Il guardiano del Campanile
«Nel detto anno (1334) (…), si cominciò a fondare il campanile nuovo (…) di costa a la faccia della chiesa in su la piazza di Santo Giovanni (…) e proveditore della detta opera (…) fue fatto per lo Comune maestro Giotto nostro cittadino, il più sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo tempo (…)»
(Giovanni Villani, Nuova Cronica)
A Firenze, il Campanile di Giotto insieme alla mole della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, nonché del Battistero di San Giovanni,costituisce uno dei tre componenti principali della nostra splendida Piazza del Duomo, nel cuore del centro storico. Essa è la torre campanaria di Santa Maria del Fiore.
Alto piu di 80 metri e largo circa 15, rappresenta la più eloquente testimonianza di architettura gotica fiorentina.
Rivestito di marmi bianchi, rossi e verdi come quelli che adornano la Cattedrale, il maestoso campanile a base quadrata – considerato il più bello d’Italia– ebbe scavate le sue fondamenta attorno al 1298, all’inizio del cantiere della nuova cattedrale, quando capomastro era Arnolfo di Cambio.
Nel 1333, Giotto di Bondone, ormai già ultrasessantenne, gli subentrò nell’incarico di capomastro.
Giorgio Vasari, nella Vita di Giotto , riferisce del suo arrivo «L’anno 1334 a dì 9 di luglio, al Campanile di Santa Maria del Fiore».
Giotto poté lavorarvi soltanto per tre anni: morì nel 1337, ma riuscì a vedere realizzata almeno la prima parte del suo progetto, fino al compimento delle formelle esagonali, le quali rappresentano una sorta di racconto figurativo che egli eseguì con la collaborazione di Andrea Pisano.
Andrea Pisano successe dunque al maestro per il proseguimento dei lavori, portando a termine i primi due piani, nel rispetto del progetto giottesco. I lavori vennero interrotti dal 1348 al 1350 per via della Peste Nera, la quale decimò l’intera nostra città; il campanile fu portato a termine nel 1359 grazie alla direzione di Francesco Talenti, creatore geniale dei finestroni dei livelli alti. Suo il merito di aver trapassato la struttura con la luce, grazie alla progettazione di finestre biforeaccoppiate a trifore timpanate, rendendo così l’edificio elegantemente gotico, pur mantenendo un’impostazione classica dell’insieme.
Il Campanile di Giotto, simbolo della città di Firenze, rappresenta dunque un’ opera già straordinaria di per se’: soprattutto, rappresenta l’opera assoluta di questo nostro grande artista. Anch’egli ne era senz’altro consapevole e, a tal fine, volle inserirvi un piccolo dettaglio per personalizzare il proprio lavoro.
Cari amici, avete mai osservato attentamente il campanile nella sua parte più bassa, precisamente al di sotto del primo cornicione che lo compone?
Se guarderete con attenzione, scorgerete una serie di formelle di marmo, scolpite dallo stesso Giotto, poco prima di morire.
Una di queste raffigura un pastore intento a sorvegliare un gregge di pecore, accanto, gli sta un piccolo cagnolino: un elemento apparentemente insignificante tra i tanti rappresentati, ma in realtà il particolare è strettamente legato alla vita dell’artista toscano. Giotto amava molto avere cura degli animali: poco più che bambino aveva avuto un cane, ed era rimasto sempre affezionato al suo ricordo.
Parte della biografia dell’artista penso sia nota a buona parte di noi, almeno fin da quando portavamo fiocco e grembiule e sedevamo ad un banco di scuola: ci è sempre stata raccontata nella sua versione più romanzata ma, in effetti, un che di fiabesco ce l’ha!
Si racconta che intorno alla seconda metà del 1200, il piccolo Giotto di Bondone fosse soltanto un umile pastorello, nato a Colle di Vespignano nel Mugello (oggi corrispondente al Comune di Vicchio).
Un giorno, mentre era fuori con il gregge ed il suo inseparabile cane, trovò per terra i resti di un fuoco ormai spento: preso dalla noia o più probabilmente da un’innata passione, il pastorello raccolse un pezzetto della brace e con esso iniziò a disegnare la testa di una delle sue pecore su una pietra.
Il caso volle che proprio in quel momento il famoso pittore fiorentino Cimabue ( pseudonimo di Cenni di Pepo) passasse di lì, in sella al suo cavallo. Incuriosito, si avvicinò al giovane pastore, restando ammaliato dalla sua abilità: i lettori più grandicelli certamente ricorderanno che questo celebre aneddoto è stato proprio utilizzato come marchio per una famosa marca di matite colorate!
Fu così quindi che Cimabue prese con se’ il piccolo Giotto, portandolo nella sua bottegafiorentina, dove ben presto divenne il migliore dei suoi allievi.
Con ogni probabilità, il maestro Giotto non dimenticò mai il suo amico a quattro zampe e quando gli fu presentata l’occasione di scolpire i bassorilievi per il campanile, colse al volo l’opportunità per onorare l’immagine del suo cagnolino, compagno di tante avventure, in modo tale da poter essere ammirato dai passanti nei secoli a venire e mai dimenticato.
«Chi non ha avuto un cane non sa cosa significhi essere amato »
(Arthur Schopenhauer)
Tratto dal libro “Per le Antiche Strade di Firenze” a cura di Barbara Chiarini, edizioni Masso delle Fate-Signa, 2020