Accade oggi,La Firenze dei Fiorentini

4 novembre 1966: una cicatrice che non va più via

 

4 novembre 1966: sono passati cinquantasei anni anni da quando l’ Alluvione colpì con la sua furia di acqua e fango la città di Firenze, i suoi cittadini e l’immenso patrimonio artistico che essa raccoglie.

Era un venerdì di festa nazionale e, dopo giorni di forte maltempo, i fiorentini si svegliarono con l’Arno che aveva invaso la città trascinando tutto con sé. Una targa in via dei Neri, nel quartiere di Santa Croce, ricorda il punto più alto raggiunto dalla piena: 4 metri e 92 centimetri.

L’acqua invase tutta la città. Da Rovezzano a S.Salvi, Gavinana e poi nel centro storico: Oltrarno, San Frediano, Santa Croce, dove con la rottura della spalletta di piazza Cavalleggeri la furia del fiume fu ancora più devastante. Crollò il lungarno Acciaiuoli e parte di quello Corsini. Esondarono più di settanta milioni di metri cubi di acqua. 

Nessuno pensava che qualcosa del genere sarebbe potuto accadere, sebbene avesse piovuto tanto sul finire di ottobre e senza sosta il 3 novembre. E sebbene l’Arno, la sera prima di quel 4 novembre fosse “gonfio” da far paura, ai fiorentini non fu dato nessun allarme e purtroppo, se ne dovettero accorgere diversamente, dalla finestra, in strada, oppure ricevendo una chiamata. Qualcuno se ne accorse ancor più tragicamente, perché l’acqua gli giunse fino in casa. Molti furono costretti a salire sui tetti per salvarsi. Lo fecero anche i detenuti del carcere delle Murate, alcuni dei quali, approfittando degli eventi, evasero.

Morirono trentacinque persone: diciassette  a Firenze, diciotto in provincia. E una moltitudine perse casa, bottega, negozio. Ma probabilmente, se non fosse stato un giorno festivo, le vittime sarebbero state molte di più. Infatti, per diverse ore si era temuto che i morti, soprattutto nel capoluogo toscano, fossero centinaia poiché l’acqua, nella sua furia distruttiva, aveva inondato diversi negozi e trascinato via di tutto, compresi dei manichini che, scorrendo nelle acque tumultuose gonfie di fango e detriti di ogni genere, sembravano cadaveri.

Tutto si allagò, i musei, le chiese, i luoghi d’arte: l’acqua entrò in Palazzo Vecchio, nel Duomo, nel Battistero, sventrò le botteghe degli orafi sul Ponte Vecchio e procurò gravi danni anche al soprastante Corridoio Vasariano.

L’Arno ruppe gli argini, dopo giorni di pioggia, poco dopo le cinque di mattina all’altezza del lungarno Acciaioli e del lungarno delle Grazie, mentre il torrente Mugnone inondava la zona intorno al Parco delle Cascine. Fu un attimo, l’acqua entrò in città e travolse tutto: case, negozi, monumenti. Furono migliaia le opere d’arte danneggiate, milioni i volumi di libri sommersi, oltre ventimila le macchine trascinate via. Oltre alle trentacinque vittime, furono quasi ventimila  le famiglie alluvionate e in quattromila rimasero senza casa.

Solo verso sera l’acqua, che aveva continuato a salire per buona parte del giorno, iniziò a ritirarsi, lasciando dietro di se’ vittime, desolazione, un mare di fango e l’intera città al buio e al freddo.

Quel 4 novembre 1966 le strade divennero torrenti, neri per la nafta uscita da caldaie e serbatoi, con decine di persone, auto, bidoni, tronchi, opere d’arte e animali trascinati via…

Tantissimi furono però i volontari , soprattutto giovani, che arrivarono da tutt’Italia e anche da altre parti del mondo, per aiutare la nostra Firenze, in soccorso della popolazione ma anche del patrimonio artistico colpito. Grazie alla definizione coniata dal giornalista del Corriere della Sera Giovanni Grazzini, questi uomini furono soprannominati gli “Angeli del fango”. 

E angeli lo furono davvero, in quanto da volontari e nulla più, si sacrificarono per dare una mano a spalare la melma, a distribuire viveri, a recuperare i libri, i quadri e le molte altre opere d’arte. In quei lunghi giorni, i nostri custodi dormirono dove capitava e quasi si dimenticarono di mangiare.

Tra coloro che accorsero a Firenze, per dare una mano a esercito e forze dell’ordine, c’erano anche persone che poi sono diventate famose. Rammento Pier Luigi Bersani, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, il cardinale Betori e altri vescovi.

«Fiorentini! In questo momento mi giunge la triste notizia che l’acqua dell’Arno è arrivata in piazza del Duomo. In alcuni quartieri è al primo piano. È lì che deve giungere anche l’aiuto più urgente. Invito tutti alla calma e a ridurre al minimo la circolazione, mentre prego i possessori di battelli di gomma e di mezzi anfibi, anche in plastica, di farli affluire in Palazzo Vecchio, per gli immediati soccorsi sanitari, alimentari e di salvataggio», questo il comunicato agghiacciante che l’allora sindaco Piero Bargellini inviò ai suoi concittadini via radio. 

A quel tempo, io non ero ancora nata; la mia mamma era in dolce attesa e siccome mancavano pochi mesi al parto, si era trasferita a casa dei miei nonni, i quali abitavano vicino a Piazza San Marco ad un terzo piano. Pertanto, non ho vissuto quei momenti terribili e, per fortuna, neppure i miei familiari furono mai in pericolo di vita. Poiché peraltro abitavamo vicino alla Questura, mi è sempre stato riferito che non patimmo neppure troppi disagi;  furono ripristinate in fretta anche l’acqua corrente e pure l’ elettricità. 

Ma, a causa della tracimazione delle acque in Piazza San Marco, gli uffici, i magazzini e le sale campionarie dell’attività di rappresentanze di famiglia che si trovavano al piano terreno  subirono degli ingenti danni economici, e tutta la merce andò distrutta. Così come successe a molti altri.

In casa mia, i tanti racconti, gli episodi piu straordinari, sono stati argomento di conversazione e di relative riflessioni per molti anni; gli scatti fotografici di come erano ridotti i fondi sono rimaste appese alle pareti dei nostri uffici per decenni. 

Nei giorni che precedettero l’alluvione , il mio nonno si era recato  fuori città per motivi di lavoro. Lo faceva spesso. Quando accaddero i fatti, Firenze rimase isolata: saltati i telefoni, la luce, interrotte anche le autostrade e la ferrovia. Mentre l’Arno invadeva la città, per molto tempo nessuno (neppure a Roma) si rese conto di quanto stava succedendo. Non esisteva ancora un quartier generale della protezione civile né un’altra struttura in grado di monitorare l’evolversi di una situazione di crisi. Il fiume Arno, a monte di Firenze e dentro la città, non era nemmeno classificato in una delle categorie a rischio idraulico. Solo ore dopo i telegiornali e le radio nazionali iniziarono a raccontare. E le immagini crearono una mobilitazione senza precedenti. 

Il mio nonno, non perse tempo e in tutta fretta trovò modo di procurarsi da dei suoi clienti gommoni, calosce, salvagenti e un cospicuo approvvigionamento di viveri e medicinali. Fu uno tra i primi a rientrare in città (come ci riuscì, non saprei dirvelo!) e, appurato che nessuno della famiglia era in pericolo di vita, senza pensarci due volte sopra, preferì andare a prestare il suo soccorso, anziché mettere le nostre questioni in primo piano.

Come lo fece lui, così fecero in molti! Nelle ore e nei giorni successivi scattò una corsa contro il tempo mai vista prima,  per salvare non solo vite, ma anche il patrimonio artistico della città. 

Molti furono i danni irrimediabili, soprattutto a causa del fango che aveva ricoperto tutto. Su tanti monumenti, in tante chiese, restarono impresse le tracce del livello raggiunto dall’acqua. Anche la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze fu spalancata dall’Arno e dalle ante sbattute violentemente si staccarono quasi tutte le formelle del Ghiberti.

L’Alluvione aveva cambiato il volto della città di Firenze e di molti dei suoi quartieri. Non pochi, tra quelli che avevano perso tutto, preferirono trasferirsi e ricostruire altrove. 

Ma i fiorentini lavorando duramente, con tanta buona volontà e fatica,  si  risollevarono anche da questa catastrofe. La città del Cupolone tornò alla normalità in pochi anni. Ma la cicatrice è rimasta, impressa un po’ ovunque. Sui muri dei palazzi, sui libri, soprattutto  nei cuori e nelle menti di molti di noi.

Impossibile dimenticare, anche per chi come me, non era ancora nato.

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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