lui la carica di amministratore delegato. Egli riorganizzò in modo più efficiente la fabbrica, quindi la produttività migliorò e con essa aumentarono gli utili, al punto che nel 1903 strappò ai soci il consenso a quotare la Fiat in borsa.
Il settore automobilistico in Italia nei primi anni del XX secolo era in uno stato effervescente, nascevano in continuazione nuove imprese. I profitti continuavano a salire e con essi la quotazione azionaria, ormai arrivata alle stelle. Non solo della Fiat: si era innescata una vera e propria bolla speculativa sull’auto: tutti compravano a più non posso le azioni di qualsiasi azienda operasse sulle quattro ruote.
E infatti anche in casa Fiat non si perdeva tempo: dopo la creazione del primo modello, la 3 1/2 HP seguirono altre vetture. Inoltre Agnelli avviò un’incessante campagna d’espansione all’estero e diversificazione nei settori, dagli autocarri a quello navale, fino alla produzione di motori per aerei e tram.
Nel 1911, mentre stava organizzando l’apertura della filiale americana della Fiat a New York, Agnelli visitò la fabbrica di Henry Ford, dove un nastro trasportava i componenti da assemblare, velocizzando notevolmente tutte le operazioni: l’embrione della catena di montaggio, strumento che verrà perfezionato due anni dopo rivoluzionando con la Ford Modello T l’intera industria mondiale. La Fiat doveva cominciare a standardizzare i processi produttivi. Inoltre i prezzi delle auto dovevano scendere per incontrare un pubblico più vasto: sempre in senso relativo, perché in quegli anni un impiegato guadagnava circa 2.000 lire all’anno, mentre le vetture Fiat avevano prezzi intorno alle 16.000 lire. L’extralusso non bastava più, anche perché sul mercato erano apparsi concorrenti agguerriti, come l’Isotta Fraschini e la nuova A.L.F.A. Allora Agnelli convinse, non senza resistenze, il resto della dirigenza e soprattutto i creditori a gettarsi verso un’auto popolare da produrre in serie: la Tipo Zero, uscita nel 1912 al prezzo di 7.000 lire; nei tre anni di produzione, la Zero fu costruita in oltre 2.000 esemplari, un’enormità.
La Fiat era ormai una primaria azienda nazionale e si stava espandendo anche nel settore degli autocarri. Non a caso, importanti commesse giunsero dall’Esercito per la guerra in Libia del 1911. Molto importanti continuavano ad essere anche le esportazioni che assorbivano circa la metà della produzione. L’azienda torinese vendeva in tutta Europa; tuttavia, bisognava guardare sempre lontano.
L’Europa si stava avviando verso quella che sarebbe diventata la Prima Guerra Mondiale.
All’entrata dell’ Italia nel conflitto, nel 1915, la macchina industriale nazionale si convertì alla produzione bellica e la Fiat andò a coprire circa i due terzi delle commesse di automezzi per l’ esercito. Oltre a mitragliatrici e munizioni, aumentò in modo deciso anche la richiesta di motori marini a cui si aggiunsero i motori per la nascente Aviazione. L’azienda torinese si espanse notevolmente, i profitti sempre più considerevoli.
Nel 1916 venne avviata la costruzione dell’avveniristico stabilimento del Lingotto: questo veniva a significare che la Fabbrica Italiana Automobili Torino si stava trasformata in un colosso. Al termine della guerra essa veniva infatti segnalata come la terza industria italiana per capitale sociale e dimensioni e Agnelli ne era saldamente al comando, controllando direttamente o indirettamente il 55% delle azioni.
Terminato il conflitto, l’industria italiana si trovò a fronteggiare alcuni grossi problemi: l’esplosione delle agitazioni sindacali con continue rivendicazioni salariali nonché la scarsità – e quindi il costo elevato – delle materie prime. In quei mesi cruciali, compresi tra il 1919 ed il 1920 (a tutti noti come il biennio rosso), la situazione fu critica per tutti. Poi, con l’avvento del Regime Fascista le cose cambiarono anche per l’industria automobilistica, soprattutto negli anni ’30. La politica autarchica ostacolava le esportazioni, quindi anche le produzioni diventarono un poco più abbordabili pure per gli italiani. Il primo modello di grande successo popolare, sempre in senso relativo, fu la Fiat 508 Balilla (ovvero, l’antenata della futura 1100). La Balilla non era ancora l’auto per tutti, ma fu la prima auto per molti!
Il vero punto di svolta nella produzione automobilistica fu rappresentato dalla prima Fiat 500, successivamente soprannominata Topolino. Fortemente voluta da Benito Mussolini nel tentativo di avviare la motorizzazione di massa in Italia, la piccola 500 fu l’ embrione dell’ auto popolare. Certo, costava ancora troppo per molti operai, però abbassò ulteriormente l’asticella per entrare nel mondo di chi intendeva viaggiare su quattro ruote.
Superata la Seconda Guerra Mondiale e la morte di Agnelli, avvenuta il 16 dicembre 1945, diventò urgente per la Fiat costruire un’erede della Topolino. Così, agli inizi degli anni Cinquanta, si decise di fabbricare una vettura di poco più grande, adatta a trasportare quattro persone, ma economica e popolare sul serio: nasceva la Fiat 600.
La 600 uscì nel 1955 e invase l’Italia. Fu questo il vero modello che avviò la motorizzazione di massa dell’ Italia.
La 600 venne sostituita nel 1964 dalla Fiat 850 che ne proseguì il successo ma in chiave più moderna. Parallelamente alla 600 fu avviato il progetto per la reale sostituta della Topolino. Si voleva una vettura molto compatta, più piccola della 600, adatta a trasportare due persone. Il costo doveva essere estremamente basso. Ecco la Fiat Nuova 500, capolavoro assoluto di Dante Giacosa. Uscita nel 1957, completò la motorizzazione dell’Italia, conoscendo un successo incredibile, al punto che la produzione proseguì molto oltre l’introduzione della sua erede, la Fiat 126.
Il 30 aprile 1966 saliva alla presidenza Gianni Agnelli, nipote del fondatore. Figlio di Edoardo (il quale era morto nel 1935), Gianni (all’anagrafe Giovanni, come il nonno) era nato il 12 marzo del 1921. Al momento in cui prese il comando, Fiat era uno dei principali costruttori automobilistici nel mondo, il secondo in Europa dopo la Volkswagen.
Il nuovo Agnelli non perse tempo, concentrando gli sforzi creativi sulla progettazione della sostituta della 850: si stava delineando la strada tecnica per la Fiat 127.
Il design, indovinatissimo, fu opera del giovanissimo Pio Manzù, figlio dello scultore Giacomo. Tuttavia, Pio non ebbe la soddisfazione di vedere in strada la propria creazione, perché morì in un incidente stradale il 26 maggio 1969 a soli 30 anni. La 127 uscì nel 1971 e conquistò il mercato. Prodotta in tre serie fino al 1987 avrà una vita molto lunga.
Gli anni ’70 non furono invece tutto rose e fiori e vennero segnati da profonde agitazioni sindacali che, come nel primo dopoguerra, avevano spesso un’origine politica.
Furono anni davvero difficili per tutti a poco alla volta, scioperi ed assenteismo diminuirono significativamente e anche la Fiat ricominciò a respirare.
Passate le tempeste, si ricominciò ad investire sull’auto. Nel 1980 uscì la Fiat Panda, la vera erede della 500, attesa fin troppo a lungo. Disegnata da Giorgetto Giugiaro, era essenziale ma pratica e abbastanza spaziosa, soprattutto, economica. Il successo fu immediato e duraturo: A distanza di anni rimane, ad oggi, l’auto più venduta in Italia.
Nel 1983 invece uscì l’erede della 127, la Fiat Uno. Altro capolavoro di Giorgetto: design assolutamente originale. spazio incredibile nonostante la grande compattezza esterna. Nel 1993, ancora un’espressione vincente della sua mente geniale: la Fiat Punto, sostituta della Uno. Essa capitava proprio a proposito in quegli anni che stavano cominciando a segnare nuovamente un periodo di crisi delle vendite, per via dei mercati asiatici in netta crescita.
Coronata dai tanti successi, anche l’era dell’Avvocato, stava volgendo al termine e nel marzo 1996, Gianni lasciava la presidenza.
La spirale negativa subì un’accelerazione improvvisa con la scomparsa in rapida successione di Gianni e Umberto Agnelli, entrambi fulminati da malattie incurabili. L’Avvocato morì il 24 gennaio 2003 ad 81 anni. Non c’erano eredi della famiglia pronti a subentrare, perché Giovanni Alberto Agnelli, l’erede designato, era morto nel 1997 a soli 33 anni, anch’egli vittima di un tumore; John Elkann, il nipote scelto per guidare in futuro l’azienda, era ancora troppo giovane.
Con la fine degli Agnelli sembrava imminente anche la fine della Fiat. Tuttavia Umberto aveva fatto in tempo ad individuare l’uomo giusto. Quando ormai la malattia lo stava portando alla morte, riuscì a suggerire ai dirigenti che tenevano le redini delle holding di famiglia, di puntare su uno sconosciuto manager italo-canadese-svizzero che da poco era entrato nel consiglio di amministrazione della Fiat: tale Sergio Marchionne.
Fu cosi che Elkann, il quale aveva solo 28 anni, manteneva il ruolo di vicepresidente mentre Luca Cordero di Montezemolo veniva nominato presidente e Marchionne si rendeva noto a livello internazionale per avere guidato il profondo rinnovamento della Fiat.
Quel che è accaduta da allora ad adesso non è più storia bensì attualità. Oggi il marchio FIAT è un brand che ha acquisito una riconoscibilità mondiale importante. Gli stabilimenti produttivi in tutto il mondo sono più di cento; ha sviluppato una rete commerciale di concessionari e distributori presente in oltre 140 paesi, avvalorata da dati di vendita in continuo aumento. Dati che rappresentano l’ennesima dimostrazione di come le intuizioni tecniche ed estetiche del marchio Fiat siano state capaci di conquistare il mondo.
Non ci resta che augurarci che la bella storia nata a Torino quell’ 11 luglio di ben 121 anni fa, rimanga la storia di una grande affermazione internazionale destinata a fare ancora molta strada, preservando il passato per meglio guardare al futuro.