Ritratto di Eleonora di Toledo
Eleonora fu la prima moglie di Cosimo I de’ Medici e la seconda ed ultima duchessa consorte di Firenze.
Anche se spesso è chiamata “granduchessa Eleonora”, non fu mai granduchessa di Toscana, poiché morì prima della creazione del Granducato di Toscana.
Durante i periodi di assenza o di malattia del marito, Eleonora assunse la funzione di reggente del Ducato di Firenze. Nacque ad Alba de Tormes nel 1522 da don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, viceré di Napoli, e da donna María Osorio y Pimentel, marchesa di Villafranca del Bierzo.
Castana e con gli occhi nocciola, aveva il viso di un ovale perfetto, i lineamenti dolci e pieni di un’innata maestà, come d’altronde traspare anche dai suoi ritratti.
Eleonora andò in sposa a Cosimo I de’ Medici nella primavera del 1539, all’età di diciassette anni. Cosimo era alla ricerca di una sposa che potesse aiutarlo a rafforzare la sua posizione politica. Inizialmente aveva chiesto la mano della vedova del duca Alessandro de’ Medici, assassinato dal cugino Lorenzaccio. Ma Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V, aveva mostrato delle enormi reticenze, che convenivano perfettamente a suo padre (il quale aveva altri progetti matrimoniali per lei). L’Imperatore, tuttavia, non volle comunque inimicarsi Cosimo (che rischiava di lasciarsi circonvenire dalla Francia) e al posto dell’arciduchessa vedova gli propose una delle figlie del ricchissimo viceré di Napoli, uno degli uomini più influenti della penisola e che godeva della sua piena fiducia.
Eleonora, già sposatasi per procura il 29 marzo 1539, salpò da Napoli l’11 giugno, accompagnata dal fratello García con sette galere al seguito, e arrivò a Livorno la mattina del 22 giugno. Lo stesso giorno partì per Pisa e a metà strada incontrò per la prima volta il marito Cosimo. Dopo un breve soggiorno a Pisa, la coppia ducale partì per Firenze, fermandosi alcuni giorni alla villa di Poggio a Caiano. Domenica 29 giugno ci fu l’ingresso solenne della duchessa Eleonora a Firenze dalla Porta al Prato e lo sposalizio ufficiale nella chiesa di San Lorenzo, con una celebrazione in gran pompa seguita da sfarzosi festeggiamenti.
Cosimo, che si era da poco impadronito del potere e non aveva né agganci politici né fondi economici, beneficiò molto della posizione raggiunta col suo matrimonio: di colpo si trovava in possesso di un immenso patrimonio e della parentela del governatore dell’Italia meridionale (don Pedro fu talmente fidato come viceré che ottenne il rinnovo della carica fino alla propria morte, avvenuta nel 1553).
La coppia prese residenza nel palazzo Medici di via Larga (oggi Palazzo Medici Riccardi), ma ben presto si trasferì in Palazzo Vecchio, che per l’occasione fu ristrutturato e ingrandito.
La coppia fu veramente molto innamorata e ce lo testimoniano oltre ai cronisti, le numerose lettere tra i due. Finché Eleonora visse non si ebbe alcuna notizia di “scappatelle” di Cosimo, che difficilmente sarebbero passate inosservate in una città dove egli era sempre al centro dell’attenzione. Eleonora a sua volta era così attaccata al marito da sfiorare in alcuni casi la morbosità: alla notizia di un viaggio del duca, dove lei non poteva accompagnarlo, alcuni cortigiani la videro piangere e strapparsi i capelli. E quando lui era assente viveva in attesa delle sue lettere: ne avrebbe volute almeno due al giorno.
Eleonora possedeva inoltre il carattere giusto per stare al fianco di un uomo burrascoso e introverso come Cosimo de’ Medici. Era l’unica persona che aveva un qualche ascendente sul marito, dalla quale accettasse consigli e che sapeva come mitigare i suoi continui sbalzi di umore.
Dieci anni dopo il loro matrimonio, quando ormai Eleonora aveva già partorito sette dei suoi undici figli, fu terminata la costruzione di Palazzo Pitti, nuova residenza dei signori di Firenze e, con i soldi di Eleonora, furono comprati i terreni adiacenti che avrebbero formato il giardino di Boboli. Eleonora aveva infatti visto morire troppi figli piccoli per voler restare nell'”insalubre” Firenze, per cui sperava che nella zona meno affollata di Oltrarno, con un grande giardino arioso, pur sempre dentro la città, si sarebbero risolti i problemi di salute che affliggevano la sua famiglia.
Il motto che Cosimo aveva scelto per Eleonora era “cum pudore laeta foecunditas”, accompagnato ad una pavoncella che ripara i suoi piccoli sotto le ali, che ben si addiceva alla sua figura, materna sì ma anche fiera.
I fiorentini non l’amarono particolarmente, per il suo carattere visto come altezzoso, non abituati all’alterigia della corte spagnola. Non girava quasi mai a piedi in città, ma sempre a cavallo o su una lettiga che lei stessa aveva fatto decorare: di raso verde all’interno, di velluto dello stesso colore fuori. Lì se ne stava come “in un tabernacolo”, senza mai scostare le tendine per farsi guardare, sempre remota, inaccessibile quindi.
Era con le sue azioni che manifestava la benevolenza verso il popolo: faceva abbondanti elemosine, aiutava le fanciulle bisognose a costruirsi una dote, sosteneva il piccolo clero, attingendo dalle sue rendite private. Amava molto gli animali domestici e ci è arrivata la notizia di un suo cagnolino, di un gatto, di un pappagallo.
La sua religiosità sfociava a volte nella bacchettoneria, ma indulgeva volentieri in alcune attività amene come il gioco, le scommesse, la passione per le corse dei cavalli.
Aveva una passione sconfinata per i gioielli, che amava indossare in copiosa quantità, e i suoi abiti sfarzosi seguivano le mode dell’epoca, ma si distinguevano per la squisita raffinatezza.
Nell’ottobre 1562 Eleonora seguì Cosimo in un viaggio verso la Maremma, per vedere come procedevano i lavori di bonifica da lui iniziati; da lì si sarebbero in parte imbarcati per la Spagna per andare a trovare il primogenito Francesco Maria che vi si trovava già da circa un anno. Eleonora soffriva da tempo di emorragie polmonari e i dottori le avevano raccomandato di passare l’inverno nel mite clima della costa. Con lei erano partiti tre dei suoi figli: Giovanni, Garzia e Ferdinando nonostante la regione fosse infestata dalla malaria. Durante una sosta nel castello di Rosignano, però, Giovanni e Garzia morirono a distanza di poco tempo colpiti da forti febbri, e anche Eleonora si ammalò e morì nello spazio di un mese, a Pisa: aveva quarant’anni.
Per non farla soffrire, dopo la struggente disperazione provata per la morte di Giovanni, sul letto di morte le fu taciuta la morte di Garzia, avvenuta sei giorni prima che lei morisse. Ferdinando, che sarebbe diventato prima cardinale e poi granduca, fu il solo che si salvò.
Nel corso degli anni prese campo una storia infondata su questo avvenimento, probabilmente inventata dagli esuli fiorentini nemici di Cosimo. Secondo questo racconto Garzia avrebbe pugnalato Giovanni durante una battuta di caccia e Cosimo, venuto a conoscenza dell’accaduto avrebbe ucciso Garzia. Eleonora, al sapere del duplice omicidio, sarebbe morta di crepacuore, addolorata anche dalla recente morte della figlia Lucrezia. Molti documenti, tra cui alcune lettere private di Cosimo al figlio Francesco, provano invece l’avvenuta morte di Eleonora e dei suoi figli a causa della malaria. Anche lo studio paleopatologico dei resti scheletrici di Eleonora, Garzia e Giovanni, effettuato nel corso del Progetto Medici nel 2004-2006, ha dimostrato la morte per malaria perniciosa da Plasmodium.
Per molto tempo si è creduto che Eleonora fosse stata sepolta con lo stesso vestito presente nel celebre ritratto del Bronzino che la raffigura insieme al figlio Giovanni, ma all’effettiva apertura della tomba si scoprì che indossava un abito molto più semplice. Dopo un restauro lungo e complesso, l’abito originale è stato ricomposto ed esposto nella Galleria del Costume di Firenze, senza tuttavia permetterne un’esposizione tridimensionale a causa delle fragilissime condizioni in cui versa.
Nel 1857, durante una prima ricognizione delle salme dei Medici, così venne ritrovato il suo corpo:
“Le ricche vesti, foggiate secondo la moda della metà del secolo XVI, e più alcune treccie di capelli color biondo tendente al rosso, attorte da una cordicella d’oro. La veste che lo ricuopre, non poco lacera, è di raso bianco, lunga fino a terra e riccamente ricamata a gallone nel busto, lungo la sottana e nella balza da piè; e sotto questo primo vestito ne è un altro di velluto color chermisi. Dello stesso colore sono le calze di seta, nere le scarpette di pelle, ma lacere“.
La discendenza di Eleonora e Cosimo I, sebbene numerosa, non fu certo toccata dalla fortuna, a causa della tubercolosi a Firenze, che richiedeva spesso soggiorni nelle zone costiere, dove invece era presente la malaria. Morirono infatti di febbri malariche i figli Maria (1557), Giovanni (1562) e Garzia (1562), oltre alla stessa Eleonora (1562); altri tre (Pedricco, Antonio e Anna), morirono ancora in fasce; Lucrezia, Duchessa di Ferrara, Modena e Reggio, morì giovanissima di tubercolosi (anche se i nemici di suo marito, Alfonso II d’Este, insinuarono che fosse stata avvelenata da quest’ultimo, allo scopo di sposare l’Arciduchessa Barbara d’Austria, matrimonio politicamente più prestigioso); Francesco I morì misteriosamente insieme alla seconda moglie Bianca Cappello (per molti secoli si è ipotizzato che fossero stati avvelenati da Ferdinando I, ma le ultime analisi scientifiche smentiscono questa storia); Isabella venne strangolata dal marito con l’accusa di adulterio; Ferdinando I fu l’unico dei figli legittimi ad avvicinarsi alla vecchiaia e fu per molti anni il terzo Granduca di Toscana, morendo a 59 anni.