Donne di casa Medici

Maria Salviati, l’esempio del materno amore

Maria Romola Salviati, moglie di Giovanni de’ Medici e madre di Cosimo I de’ Medici, il patriarca del ramo granducale dei Medici( 17 luglio 1499-12 dicembre 1543)

Se quando ho fatto il ritratto di Caterina Sforza, rampolla di una stirpe guerriera, ne ho dipinta l’ immagine  di una donna bella, grintosa e appassionata, passata alla storia con nomi di battaglia come la Leonessa delle Romagne o la Tigre di Forlì, adesso che invece mi trovo a tratteggiare i lineamenti della sua nuora, Maria Salviati, moglie di Giovanni delle Bande Nere e madre del Granduca di toscana, Cosimo I, devo farmi venire alla mente i sostantivi opposti: ella, di contro, fu infatti una donna di casa ben educata, sempre remissiva, anche se a mio vedere, mai passiva.

Maria sacrificò tutta la sua esistenza per il marito che non la considerò mai più di tanto, e per il figlio il quale, seguendo i suoi saggi consigli, vivrà un grande destino.

Due donne così abissalmente opposte, due donne che unite insieme ci porterebbero a pensare a quella figura retorica che utilizza l’accostamento di due parole dal significato opposto (il cosiddetto ossimoro), come dire “estate fredda – fuoco ghiacciato”: un  caso tutto al femminile ma che forse non fu così ossimoro come d’acchito si potrebbe pensare.

Ma partiamo dall’inizio.

La figura di Maria Salviati risulta, nella divulgazione storica, sempre un po’ oscurata dalla fama degli uomini che hanno fatto parte della sua vita; a partire dal marito, il famigerato e intraprendente Giovanni de’ Medici fino ad arrivare al figlio, Cosimo. Traspare dalle opere letterarie e dalle rappresentazioni pittoriche l’immagine di una Maria devota a un marito sempre lontano, costantemente immerso nelle numerose imprese di guerra: così come dopo che egli avrà perso precocemente la vita, ci verrà palesata l’ incarnazione di una vedova rassegnata e spogliata di qualsiasi frivolezza. Invece, alla distanza, emergerà diversamente la figura di una madre, consapevole del ruolo fondamentale che il figlio ricoprirà nella storia della famiglia Medici.

Volendo approfondire la conoscenza di questa donna, si comprenderà quanto le sue azioni e la sua tempra abbiano in maniera silente e impercettibile, influito sulla fama successiva sia di Giovanni, che di Cosimo, divenendo preponderanti per l’evoluzione della stirpe medicea medesima.

Maria nasce a Firenze il 17 luglio del 1499 da Jacopo Salviati e Lucrezia de’ Medici (primogenita di Lorenzo il Magnifico): ella appartiene quindi al ramo principale della casata Medici, quello di Cafaggiolo.

È un momento critico per la famiglia Medici, cacciata dalla città di Firenze tra il 1494 e il 1512, anno in cui vi rientrerà sotto la guida del cardinale Giovanni de’ Medici.

Ritratto di Maria Salviati con la nipote Giulia

Sono anni in cui il papato, alla cui testa c’è un altro Medici, Clemente VII, è gravemente insidiato dall’imperatore Carlo V e dal suo terribile esercito di Lanzichenecchi. Dopo le famigerate vicende del Sacco di Roma, è proprio il riavvicinamento tra il papa e l’imperatore a permettere a Clemente VII di riconquistare il potere a Firenze, grazie alla controversa figura di Alessandro de’ Medici, suo nipote o, più probabilmente, figlio.

Ed è in questo contesto che la vicenda personale di Maria Salviati si colloca temporalmente, condizionando in modo irreversibile il rapido susseguirsi degli eventi.

Maria entra molto presto in contatto con quello che sarà il suo futuro sposo: nel 1509, infatti, il piccolo Giovanni verrà affidato alle cure della famiglia Salviati dal momento in cui sua madre, Caterina Sforza, sarà fatta  prigioniera di Cesare Borgia a Roma. Giovanni appartiene al ramo mediceo dei Popolani. E’ pertanto evidente come un futuro matrimonio tra i due giovani potrebbe sancire il ricongiungimento dei due rami della casata. E così sarà.

Anche se Giovanni e Maria rappresentano gli opposti, (così come opposte sono le figure di lei e di Caterina), i Salviati prepareranno questo matrimonio per anni. Ed esso avverrà infatti, ma soltanto nel 1516.

Maria è modesta, paziente, schiva. Lui è feroce, eccessivo, aspro. Giovanni cerca sempre la rissa;  è cresciuto nei boschi, a cavallo, è un abile tiratore di spada costantemente perso in scorribande giovanili. Non vuole sposarsi con quella donna remissiva, oscura. Non la ama, la sente distante da sé, dalla sua vita, dal suo destino. Eppure è un’occasione d’oro per lui, un’unione simile lo metterebbe al riparo dalle trame dei parenti e lo riporterebbe sul livello più alto della famiglia. Tentenna, esita ma alla fine, si piega.

Maria Salviati giunge alle nozze con l’illusione di riuscire a dissipare i dubbi del suo sposo. Ma invece, non sarà mai così.

Giovanni trascorrerà tutti i 10 anni di matrimonio a combattere in varie battaglie in giro per lo Stivale, tanto che viene da chiedersi come abbiano fatto a concepire il loro figlio, Cosimo. Il nome del bambino sarà scelto dallo zio di Maria, papa Leone X, per il quale il mercenario Giovanni guerreggia con le sue Bande Bianche, che diverranno Nere dopo la morte del pontefice.

Ma anche quando sarà nato il figlioletto, per il padre non cambierà nulla. «E’ quattro mesi che vi partisti, che io ho avere ancora una parola di vostra mano (…)», lo richiama Maria in un lettera. Lui, dal campo, scrive all’amico Francesco Albizzi: «Leverete quella putta greca che io lasciai a Viterbo et mandatemela qua (…)» . Dunque mentre lei parla di doveri coniugali, lui si interessa di prostitute…

Ludovico di Giovanni de’ Medici, detto Giovanni delle Bande Nere (Forlì 1498 – Mantova 1526)

In effetti, il cospicuo epistolario di Giovanni dalle Bande Nere ci restituisce l’immagine di un uomo audace ma anche piuttosto intemperante, tanto presente e indubbiamente fondamentale per il mantenimento dello spirito di corpo sui campi di battaglia, quanto assente nella gestione dei delicati rapporti diplomatici e nelle questioni finanziarie che coinvolgono la famiglia.

E’ Maria che le gestisce, ed in questo suo compito ci appare una donna ferma, capace di assumere ruoli decisivi in più di una occasione. Probabilmente è grazie anche a una sua minuta di supplica del 5 dicembre 1523  se, l’anno successivo, il nuovo papa Clemente VII estinguerà i debiti di Giovanni a patto che egli, momentaneamente ingaggiato dagli imperiali, passi con i Francesi.

Maria si occupa di tutto e nel frattempo impiega ogni sua energia in quello che comprende essere il compito fondamentale: l’educazione del figlio Cosimo.

Non si trattò solo di istinto materno ma, più probabilmente, Maria colse l’importanza storica del ruolo che in un  futuro non troppo lontano, suo figlio ricoprirà.

Il grande capitano di ventura, invece,  non considera né la sua famiglia né tanto meno sua moglie: sembra quasi che fugga da se stesso in una perenne rincorsa della morte. E persisterà sempre nelle sue richieste di finanziamenti alla moglie per imprese belliche e “putte”, fintanto che Maria, a un certo punto sarà costretta a riprenderlo, scrivendo: «Qui manca la biada, e cosa alcuna. E grano da mangiare!».

Poi nel 1526, accade che quella morte tanto disprezzata, o forse tanto agognata, viene a trovare Giovanni dalle Bande Nere: dopo essere rimasto ferito da un reparto di lanzichenecchi diretti a Roma, la cancrena se lo divora in un batter d’occhio, portandolo via da questa vita terrena.

Maria Salviati, a soli ventisette anni «pur ancora fresca e di buona voglia»,  si ritrova vedova. Respingerà  però ogni richiesta, ogni lusinga, rinunciando fermamente a nuove nozze che pur sarebbero più che legittime,  dopo tanta sofferenza.

Ella è una vedova e tale vuole essere: e dopo la morte del marito, le uniche immagini che ci arriveranno di lei – grazie ad alcuni dipinti del Pontormo – ci trasmetteranno la dimensione di austerità in cui ella si chiuderà con assoluta fermezza .

Mai come a partire da questo momento, tutti i suoi sforzi saranno proiettati verso la legittimazione del ruolo che suo figlio Cosimo dovrà ricoprire.

Come era vissuta, aggrappata ad un matrimonio vuoto, così si immola a quell’unico figlio, per farne ciò che il destino chiede. Con pochi mezzi e grande dignità, Maria e Cosimo si ritireranno a vivere nel Castello del Trebbio. Lì vicino abitano un’altra Maria (Soderini) e il figlio Lorenzino, anche lui Popolano: i due ragazzi cresceranno in amicizia, ma il destino li vorrà rivali, l’uno assassinato su commissione dell’altro.

Lorenzo dei Medici detto Lorenzino per il suo fisico smilzo, anche conosciuto come Lorenzaccio

Lontano dai maneggi di Palazzo, Cosimo si farà un uomo sano, robusto e taciturno. Nonostante le ristrettezze economiche, la madre veglierà sull’educazione di questo pronipote del Magnifico: caccia e spada, ma anche latino e classici. Per pianare i debiti chiederà aiuto a Filippo Strozzi e già nel 1530 manderà il figlio ad assistere all’incoronazione di Carlo V a Bologna: pur se ogni ipotesi di regno sembra per lui remota, nelle sue vene i due rami della famiglia si ricompongono, e la madre vuole a tutti i costi che l’imperatore lo sappia.

Il lavoro di Maria è paziente, perspicace. Quando i Medici di Cafaggiolo tornano al potere, ella riuscirà a piazzare Cosimino al seguito del duca Alessandro: il ragazzo ne scorterà i viaggi a Napoli, a Roma, a Venezia, respirando tutte le trappole e le opportunità della politica. Maria vigilerà, sempre protesa verso la costruzione del Principe.

Quindi, nel 1537, l’arrivo al Trebbio degli ottimati cittadini,  la trova pronta: vogliono incoronare il diciassettenne Cosimo sul trono di Firenze, dopo che Lorenzino ha fatto a pezzi il dispotico duca Alessandro, spazzando via per sempre il ramo principale della famiglia. Cosimo è preparato, anche se chi gli è davanti non lo sa, e immagina di poter manipolare questo modesto adolescente di campagna. Errore!

In meno di un anno, il figlio del re delle Bande Nere, il nipote della Tigre di Forlì esautora i consiglieri, prende il potere assoluto, sbaraglia e mette a tacere chi tentava di opporsi (incluso quel Filippo Strozzi la cui generosità lo aveva soccorso nel bisogno). E commissiona l’omicidio di Lorenzino, eseguito spietatamente ben dieci anni dopo.

Adesso Maria è divenuta la Madre del Duca: lo scopo della sua vita si è compiuto, la scommessa è stata vinta. Ed una volta che sarà anche divenuta nonna, si occuperà della numerosa prole che Cosimo ed Eleonora le daranno.

Sprezzante del potere, rifiuterà persino la provvigione stabilita per lei e  – anche se a Palazzo Vecchio un appartamento sarà sempre pronto – lei tornerà a vivere al Trebbio.

“L’incoronazione di Cosimo I “, Ritratto di Agnolo Bronzino

Silenziosamente, come era vissuta, scomparirà dalla scena. Artefice, più che spettatrice, della più sfolgorante delle carriere politiche.

Maria si spegnerà  il 29 dicembre 1543 annientata dalla sifilide, la malattia che le era stata trasmessa dal marito e che l’aveva accompagnata per molto tempo della vita fino a intensificarsi terribilmente negli ultimi tre anni della sua esistenza.

Il figlio Cosimo, avvertito all’ultimo momento dell’aggravarsi della madre, non farà neppure in tempo a recarsi al suo capezzale per l’ultimo saluto.

La sua salma verrà trasportata a Firenze e sepolta nella tomba di famiglia nella chiesa di San Lorenzo.

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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