C’era una volta Canapone
Quando ero piccina, vale a dire parecchi anni fa, nel parco della mia città, a Le Cascine, c’era uno spazio abbastanza ristretto chiamato Piccolo Zoo: era gestito dallo stesso Comune cittadino.
In recinti o gabbie, decisamente angusti, vivevano volatili, cinghiali, scimmiette, ed altri esemplari di animali di dimensioni anche più grandi.
Seppure disturbati dal via vai continuo dei visitatori, anatre e porcellini d’india non se la passavano nella maniera peggiore.
I più sacrificati erano, invece, gli animali più grandi, relegati in degli spazi dalle dimensioni quasi certamente inferiori a quelle di un normale zoo del tempo.
Ricordo benissimo di un’aquila reale, che se ne stava tristemente reclusa in una piccola voliera assieme ad altri volatili, di una famiglia di macachi che emettevano gridolini isterici ogni volta che qualcuno passava di fronte alla loro gabbia. Ricordo anche che c’era un leone un po’ dormiente sempre insieme alle sue leonesse , una tigre e un ghepardo.
A miei tempi, c’erano pure due dromedari: uno dei due era particolarmente vorace e mangiava praticamente tutto quello che gli veniva offerto: mi ero fatta l’idea che soffrisse d’indigestione, un giorno sì ed uno no.
Non ho mai gradito vedere gli animali in gabbia, ne’ tantomeno vederli costretti ad esibirsi in una sorta di spettacolo, ammaestrati quanto intimoriti dallo schiocco di una frusta tenuta in mano da un domatore; ma quando ero bambina, andare allo zoo oppure al circo rappresentava un giorno di festa, tutto dedicato a me.
E allo zoo, ci andavo spesso di domenica mattina con il mio amatissimo nonno. Fu proprio in una di quelle occasioni che il nonno mi raccontò di una triste storia.
Fino al 1966, ovvero poco prima che io vedessi la luce in questo mondo, nel medesimo recinto nel quale allora erano ospitati i due dromedari, aveva trascorso la sua esistenza un altro animale, un loro parente alla lontana, vale a dire un cammello o come qualcuno ha fermamente sostenuto al tempo, una cammella.
Il fatto che fosse maschio o femmina, non è poi molto importante ai fini della nostra storia; la cosa particolare è che, lui o lei che fosse, non fu mai considerato come un cammello qualunque. A differenza degli ultimi arrivati, come di tanti altri animali che avevano popolato lo zoo in precedenza, a lui il popolo fiorentino scelse di dare un nome proprio: per grandi e per piccini divenne il Canapone e tutta Firenze lo conosceva e gli voleva bene.
Canapone era stato anche il soprannome dato a Leopoldo II, il nostro Granduca di Toscana; la somiglianza di colore tra i capelli del duca ed il pelo del cammello, li accomunava. Pare, infatti, che fossero entrambi piuttosto sbiaditi!
Canapone era un buon animale, paziente con i bambini che lo disturbavano di continuo e un po’ biascicone come, del resto, era giusto che fosse!
Per molte delle nostre famiglie quel piccolo zoo, con i suoi animali, con il Canapone, rappresentava una meta fissa nelle passeggiate domenicali, una piacevole consuetudine.
Ma con l’Alluvione del 4 novembre 1966 anche lo zoo, come il resto della nostra città, andò distrutto, travolto e poi affondato nelle acque melmose dell’Arno.
Tutti gli animali dello zoo morirono, non ebbero via di scampo; esclusione fatta per la cerva Matildae la cinghialessa Esmeralda, che riuscirono miracolosamente a mettersi in salvo.
Il povero Canapone fu trovato morto il giorno dopo, il 5 novembre 1966. L’ospite più famoso del Piccolo zoo de Le Cascine, il più amato dai bambini dell’epoca, non era sopravvissuto all’esondazione.
Per lunghi mesi dopo il disastro, i bambini continuarono caparbiamente a portare pane secco e noccioline allo zoo, depositando quelle modeste offerte di fronte al recinto dove era stato ospite il loro amico ormai scomparso; fu così che i titolari del Circo Equestre Palmiri, commossi per l’affettuosità del gesto, regalarono due dromedari alla città.
Con i dromedari e qualche altro animale, lo zoo fu riaperto, sebbene in forma ridotta rispetto a prima. Io ci andai per tanti anni, la domenica mattina e, anche se non lo avevo mai conosciuto, nel rispetto di quello che nonno mi aveva raccontato, mi soffermavo sempre a lungo vicino al recinto dei dromedari e con infantile ingenuità, recitavo una preghierina in memoria dell’ ormai defunto Canapone.
Ricordo che lo zoo venne definitivamente chiuso, per volontà comunale, negli anni ‘80: ma quando questo avvenne, io ero già grande, frequentavo il liceo e la domenica mattina, allo zoo in compagnia del nonno, non ci volevo più andare.
Sono trascorsi almeno trent’anni da allora: ancora oggi, Canapone vive nella mia memoria come in quella di chi era bambino o genitore a quel tempo. Per la bontà e la simpatia che a tutti ha ispirato è tuttora ricordato, con immutato affetto, anche in molti siti online che raccontano di usi e costumi della nostra città, di un tempo che fu.
Basti pensare che, nel 2006 per il Cinquantenario dell’Alluvione, era stata anche lanciata la proposta di rendergli omaggio con una statua, un simbolico gesto di amorevolezza comune per commemorane la memoria, da erigere laddove tanta gioia aveva portato agli umani, a scapito ahimè, della sua stessa libertà.
Un bel gesto, volto forse anche a ricordare con un laconico sorriso, come le famiglie di una volta trascorressero le loro domeniche: semplicemente insieme, godendo di una salutare e piacevole passeggiata nel Parco de Le Cascine e di una visita alla zoo, per salutare Canapone.
Un’epoca incancellabile per molti di noi che siamo stati giovani in quegli anni: immagini e ricordi che sono uno spaccato suggestivo e prezioso di una Firenze forse un po’ malinconica da ricordare, ma sicuramente bella da rivivere.
Tratto dal libro “Per le Antiche Strade di Firenze” a cura di Barbara Chiarini edizioni Masso delle Fate- Signa, 2020