Via dei Pilastri
Della serie…in giro per Firenze⚜️!
Via dei Pilastri è una strada del centro storico di Firenze, situata tra piazza Sant’Ambrogio (angolo via Giosuè Carducci) a Borgo Pinti, oltre il quale l’arteria prosegue con il nome di via degli Alfani. Lungo il tracciato si innestano: via Luigi Carlo Farini, via de’ Pepi e via Fiesolana.
Il nome della strada è antico e si riferisce alla famiglia Pilastri, secondo il Verino originaria di Perugia e presente in città da prima della battaglia di Montaperti. Dovevano essere della parte guelfa e si estinsero relativamente presto, per cui la loro memoria è affidata oggi quasi esclusivamente al nome della via.
In via dei Pilastri vissero il pittore Cristofano Allori e lo scultore Antonio Susini.
La strada termina al Canto di Montiloro, tra Borgo Pinti e via Alfani, dove si trova il tabernacolo di Montiloro costruito a spese della Compagnia dell’Assunta la quale aveva nel suo stemma, appunto, un monte dorato. Si chiama anche Canto di Candeli (indicato in passato anche come “di Candiglia” o “Candigli“) e deve il suo nome forse a un oste di nome Candeglio che nei paraggi aveva la sua bottega.
Nella via si sono svolti due fatti di sangue che ebbero ampia eco in tutta la città.
Il primo ebbe luogo nella casa dei Canacci al n. 4, dove abitavano Giustino Canacci e la sua seconda moglie Caterina Brogi, oltre ai tre figli adulti delle prime nozze di Giustino, Francesco, Giovanni e Bartolomeo. La bella moglie, poco più che ventenne, aveva rifiutato la seduzione di molti, compreso il figlioccio Bartolomeo, ma non era stata indifferenze alle avances di Jacopo Salviati I duca di Giuliano. Quest’ultimo era maritato a una nobildonna, l’orgogliosa Veronica Cybo-Malaspina, figlia del duca di Massa Carlo. Il luogo d’incontro dei due amanti era proprio la casa di via dei Pilastri e la tresca andò avanti finché il Salviati non fu scoperto dalla moglie. Questa preparò una vendetta a freddo, coalizzandosi col respinto Bartolomeo e facendo venire appositamente da Massa tre sicari, che, la notte del 31 dicembre 1638, irruppero nella casa di Caterina, quando essi sapevano che era ella era sola con una fantesca: fecero le due donne letteralmente a pezzi.
Il giorno dopo, 1º gennaio 1639, il duca Jacopo si vide recapitare nella sua villa al Cionfo il cesto di biancheria pulita che la moglie gli mandava settimanalmente: con grande orrore vi trovò avvolta, in una camicia ricamata che era solito ricevere per il capodanno, la testa insanguinata della sua amante Caterina. L’unico a pagare per il delitto fu Bartolomeo, che fu impiccato al Bargello, mentre Veronica era fuggita a Figline (i sicari erano tornati a Massa) e quivi rimase in esilio fino a quando fu sicura che i Medici non l’avrebbero perseguita. Poi andò a abitare a Roma.
Il secondo fatto di sangue si ebbe nel 1921. Due giovani fascisti, Andrea Cimino e Annibale Foscari, stavano percorrendo la via quando udirono uscire dalla bottega dei fratelli calzolai Garuglieri il ritornello riscritto dagli oppositori del regime legato all’uccisione di Giovanni Berta: “Hanno ammazzato Giovanni Berta, figlio di pescecani! Viva quel comunista che gli pestò le mani!”. I due irruppero nella bottega per aggredire i Garuglieri ma nella rissa che seguì fu il Foscari che ebbe la peggio, finendo accoltellato e morendo di lì a poco. Per questo nel 1923 la strada venne denominata “via Annibale Foscari“, fino al 1944 quando, a Liberazione avvenuta, riprese il nome antico.
La strada ha per lo più carattere residenziale popolare, con case a schiera eredi di un’estesa lottizzazione della zona compiuta dal vicino monastero benedettino di Sant’Ambrogio fin dai primi del Trecento, quando quest’area fu rapidamente saturata. Nell’ambito della viabilità cittadina svolge un ruolo significativo, ponendosi nell’ambito di un tracciato che incanala il traffico veicolare dalla zona del centro verso il quartiere della Mattonaia e da qui all’anello dei viali.