Le vostre storie,Storie dal passato

La notte dei ponti

I due giovani, una ragazza giovanissima ed un uomo di diversi anni più grande, erano sgattaiolati nell’oscurità che pietosa stava avvolgendo la città martoriata, un’oscurità, rotta solo dalla luce della luna che sembrava splendere come non mai, piena e limpida che era una meraviglia, e dagli occasionali lampi dei mortai che si incrociavano sopra il cielo fiorentino.

Non erano però una coppietta che cercava solo un po’ di intimità, perché entrambi facevano parte delle squadre partigiane che operavano per liberare la città  e quindi il loro era un lavoro di ricognizione. 

Uno dei due era riuscito non si sa come a rimediare un binocolo e questo permetteva loro di osservare meglio quello che accadeva sulla riva opposta, notando anche che il movimento intorno ai ponti si era intensificato.

Si sentivano anche degli spari isolati, anche se non riuscivano a comprendere quale provenienza avessero, erano troppo lontani, ma quando questi tacevano, tutt’intorno sembrava ammantato di un silenzio spettrale.  

Questi movimenti mi convincono sempre meno – fece l’uomo preoccupato mentre studiava le mosse dei genieri germanici – non mi convincono per nulla. Scommetti, che quei dannati, stanotte hanno intenzione di far saltare i ponti?” – e mentre la ragazza scuoteva la testa ammutolita proseguì seguendo la sua idea.

Ma certo, sta sicura che lo faranno, tanto più che hanno saputo che gli alleati si apprestano ad entrare in Oltrarno.

Lei non fece in tempo nemmeno ad irrigidirsi perché, prima ancora che potesse aprire bocca, un boato tremendo sembrò squarciare l’aria, mentre un bagliore infernale rendeva la notte uguale al giorno.

I due avevano le orecchie rintronate, ma i boati non cessavano, anzi sembravano prendere ancora più vigore.

Il ponte alle Grazie era saltato e subito dopo quello alla Carraia alla aveva subito la stessa sorte, seguito da quelli di San Niccolò e da Verrazzano.

Anche i palazzi dei lungarni posti sulla riva destra, le antiche torri, vanto di Firenze, le antiche strade ai lati del Ponte Vecchio, saltavano in aria, in un crescendo di boati, preda di una furia belluina, mentre gli incendi provocati dalle esplosioni, completavano l’opera di distruzione e nuvole di fumo grigio si sollevano fino al cielo.

Dalla buca nella quale si erano acquattati, lo spostamento dell’aria provocato dalle esplosioni li sfiorò più volte, portando con sé polvere e detriti.

Erano li, impotenti, mentre il cuore della loro città e la loro anima, andavano in mille pezzi e gli incendi che si intensificano sempre di  più, ampliavano l’orrenda opera di distruzione.

Li odio, spero che crepino tutti dal primo all’ultimo, maledetti” – esclamò con ferocia, la ragazza, mentre fissava con volto impietrito quello sfacelo – “li odio, questa non è una guerra, questa è una distruzione programmata che mira soltanto all’annientamento di individui e cose, talmente disumanizzata che sembra partorita da un incubo. 

Non si riconosceva più, adesso che la violenza di questo malvagio sentimento allo stato puro si era impadronito di lei.

L’uomo la strinse a sé con un moto che riassumeva protezione e tenerezza. Era tanto forte quella ragazzina che gli avevano messo al fianco, ma in quel momento era più simile ad una bimba smarrita e lui sentiva il desiderio di darle quel poco di conforto che poteva, poco perché anche in lui l’amarezza era immensa.

Rimasero nel loro posto di osservazione per tutta la notte, una notte illuminata da incendi che si sviluppano a ripetizione fra le macerie delle case, sperando ad ogni boato che non si trattasse del ponte che entrambi amavano, il Ponte a Santa Trinita.

Poco dopo l’alba, quando già il cielo si schiariva, notarono che era ancora in piedi, ma non fecero in tempo a rallegrarsene che, grazie al binocolo, videro delle figure che si affannavano intorno ai suoi piloni.

Poco dopo, alcuni scoppi ravvicinati squarciarono nuovamente l’aria, ma il ponte restava ancora in piedi. Una, due esplosioni, ma niente, il vecchio ragazzo resisteva impavido, quasi a voler sfidare i suoi tormentatori. Poi l’urlo finale, uno schianto terribile, ed anche il vanto di Firenze, fu ridotto ad un cumulo di macerie.

“Anche tu” – mormorò la giovane – “anche tu che eri il vanto dei veri fiorentini, tu che avevi resistito impavido a piene ed inondazioni, che avevi sfidato il fiume innumerevoli volte, ora sei caduto preda di una forza troppo grande e malvagia per poter resistere! 

Le lacrime che avevo dentro da troppi giorni e che non era riuscita mai a versare, cominciarono ad uscire e pianse, irrefrenabilmente. Pianse per gli amici morti che non avrebbe più rivisto, per le ferite che erano state inflitte a Firenze, per quello che amava definire “il nostro ponte”, per la loro giovinezza rubata.

Le lacrime scorrevano, ma neppure l’uomo ne era immune, notò fra un singhiozzo e l’altro mentre lo abbracciava convulsamente. Dopo un poco, lui ritrovò la voce ed il buon senso e la esortò ad alzarsi.

Il Ponte alla Vittoria era ancora in piedi, disse, segno che era su quello che dovevano transitare le ultime truppe tedesche, prima che gli artificieri appostati sull’altra riva, facessero brillare le mine con le quali lo avevano imbottito e loro, così fece notare, erano abbastanza vicini al ponte ed esposti, ora che faceva giorno chiaro, alla loro vista.

Aveva ragione, e così, movendosi curvi e con circospezione riuscirono a riparare verso la piazzetta di San Felice. Il silenzio era assoluto, irreale dopo i rombi tremendi che  avevano loro squarciato le orecchie e sembrava di camminare in un mondo caduto sotto un sortilegio crudele.

Mentre si affrettavano verso un riparo, udirono dei passi pesanti ma cadenzati che rompevano il silenzio terribile, con un rumore da tregenda. “I tedeschi – il sussurro dell’uomo riportò bruscamente lei alla realtà – sono gli ultimi reparti che si avviano verso il centro cittadino, devono essere riusciti a sganciarsi dai partigiani”.

I passi sembravano ritmare la marcia funebre per la città, ridotta ad una massa di rovine, pensò la giovane mentre volgeva uno sguardo disperato all’intorno.

Andiamo”- la sollecitò lui e poi con un accenno di sorrise che a lei parve meraviglioso, aggiunse: “ed il ponte a Santa Trinita lo ricostruiremo, vedrai, lo ricostruiremo ancora più bello!”.

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Antonella Bausi

Antonella Bausi nasce a Firenze nel 1956. Laureata in filosofia, bibliotecaria presso l’Istituto tecnico Leonardo Da Vinci, ha da sempre nutrito una forte passione per la storia tutta, per Firenze in particolare, e per la scrittura in generale.

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