Un ricordo del 4 novembre 1966
Il viaggio a Montemignaio del 3 novembre 1966 si era svolto sotto una pioggia battente che non sembrava mai finire. Dalle colline venivano giù dei magli d’acqua incredibili e la nostra più grande preoccupazione era che lo zio Rolando non venisse a pranzo da noi come promesso.
La mattina del 4, il tempo si è messo al bello ed eravamo davanti alla chiesa pronti per andare alla Messa, ma la nostra attenzione era attratta dalla collina di fronte dove enormi i castagni si muovevano slittando verso valle e una grande smotta si portò via una casa quasi fosse fatta di carte da gioco e non di solida pietra.
Non c’erano i cellulari ma dai transistor si sentivano delle notizie strane: pareva che le strade di Firenze fossero state invase dall’acqua. E fu così che il 5 mattina il mio babbo decise di tornare a casa per vedere cosa stesse succedendo. A Pontassieve la strada era interrotta e dovemmo passare da San Piero a Sieve e poi ci fermammo a mangiare dallo Zocchi a Pratolino ma lì nessuno sapeva niente più di noi di quello che stava accadendo in città.
Un autobus appoggiato per ritto ad un albero nel Viale Gramsci: questa è la prima immagine dell’alluvione che ho avuto e siamo arrivati a casa in mezzo montagne di detriti, di auto accartocciate ed un fetore tremendo.
Il Genio Civile, per togliere l’acqua dal centro, la sera del 4 aveva aperto le cateratte dell’Argingrosso e mandato tutta l’acqua nella zona di Mantignano, Ugnano e San Bartolo a Cintoia e la nostra fabbrica fu l’ultimo edificio ad essere alluvionato, il 5 mattina.
I giorni successivi furono terribili: tutti gli scatoloni di giocattoli, pronti per essere spediti per il Natale erano perduti; il lavoro di mesi si era trasformato in una montagna di rifiuti lunga cinquanta metri e alta quattro.
Ma non per questo ci si arrese: gli operai lasciavano la casa piena d’acqua per venire a recuperare e riparare le macchine da stampaggio; da Milano ci inviarono dei tecnici per aiutarci a ricominciare e la Montedison ci dette la materia plastica pagabile quando ne avremmo avuto la possibilità.
A distanza di tanti anni ancora mi sembra impossibile come dopo una settimana si stesse lavorando a pieno regime per recuperare il possibile e far fronte perlomeno una parte degli ordini.
Tutto sommato in famiglia non ce la cavammo male, infondo non ci mancava niente, tanto è vero quando un giorno mi feci dare da un camion dell’esercito del cibo da portare a casa, il mio babbo mi impose di riportarlo indietro perché c’era chi aveva molto più bisogno di noi.