Donne di casa Medici

Eleonora di Toledo, una hermosa alla corte dei Medici

 
Eleonora di Toledo (Donna Leonor Álvarez de Toledo y Osorio); Alba de Tormes, 1522 – Pisa, 17 dicembre 1562

Se Maria Salviati ebbe un matrimonio totalmente infelice e una vita votata al sacrificio per il marito, Giovanni delle Bande Nere e per l’unico figlio Cosimo, futuro Granduca di Toscana, sua nuora, Eleonora di Toledo, conobbe invece una vita matrimoniale felicissima, una valida relazione amorosa dalla quale nacquero ben 11 figli.

E se Maria Salviati fu donna schiva, appartata, oscura, di basso profilo – come  si direbbe ai giorni d’oggi – Eleonora fu invece un gran dama e come tale si comportò e si mostrò, sempre conscia del proprio ruolo, educata a una rigida etichetta di corte e al distacco. Eppure, nonostante i modi  tanto diversi, così come diverse si dimostrarono le vicende delle rispettive esistenze, le due donne non furono poi così distanti l’una dall’altra e andarono anche molto d’accordo.

Cosimo era, per via materna, un lontano discendente di Lorenzo il Magnifico, pur avendo per padre un semplice capitano di ventura, il tristemente noto Giovanni dalle Bande Nere, al giovane non mancava certo l’ ambizione: in un primo tempo, aveva messo gli occhi su Margherita, la figlia di Carlo V ma poi, fu lo stesso imperatore ad esprimergli il suo gradimento verso una delle figlie del fedelissimo viceré di Napoli, Don Pedro Alvarez de Toledo, il quale era una vera autorità, determinante nello scacchiere politico della penisola italiana.

Essendo i Medici da poco tornati al potere, per rafforzare la propria posizione, Cosimo necessitava di contrarre un matrimonio che gli permettesse di ottenere agganci politici e risorse economiche. Don Pedro decise pertanto di concedere a Cosimo la sua figlia primogenita, ma il duca volle a tutti i costi la seconda: giovanissimo, l’aveva conosciuta a Napoli e ne era rimasto turbato, ammirandone la grazia e l’eleganza, la folgorante bellezza dai lineamenti dolci e pieni di maestà,  lo sguardo fiero, come si addiceva alla figlia di un viceré.

Agnolo Bronzino, Ritratto di Cosimo I de’ Medici in armatura, 1545 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

Il suo nome era Eleonora. Bella e intelligente, si ritiene che sia stata, a buona ragione, la donna più bella entrata in casa Medici dopo Lucrezia Tornabuoni, la madre del Magnifico Lorenzo: castana, occhi nocciola, pelle d’alabastro, viso di un ovale perfetto, Eleonora di Toledo aveva un fisico slanciato e una grazia solenne.

La sua bellezza in vita è stata più volte ritratta anche da Agnolo di Cosimo di Mariano, meglio conosciuto come il Bronzino, abile ritrattista e pittore tra i più grandi del Manierismo fiorentino. Pure l’allievo preferito di quest’ultimo, Alessandro Allori, ebbe il privilegio di ritrarre Eleonora, ma il Bronzino resta l’unico ad essere riuscito ad immortalare non solo l’algida bellezza e la fiera eleganza della duchessa, ma anche la sua personalità. Perché basta una rapida occhiata ai suoi ritratti per capire che il soggetto rappresentato è una donna consapevole e orgogliosa del suo status e del suo essere.

Il dipinto più celebre del Bronzino è quello che raffigura Eleonora insieme al figlio Giovanni, realizzato nell’estate del 1545, durante un soggiorno della famiglia ducale alla Villa medicea di Poggio a Caiano. Si tratta di un ritratto ufficiale, oggi conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Lo sfondo, che a uno sguardo poco attento può sembrare una parete, è un cielo blu scuro che sovrasta una tenuta (probabilmente proprio quella di Poggio a Caiano) che s’intravede in lontananza. Sui volti dei protagonisti è possibile leggere le emozioni che l’artista ha saputo cogliere: lo sguardo di Eleonora, sempre un po’ malinconico, suggerisce la sua alterigia, mentre gli occhietti vispi di Giovanni rivelano l’irrequietezza del bimbo che è forse stanco di stare fermo in posa accanto alla madre.

Eleonora era nata in Spagna nel 1522; il 4 settembre di dieci anni dopo il padre aveva ricevuto l’incarico di Viceré di Napoli e così tutta la famiglia si era trasferita in Italia; nella città partenopea la nobildonna aveva trascorso gli anni dell’adolescenza ricevendo un’istruzione coerente con il suo rango, imparando a muoversi con stile tra le feste sontuose e abituandosi a seguire le rigide regole di una rigorosa etichetta di corte: un ambito culturale molto dinamico ed aperto in cui le donne avevano un ruolo che non era per niente subalterno a quello degli uomini.

Agnolo Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Giovanni de’ Medici, 1545, Galleria degli Uffizi, Firenze.

La giovane nobile ebbe come istitutrice una gentildonna ebrea: a lei si deve sicuramente la considerevole apertura culturale di Eleonora, ma soprattutto l’atteggiamento benevolo che nel corso della vita dimostrerà nei confronti degli ebrei.

Ripiegare sulla giovane Eleonora avrebbe determinato un contratto di nozze basato su una dote inferiore rispetto a quella proposta da Don Pedro per la figlia Isabella, ma questo “ripiegamento” costituiva comunque  una fortuna per il giovane Cosimo: egli sentiva in cuor suo che ciò lo avrebbe ripagato in termini di pax familiaris e serenità.

E poi, all’amor non si comanda! Così, egli ottenne la mano della giovane: al matrimonio per procura fece seguito quello religioso da celebrarsi a Firenze: la giovane partì da Napoli l’11 giugno 1539, accompagnata dal fratello Garcia e da un folto seguito della corte spagnola, per sbarcare a Livorno e poi fare il suo ingresso a Firenze il 29 giugno.

Il popolo fiorentino accolse la coppia in modo festoso e con grande allegrezza come scriverà Giorgio Vasari.

Leonor Alvarez de Toledo andò in sposa a Cosimo de’ Medici con una solenne cerimonia che si svolse nella basilica di San Lorenzo, la chiesa prediletta della famiglia Medici e una delle più antiche della capitale Toscana.

Per festeggiare degnamente la coppia che si accingeva a governare lo stato, la residenza medicea di Via Larga e le piazze vennero addobbate e decorate dai migliori artisti del tempo che letteralmente gareggiarono nel dare prova della loro arte e del loro gusto. I festeggiamenti, che prevedevano anche banchetti, musiche e rappresentazioni teatrali, proseguirono per alcuni giorni concludendosi con una distribuzione di elemosine per i poveri.

Isabella de Medici, duchessa di Bracciano, moglie di Paolo Giordano I Orsini (31.10.1542-15.07.1576)

Nello stesso palazzo che aveva ospitato il banchetto nuziale, gli sposi trascorsero i primi tempi della vita coniugale: ma ben presto la coppia ormai agitata da chiare smanie espansionistiche, cambierà idea e così l’intera famiglia deciderà di spostarsi nel Palazzo della Signoria. Il trasloco delle famiglie della corte avvenne il 15 maggio del 1540 in occasione della festa dello spirito Santo, con un festoso corteo che aveva anche un senso politico in quanto il palazzo, ospitando il governo cittadino era stato fino ad allora solo una sede politico amministrativa mentre ora diventava il palazzo ducale della città, l’abitazione del principe che deteneva il potere.

Una cosa del genere a Firenze non si era mai vista. Nell’antica residenza del governo repubblicano, dai tempi di Dante, quelle sale avevano ospitato solo Gonfalonieri e Priori, mentre una donna non vi aveva mai messo piede. C’ era chi scuoteva la testa indignato.

Ma a Cosimo I ed Eleonora di Toledo non importava. Ribaltavano, restauravano, abbellivano… La duchessa s’insediò nell’appartamento del Gonfaloniere riempiendo a poco a poco di figli i terrazzi dell’ultimo piano, inviando di fatto un messaggio forte e chiaro alla città: i Medici non erano più primi inter pares, erano divenuti gli unici dominatori.

Ed in effetti, molte cose con loro avvennero al di fuori dei cliché del tempo: anche il matrimonio, che fu considerato da tutti una vera storia d’amore, un patto matrimoniale di ferro, su cui venne imbastito un progetto economico, oltre che politico e sentimentale.

Eleonora fu una donna innamorata, nonostante questo termine possa sembrare anacronistico per l’epoca: alcune testimonianze sono preziose per comprendere quanto fosse solido il loro legame: per Cosimo non si trattava di dire “io” ma “noi” («Siamo entrati in possesso del palagio maggiore» scriveva nel raccontare il momento del trasferimento della coppia da Palazzo Medici in Palazzo Vecchio); il viaggiatore inglese William Thomas racconta che il duca «la ama così tanto che non va in nessun luogo senza di lei», mentre per la duchessa di Camerino, Caterina Cybo: «El Sr. Duca e Duchessa innamoratissimi insieme, mai stà l’uno senza l’altro».

Insomma,  Eleonora portò con sé, una vigorosa ventata di gioventù e di novità sia nella città che nella corte, che ancora erano incupite e oppresse da una pesante cappa di moralismo che faceva seguito alla tragica morte del Savonarola: una figura di donna nuova, molto moderna, emancipata e aperta alle novità culturali e di costume.

La maggior parte delle aristocratiche del tempo erano molto spesso donne di scarsa cultura e di nessuna capacità politica governativa: per  molte il massimo che la vita poteva riservare loro era, in caso di vedovanza, di diventare reggenti al potere per conto di qualche figlio minorenne; trascorrevano quasi sempre la loro vita nel lusso e nella banalità di una corte di persone servili e avide di ottenere privilegi.

Lucrezia de Medici, duchessa di Ferrara, Modena e Reggio

Eleonora non poteva appartenere a questa schiera, sia per educazione e cultura, sia per il carattere che si ritrovava: non era abituata a starsene dietro le quinte né tantomeno poteva badare esclusivamente ai figli oppure perdere tempo con balli e banchetti o con i pettegolezzi e le frivolezze delle dame di compagnia: non si lasciava influenzare, non delegava nessuno ma sapeva gestire da sé il proprio ruolo sia in privato che in pubblico. Ella fu quel genere di persona che sembra avere avuto il pieno controllo della propria vita, indirizzandola nel modo più opportuno per le esigenze proprie, della dinastia e dello Stato.

Nel leggere della sua biografia, viene quasi da paragonarla ad una first-lady contemporanea, abile a muoversi nel jet set e capace di padroneggiare anche la scena politica. Ella fu partecipe della gestione dello Stato, collaborò con il marito negli affari e gli fu sempre accanto nelle occasioni pubbliche più importanti. E quando Cosimo si  assentava per motivi di governo, Eleonora era abilissimo nel sostituirlo e nel rappresentarlo, dimostrando di possedere le capacità per poter reggere lo Stato in prima persona e lavorare insieme al marito per fornire un’immagine nuova di Firenze e soprattutto per rafforzare il potere della signoria.

Insomma, una personalità di sorprendente e non comune modernità.

Francesco de Medici, secondo Granduca di Toscana (25.03.1541-19.10.1587)

Eleonora dette prova di grande abilità anche nella gestione delle finanze: si potrebbe azzardare che sia stata un po’ il ministro dell’economia dello Stato fiorentino: la sua attività politica si concentrò infatti in modo particolare, sulla gestione finanziaria, e la sua azione fu fondamentale per ridare floridezza al patrimonio mediceo.

La guerra contro Siena aveva oberato di debiti tanto le casse dello Stato quanto il patrimonio dei Medici ed Eleonora contribuì a coprire il deficit con uno stanziamento personale. Avere rimesso in sesto le finanze di famiglia è un successo che non si deve solo all’apporto di capitali attraverso la dote ricevuta ma anche ad una personale capacità di amministrare le finanze e di accrescere il patrimonio, concordando con il marito una politica di consolidamento delle finanze attraverso oculati investimenti in immobili e terreni. La sua politica di gestione delle finanze e le sue relazioni personali le permisero, inoltre, di stabilire un canale privilegiato per i commerci tra la Toscana e il Vicereame di Napoli, con particolare riguardo a quello dei grani, di cui pare, si occupasse in prima persona.

Infine, era lei che esaminava tutte le richieste e le suppliche di ogni genere che venivano indirizzate a Cosimo ed esprimeva i pareri in merito ed ed eventualmente intercedeva presso il marito per particolari casi.

Nel 1549 Eleonora compra da Bonaccorso Pitti, il complesso di Palazzo Pitti: scopo principale di questo acquisto era il miglioramento delle condizioni di salute, propria e della famiglia. Eleonora e la sua numerosa prole, erano cagionevoli di salute, perciò ella pensava che abitare in un’aria meno affollata dal centro fiorentino, com’era quella di Oltrarno, potesse giovare la salute dei figli che avrebbero avuto l’opportunità di crescere all’aria aperta, avendo a disposizione un giardino arioso. Ma l’acquisto di Palazzo Pitti va visto anche nell’ottica di trasformare la vecchia dimora quattrocentesca in una residenza principesca provvista di giardini, che potesse competere con quelle delle grandi capitali europee. Nel Rinascimento, il giardino di pertinenza alle residenze assume un valore di fusione tra la natura e la casa, tra l’ architettura, l’ambiente e la cultura.

Inoltre, l’edificio era il più grande mai costruito a Firenze, ed era dotato di un vasto spazio retrostante denominato dei Boboli, antico toponimo che indicava aree boschive che si prestava bene il progetto di creare un giardino degno della nuova abitazione della famiglia ducale.

Palazzo Pitti, lunetta di Giusto Utens del 1599

Nascono così quelli che oggi chiamiamo i giardini di Boboli, uno degli esempi più splendidi al mondo di giardino all’italiana e una delle più preziose attrattive di Firenze, il cui merito va ascritto tutto ad Eleonora di Toledo.

Del progetto venne incaricato nel 1551 l’architetto Niccolò Tribolo a cui, nel corso degli anni, successero svariati architetti di corte tra cui Marco del Tasso, Giorgio Vasari e Bartolomeo Ammannati.

Oltre che ad essere un’abile amministratrice, in ambito privato Eleonora seppe essere un’ottima madre, padrona di casa impeccabile, moglie adorabile. Cosimo le fu sempre fedele e la rispettò. Lei sapeva come prenderlo, come mitigarne il carattere, fatto di pochi chiari e parecchi scuri.

Unico neo a tanto splendore, probabilmente, fu soltanto la nostra città, Firenze, che pare le andò sempre un poco stretta; in cuor suo, Eleonora  avrebbe ambìto a ben altri fasti…chissà!

Giovanni de Medici, Cardinale delle Santa Romana Chiesa (29.09.1543-20.11.1562)

A dirla tutta però, anche i fiorentini – non solo il popolo ma anche i dignitari della corte – non amarono mia particolarmente la duchessa, rimproverandola soprattutto per avere un carattere altezzoso e scostante. L’accusa non sembra essere infondata anche se ad attenuante di Eleonora c’è da tener presente che a Napoli la ragazza era cresciuta in un ambiente molto ostile verso gli spagnoli e in particolare verso il padre, Don Pedro, che sicuramente fu un viceré molto temuto e quasi per niente amato. Per questo motivo Eleonora aveva dovuto imparare molto presto a mantenere le distanze dalle persone, non tanto per una prerogativa di rango o di superiorità sociale, ma proprio come metodo di auto difesa.

Raramente la duchessa amava mostrasi in città a piedi e tantomeno a cavallo. Preferiva andarsene in giro chiusa nella sua lettiga foderata di raso verde all’interno e di velluto verde all’esterno, e lì se ne stava, riferiscono i contemporanei «come in un tabernacolo», senza neanche scostare le tendine per guardare e farsi guardare, distante e inaccessibile, accompagnata solo ed esclusivamente da un seguito spagnolo che si esprimeva nella sua madrelingua.

Eppure i fiorentini devono molto a quest’altezzosa spagnola che, nonostante evitasse di dare confidenza e non si abbassasse mai al livello dei suoi sudditi, si dimostrò assai magnanima nei loro confronti.

Di contro, la Chiesa manifestò sempre nei suoi riguardi grande indulgenza, apprezzandone le sue buone azioni: infatti, Eleonora si rivolse prontamente verso i bisogni del suo popolo, elargendo abbondanti elemosine, aiutando le fanciulle bisognose a costruirsi una dote, e sostenendo chiese, monasteri, associazioni di assistenza e il piccolo clero tutto, attingendo i fondi dalle sue rendite personali.

Ferdinando de Medci, cardinale di Santa Romana chiesa, terzo Granduca di Toscana (30.07.1549-07.02.1609)

Fuori dall’usuale fu anche la sua attività in campo culturale: Eleonora, infatti, era fermamente convinta che il mecenatismo non dovesse essere una pratica episodica ma un impegno costante nella politica di un governo, motivo per cui diede grande impulso e sostegno alla cultura e alle arti nel Ducato di Firenze.

La Duchessa vide l’inizio dell’edificazione degli Uffizi, ma non visse abbastanza per gustarsi il Corridoio Vasariano: Eleonora di Toledo pativa da anni di tubercolosi polmonare, ma erano soprattutto i figli a farla tribolare.

Il matrimonio fra Cosimo ed Eleonora, oltre che felice, era infatti anche stato particolarmente prolifico. Fecundissima fu definita la duchessa che diede alla luce undici creature, quattro femmine e sette maschi, in quattordici anni di matrimonio; aveva accettato e accolto tra le sue braccia materne anche Bia de’ Medici, la figlia naturale di Cosimo avuta da un amore di gioventù; la famiglia era stata così, per alcuni anni, animata da un’atmosfera gioiosa e da sentimenti positivi rispetto al futuro della casata che presentava orizzonti radiosi e stabili.

Purtroppo tutto si rivelò effimero: dopo la morte della piccola Bia, la stessa infausta sorte toccò alla primogenita diciassettenne Maria (1557) e alla più giovane Lucrezia (1661). Ma l’anno più devastante per la famiglia fu il 1562. Cosimo era stato abituato a recarsi personalmente nelle città del suo Stato dove ribadiva il suo potere e il suo ruolo e Eleonora lo seguiva quasi sempre.

Proprio durante il mese di novembre i due coniugi insieme ai figli Giovanni, Garzia e Ferdinando, si recarono a controllare i lavori di bonifica in Maremma. Qui si consumò la grande tragedia: Garzia, quindicenne, Giovanni, diciannovenne e Ferdinando, tredicenne, si ammalarono di malaria e solo l’ultimo – lo stesso che un giorno sarebbe succeduto al fratello Granduca Francesco I, forse addirittura assassinandolo – riuscì a guarire e  a sopravvivere; pochi giorni dopo, a dicembre, Eleonora, già cagionevole a causa della tubercolosi e duramente provata dalla perdita dei figli, contrasse lo stesso morbo e si spense all’età di quarant’anni.

Garzia de Medici (05.07.1547-16.12.1562)

Gli amici del tempo sostennero che con la sua dipartita, Cosimo perse più di tutti; senza la sua amata Eleonora sempre al fianco, si ritrovò senza il suo ago della bilancia.

Ma il destino nefasto e sciagurato, non aveva ancora mietuto tutto il suo male per questa bella famiglia: la bella Lucrezia morì poco dopo, probabilmente assassinata dal marito, il Duca di Ferrara.

Isabella invece, la radiosa stella di casa Medici, terzogenita di Eleonora, sopravvisse alle sorelle e alla madre di cui prese il ruolo istituzionale, fino a quando Paolo Giordano Orsini, non la uccise nella villa di Cerreto Guidi.

Comunque sia andata, la vita di Eleonora di Toledo, raffinata signora di Firenze, fu molto intensa, piena di gioia, dolore e amore, come per ogni buona vita che si rispetti.

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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