Addio sogni di gloria
La donna ormai anziana e tristemente priva di ogni bellezza si appoggiò pesantemente al parapetto di legno intagliato che correva lungo la finestra della sua camera da letto spingendo lontano lo sguardo, oltre gli angusti confini che la visuale poteva offrirle. Sembrava quasi che rincorresse un sogno lontano, che ricordi impietosi si srotolassero su di lei, schiacciandola con il loro peso.
Allungò una mano verso lo specchio dalla cornice argentea posto su di un basso tavolino, in prossimità della poltrona sulla quale era seduta, una poltrona che sembrava contenere a stento le rotondità di un corpo ormai avviato verso un inarrestabile decadimento.
Anche il volto ormai non recava traccia alcuna di bellezza, pensò sconsolata, con le guance troppo paffute che sembravano rimpicciolire la bocca e facendo risaltare il naso aquilino, gli occhi affondati in un reticolo di rughe, eppure un tempo era stato un volto grazioso: certo niente a che vedere con quello di sua sorella, Maria Paola era sempre stata uno splendore, ma anche il suo poteva affascinare i cuori e del resto aveva catturato uno degli scapoli più ambiti sul mercato matrimoniale.
Eh, sì, Gioacchino era davvero un uomo splendido quando lo aveva incontrato, alto ed atletico, con un sorriso che scioglieva i cuori, uno dei generali più brillanti di suo fratello e neppure i quattordici anni che li dividevano avevano avuto un peso. Aveva sognato di arrivare in alto al suo braccio e per un periodo era sembrato che i suoi sogni si fossero realizzati ed in un modo che aveva dell’incredibile.
Era nata povera lei e ricordava bene il tempo delle ristrettezze, quando sua madre si affannava a mantenere tutta la piccola tribù dei Bonaparte con lavori di cucito e lei e le sue sorelle portavano vestiti rivoltati, perché anche i soldi che Napoleone mandava a casa, erano davvero pochi ed il periodo difficile. Poi, come una valanga inarrestabile, suo fratello era salito sempre più in alto ed onori e cariche erano iniziate a piovere su tutti loro, perché era indubbio che i Bonaparte fossero una famiglia molto unita.
Unita, certo, ma quando tutti erano poveri e disperatamente ambiziosi. Non appena soldi e titoli erano stati alla loro portata, erano iniziate liti e gelosie. Già all’incoronazione di suo fratello lei e le altre due ragazze Bonaparte avevano protestato perché volevano essere designate Altezze Reali, in modo da non doversi sentire inferiori alle cognate Ortensia e Giulia.
Successivamente, erano stati nominati, lei ed il suo brillante consorte, Duchi di Berg, ma certamente lei non si poteva contentare di quel regno da operetta, minuscolo ed insignificante. Ovvio che aveva protestato ed alla fine…il miracolo, lei e Gioacchino erano diventati Re e Regina di Napoli!
Ma qui erano anche iniziati i dissapori con suo marito che sentiva, in un certo qual modo, di dovere quell’elezione non tanto ai suoi meriti di brillante ufficiale, ma al fatto di aver sposato la sorella dell’Imperatore. Anche quando aveva assolto i suoi doveri di reggente, le critiche non le erano mancate, ma lei aveva tirato diritto, tanto da siglare quello che era stato poi definito dai suoi familiari come il più infame tradimento nei confronti di suo fratello, ma lei voleva disperatamente conservare il trono per sé e per i suoi figli ed aveva accettato di far entrare Napoli nella coalizione antifrancese.
Ma era servito a poco, solo a guadagnare un po’ di tempo perché gli inglesi non riconoscevano il trattato firmato con l’Austria ed alla fine anche Murat aveva nuovamente cambiato campo, passando sotto le file di Napoleone che era fuggito dall’Elba e gli austriaci l’avevano abbandonata al suo destino.
E tutto era crollato….la disfatta di Waterloo, la cattura e la fucilazione di suo marito, i familiari che si allontanavano da lei, giudicandola una persona abbietta, il triste esilio, la perdita di ogni radice, i figli maschi che se ne vanno in cerca di gloria.
Unica luce in tutto quel buio, il legame con Francesco Macdonald, militare napoletano di origini scozzesi che la seguirà nell’esilio, sempre vicino, sempre fedele, tanto da sposarla segretamente. Prima era stata a Trieste, poi, seguendo le orme di sua sorella Paolina e di suo fratello Giuseppe, aveva deciso di stabilirsi a Firenze, quasi che la città bagnata dall’Arno, fosse quella più capace di lenire il suo spirito abbattuto e ferito.
Prima si erano stabiliti, lei, Francesco e le figlie, in un palazzo di Oltrarno, vicino a Pitti, poi, forse per cercare una sistemazione che li portasse più vicini alla vita sociale e cittadina, Francesco aveva acquistato dai Grifoni il loro palazzo situato in Borgo Ognissanti. Gli anni erano passati quieti, le figlie si erano sposate, suo fratello Luigi l’aveva perdonata ed era stato suo ospite proprio a Firenze, ma lei non poteva dimenticare.
Adesso quando usciva nessuno la riconosceva, era solo una donna non più giovane, elegantemente vestita, ma anonima, lei che era stata la regina di Napoli. Macdonald, che l’aveva amata e protetta se n’era andato, così come molti dei suoi fratelli e sorelle. Paolina era morta nel 1825 ed adesso lei sapeva che il suo momento era vicino.
Tirò con forza il cordone del campanello e subito la cameriera accorse sollecita: “Chiamate la mia dama di compagnia, voglio uscire”, ordinò imperiosa. La dama in questione apparve dopo pochissimi minuti con in braccio il mantello della sua signora che lo indossò con il suo aiuto.
“Perdonate Madame”, fece con esitazione perché conosceva il brutto carattere di Carolina, “ma anche se maggio, il tempo è brutto e non credo sia il caso…” e si fermò raggelata da un’occhiata micidiale. “Sciocchezze, voglio solo attraversare la strada ed andare alla chiesa di Ognissanti, non è lontana”, fu la risposta.
Alla dama di compagnia non restò che ubbidire pur sapendo cosa la sua signora volesse andare a vedere. Voleva vedere se lo spazio per la sua tomba fosse pronto, quasi in un macabro desiderio di “cupio dissolvi”, una voluttà atroce di dissoluzione.
Uscirono e pur con difficoltà riuscirono ad arrivare alla chiesa. Carolina si diresse con passo sicuro verso il posto che aveva richiesto per il suo riposo eterno e batté per terra il bastone con cupa soddisfazione. “Qui, riposerò qui, e sul marmo dovrà essere scritto che sono stata Regina”, fece rivolta alla sua dama di compagnia che chinò il capo ossequiosa. “Ed ora andiamo, inutile stare qui al buio, c dovrò venire ben presto”. E con un fruscio di abiti si avviò verso l’uscita.
Carolina Bonaparte riposa ancor oggi nella chiesa di Ognissanti, testimone di un legame con la città di Firenze che legò la sua famiglia alla nostra città.