Il miglio verde fiorentino
Nel quartiere di Santa Croce si trova un’ antica via che nel nome ricorda coloro che, nei secoli passati, la percorrevano prima di essere condotti al patibolo.
La curiosità odierna consiste nella derivazione del suo nome – davvero un poco bizzarro – e pure nella sua storia. Via dei Malcontenti: se la cinematografia contemporanea fosse la nostra musa ispiratrice, potremmo anche rinominarla Il Miglio Verde Fiorentino!
Via dei Malcontenti esiste ancora oggi: è quella strada che, costeggiando Santa Croce dal lato sinistro (rispetto alla facciata) conduce fino alla Torre della Zecca.
Essa deve tale titolo al fatto che, in passato, costituì per secoli il tratto finale del tragitto che i condannati a morte percorrevano partendo dal Palazzo del Bargello (sede dell’organo di polizia) o dal luogo in cui erano reclusi (il Carcere delle Stinche), fino a raggiungere il sito dove si adempiva alle esecuzioni capitali, fuori dall’antica porta San Francesco (anche detta Porta alla Giustizia), la quale si apriva sui Prat alla Giustizia, ampi spazi verdi situati nei pressi della Torre della Zecca.
Lungo il tragitto per giungere alla loro destinazione finale (se non altro su questa terra!), i condannati venivano spesso sopraffatti dal popolo che li attorniava, subendo ingiurie e percosse: perciò si disperavano, gridavano e piangevano.
Peraltro, via dei Malcontenti non è neanche l’unica strada fiorentina che derivi il proprio nome dal macabro rituale della processione verso il patibolo: la stessa Via de’ Neri, che raccorda Via de’ Leoni e Via de’ Benci, è cosi intitolata in quanto, nei suoi pressi aveva sede la Compagnia dei Fratelli della Croce al Tempio. Di fatto, i Battuti Neri (ovvero gli appartenenti a questa confraternita), erano collegati in un certo qual modo, ai malcontenti: vestiti con un cappuccio di tela nera per celarne l’identità, essi avevano il compito di confortare spiritualmente i condannati a morte.
I cappucci neri vegliavano sui rei per tutta la notte prima che precedeva l’esecuzione della pena capitale: poi, al sorgere dell’alba li accompagnavano in processione fino ai Prati della Giustizia, la loro ultima destinazione terrena.
Nella Chiesetta al Tempio, fuori le mura, i condannati ricevevano in vita gli ultimi sacramenti: vi avrebbero fatto ritorno come spoglie mortali, per essere seppelliti nel cimitero adiacente, sempre vegliati dai Battuti.
Il percorso che i destinati a morte facevano per raggiungere il luogo delle esecuzioni rimase immutato per diversi secoli: partendo dal Palazzo del Bargello, il corteo dei morituri (accompagnati dai Fratelli Neri e dagli sbirri del Capitano del Popolo), percorreva Via de’ Neri, Piazza San Remigio, Via Malagotti, Borgo de’ Greci, Via San Giuseppe, fino a imboccare l’ultima strada, quella dei Malcontenti per quindi giungere ai Prati della Giustizia.
Nel 1531 il percorso fu soggetto a delle variazioni, ma questo non mutò certi il malcontento dei poveri condannati!
Infatti, a seguito dell’ assedio portato a Firenze dalle truppe imperiali che volevano restaurare il principato mediceo e dei conseguenti rafforzamenti difensivi attuati dai fiorentini presso alcune porte (soprattutto presso Porta della Zecca Vecchia), con considerevoli ammassi di detriti, il luogo delle esecuzioni fu spostato dallo spiazzo fuori la Porta di San Francesco al prato che si estendeva fuori Porta alla Croce.
Con lo spostamento dei patiboli, i condannati dovettero quindi seguire un diverso percorso, procedendo da Borgo degli Albizi, a Via Pietrapiana, poi Piazza Sant’Ambrogio, fino al prato che si estendeva fuori Porta alla Croce.
Elemento caratteristico di questo nuovo percorso divennero alcuni tabernacoli, costruiti appositamente lungo le suddette vie. L’intento era quello di consentire ai condannati una migliore disposizione spirituale, in previsione dell’ imminente momento del trapasso.
Ad oggi ne rimane a testimonianza uno soltanto: esso si trova all’angolo tra Via delle Casine e Via dei Malcontenti. L’affresco, realizzato da un discepolo dell’artista Niccolò Gerini ritrae l’immagine di una Madonna col bambino tra i Santi Giovanni e Pietro. Il tabernacolo è anche forgiato di un bello stemma con un pillo ed un mazzapicchio incrociati, insegna dell’Arte dei Tintori: infatti, in quella zona avevano sede tutti i laboratori dei tintori e pure la sede della loro Arte.
Purtroppo, quello che possiamo ammirare oggi è soltanto una copia dell’originale che fu sostituita dopo l’Alluvione del 1966.
Via dei Malcontenti non fu soltanto la strada più battuta dai condannati a morte: legato al toponimo della strada, vi è pure un altro aneddoto del quale si racconta che ebbe origine al tempo, una delle peggiori superstizioni in cui abbiano mai creduto i fiorentini.
Il 29 maggio 1503, il boia che aveva eseguito la condanna a morte di Giacomo Savonarola (nonché anche quelle dei suoi confratelli) venne ucciso a sassate sul Prato della Giustizia: il motivo della lapidazione a morte del carnefice fu che egli non aveva saputo tagliare la testa al condannato al primo colpo, aumentandogli di conseguenza la sofferenza nel morire. Il popolo che aveva assistito all’esecuzione, ne era rimasto talmente inorridito dal volersi rivalere con la vita del giustiziere medesimo. Quindi, dopo essere stato lapidato, il suo cadavere venne addirittura trascinato lungo tutta Via dei Malcontenti da un gruppo di fanciulli festanti.
Che dire. Erano tempi difficili per vivere, quelli!
Non rispettare la giustizia poteva far perdere la testa, ma anche chi la tagliava doveva stare bene attento ad averla sempre … sulle spalle!