Clarice, la moglie del Magnifico
Clarice Orsini fu la moglie di Lorenzo il Magnifico: la storia la ricorderà soprattutto per questo. Perché la sua figura è rimasta così nei secoli: defilata, sbiadita, a tratti persino insipida.
Con la consapevolezza che solo il tempo ci può dare, bisogna invece guardare alla sua persona con occhi diversi: da una parte a lei come una Orsini, dall’altra a lei come Clarice.
Che Lucrezia Tornabuoni, scegliendola come consorte dell’erede de’Medici Lorenzo, suo figlio prediletto, intendesse dare una svolta fondamentale all’ascesa della famiglia fiorentina è fuori dubbio. La ragazza era la figlia del signore di Monterotondo, veniva da una famiglia d’arme, aveva un titolo nobiliare, una dote sostanziosa e, dulcis in fundo, i parenti erano molto vicini alla curia papale.
È ovvio, Clarice attrasse l’attenzione della famiglia de’ Medici grazie soprattutto al suo cognome: Orsini. Un cognome altisonante e decisamente importante dal momento che il cardinale Latino Orsini era suo zio e che all’interno della sua famiglia si potevano annoverare una quarantina circa di altri cardinali.
Era ricca, e la sua dote fece certamente gola alla madre di Lorenzo che si ingegnò a dovere per darla in sposa a suo figlio convincendosi che la soluzione migliore per espandere il potere della famiglia e per sanare alcuni debiti della banca fosse quella di stilare un contratto di matrimonio con la fanciulla in questione.
Insomma, Lucrezia fece molto bene i suoi calcoli in quanto il nome Orsini rappresentava un trampolino di lancio: e certo non si sbagliava, visto e considerato che poco tempo dopo, nel 1513, suo nipote Giovanni salirà al soglio pontificio con il nome di Leone X.
Ma per Clarice, donna, moglie e madre, non possiamo dire che sia stato lo stesso.
Clarice portò con sé una cospicua dote, 6000 fiorini romani i quali irrobustirono certamente le finanze dei Medici; loro, come contropartita, accettarono di versare una somma molto inferiore, pari a un quarto della dote stessa.
La giovane sposò Lorenzo il 4 giugno 1469 e la famiglia la accolse celebrando le nozze in modo imponente: si banchettò per tre giorni, furono uccisi 150 vitelli, 4.000 capponi e svuotate molte botti di vino toscano e non; gli sposi e gli invitati si deliziarono con 17 quintali di dolciumi e confetti.
Le mense furono allestite nel giardino e nel cortile di palazzo Medici, dove erano collocate coppe di rame con vini di vario tipo intorno al piedistallo del David di Donatello. Sempre nel giardino venne organizzata la messinscena di una commedia mentre per le strade sfilarono carri allegorici con drappi e fiori. Alla sposa fu assegnato un posto in mezzo a cinquanta giovani dame sedute con lei al tavolo sistemato nella loggia del giardino; nella balconata superiore Lucrezia, seduta con le dame più mature di età, sovrintese le celebrazioni. Chissà se la schiva Clarice, dal “capo non ardito” (come l’aveva descritta la futura suocera), avrà apprezzato tanta magnificenza!
La sua fu un’esistenza breve ‒ morì a soli 34 anni ‒ trascorsa nell’ombra, vicino a un marito e a una città che non volle o non poté comprendere. La sorte e le strategie politico-familiari l’avevano messa al fianco dell’uomo simbolo del Rinascimento: un politico, un mecenate, un poeta, un filosofo, l’allievo di Marsilio Ficino, l’amico di Pico della Mirandola.
Lorenzo amava le arti tanto quanto Clarice non riusciva a comprenderle e ad apprezzarle.
Lucrezia Tornabuoni, nelle lettere inviate al marito Piero durante la trattativa per il matrimonio svoltesi a Roma, aveva scritto: «E’ di gran modestia, e faremo di ridurla presto ai nostri costumi». Invece, l’animo di Clarice non si adattò mai alla vivace vita toscana. Straniera, cresciuta negli ambienti di una Roma cristiana non ancora trasformata dalla fastosa corte papale, educata in una salda fede religiosa, rimase sempre estranea agli interessi che avevano animato le donne della casata prima di lei.
Per esempio, Clarice non amerà mai la letteratura: riuscirà persino a ottenere l’allontanamento di Agnolo Poliziano come precettore del figlio Giovanni. Per lei quell’uomo minava l’educazione dei propri figli, insegnava le lettere classiche, la grandezza dei greci e l’abilità dei romani; in altre parole riempiva loro la testa di idee pagane. Cose di nessuna importanza per la pia Clarice che a suo vedere andavano soltanto a discapito della dottrina cristiana. Ma, diversamente da quel che si potrebbe pensare, Lorenzo non sconfessò mai e in alcun modo l’operato della moglie e per tutta risposta il figlio Giovanni continuò a studiare le sacre scritture.
Sarà forse stata questa la sola, piccola, ribellione di Clarice?
«Clarice non si fa ‘addomesticare’ – scrive Piero Bargellini in un saggio – e le dolcezze di Palazzo Medici le restano estranee. Mantiene il suo carattere di romana, ferma e dura». Più semplicemente, ella volle rimanere sempre fedele a se stessa. Perché Clarice fu La Moglie, quella moglie che tutti si aspettavano che fosse: pacata, non brillante ma prolifica, una nobildonna che pur restando per tutta la vita al proprio posto e in ombra, seppe conservare saldi i propri valori e le proprie idee.
«Detta fanciulla mi pare di ricipiente grandezza, molto bella e bianca» ebbe ancora a scrivere di lei la futura suocera: ed in verità, i suoi fianchi generosi portarono alla casata ben nove eredi fra maschi e femmine e sette di loro arrivarono all’età adulta. Grazie a Clarice, il buon nome dei Medici fu salvo e la potenza della famiglia accresciuta.
Lorenzo la volle sempre al suo posto come legittima sposa pur non provando nei suoi confronti lo stesso amore che nutriva per la sua amante Lucrezia Donati, ma provando comunque affetto e molto rispetto per la sua persona: nessun’altra donna prenderà mai il posto della consorte seppure nella dimora di via Larga – più opificio del pensiero neoplatonico e cantiere delle arti che non un vera e propria abitazione per Lorenzo – Clarice vivrà davvero poco.
Nei vent’anni passati accanto al marito, la Orsini trascorrerà insieme ai figli buona parte del suo tempo nella villa di Cafaggiolo: il Magnifico non ama la vita in campagna e le attività che vi si svolgono. E mentre lei lo attende paziente e gli invia selvaggina e lettere – «Mandovi un fagiano et una lepre, perché mi pare vergogna a mangiarli qui fra noi e noi» – lui discorre di questioni filosofiche e scrive poesie; più precisamente sonetti d’amore, probabilmente dedicati all’ altra donna, colei che occupa da tempo il suo cuore e i suoi pensieri.
Trascurata dal marito, non è nemmeno amata dalla bella Firenze. La suocera Lucrezia era stata un sicuro aiuto per le persone povere e bisognose, si era creata la sua strada autonoma ricevendo in cambio rispetto per il suo intelletto e la sua abilità. Invece Clarice non ama la mondanità, né le feste. Si limita a chiedere al marito favori per i fratelli e a intercedere per le congregazioni religiose a cui è legata.
Si concede un unico piacere: tornare a Roma, presso quel mondo che più si addice alla sua personalità. Lo fa la prima volta nel 1472 per assistere alle nozze del fratello Organtino Orsini; un secondo viaggio nel 1487 per il matrimonio della figlia Maddalena promessa sposa di Francesco Cybo, nipote di Papa Innocenzo VIII. Questo sarà l’ultimo della sua vita. Malata di tisi da diversi anni, il clima più mite e soleggiato di Roma non le giova.
Tornata a Firenze morirà il 30 luglio del 1488. Lorenzo non si trova in città e non rientra dopo aver appreso la notizia; deciderà solamente di abolire il divieto di non poter compiere cerimonie pubbliche, norma entrata in vigore dopo la Congiura dei Pazzi.
Clarice sarà seppellita con solenni funerali nella chiesa di San Lorenzo.
Così, in poche righe, si raccoglie la vita di questa Gran Donna, dimenticata dai più, come è capitato per molti altri personaggi femminili che invece hanno fatto la nostra storia.
«Vultui suavis, aspera manui / Dolce all’aspetto, aspra al tatto» recita il retro di una medaglia sulla quale la sposa del Magnifico ha il simbolo di una rosa spinosa: ma se Clarice aveva qualche spina, di certo Il Magnifico non si bucò.