Bianca Cappello, la “straniera” di casa Medici
Nella zona dell’Oltrarno fiorentino si trova un edificio la cui facciata è oltremodo singolare. Si tratta del Palazzo di Bianca Cappello, situato in Via Maggio al numero civico 26, antica dimora di colei che fu amante e poi moglie del Granduca di Toscana Francesco I de’ Medici. Una storia d’amore ancora oggi carica di inquietanti misteri.
Fu il Granduca stesso a costruire per la bella Bianca questa sontuosa residenza, ordinando all’architetto Bernardo Buontalenti che venisse edificata nel punto più vicino alla reggia di Palazzo Pitti, che si trova ad appena un isolato di distanza.
Bianca proveniva da un’antica e potente famiglia della Serenissima ed era stata cresciuta negli agi. Possedeva una natura generosa e appassionata ma soprattutto un’opulenta bellezza, che fu immortalata dai più grandi pittori del Rinascimento.Tiziano in un ritratto a lui attribuito (uno dei pochi pervenuti fino a noi ed oggi custodito presso la Galleria dell’Accademia di San Luca a Roma), ne esaltava l’ovale perfetto del volto dai tratti regolari, incorniciato da una superba massa di capelli ramati dalle sfumature calde e luminose.
Bianca era giunta a Firenze nel 1564 a seguito del frettoloso matrimonio con Piero Buonaventuri, gentiluomo di nobile famiglia decaduta, impiegato nella banca fiorentina dei Salviati, la cui sede era ubicata nei pressi di Palazzo Cappello a Venezia.
Forse ingannata circa le reali condizioni economiche del giovane, dopo averlo conquistato al primo sguardo, la donna, al tempo appena quindicenne, gli affidò i suoi gioielli e a lui si unì in una fuga rocambolesca verso Firenze: i due furono inseguiti dallo spettro delle ricompense di duemila ducati stanziati per chi avesse assassinato Piero e da un provvedimento di rientro forzato per la Cappello da parte della Serenissima.
L’intera città della laguna fu scossa dallo scandalo per il prestigio della famiglia coinvolta e l’evento minacciò di pregiudicare i già delicati rapporti diplomatici tra Firenze e Venezia.
Tuttavia, il granduca di Toscana Cosimo I offrì protezione alla coppia; l’unione venne presto allietata pure dalla nascita di una figlia battezzata con il nome di Virginia.
A Firenze, la vita di Bianca era ben diversa da quella lussuosa abbandonata tanto precipitosamente a Venezia e dissimile da quella che aveva sempre sognato: la famiglia del marito viveva infatti in condizioni modeste e la giovane si trovò catapultata in un’umile realtà, complicata anche dalla palese disapprovazione che percepiva intorno a se’. Non che Piero potesse dirsi un pessimo marito o che la maltrattasse in qualche modo: la sua unica colpa fu quella di essere nato ordinario, un gentiluomo noiosamente ordinario, accanto ad una donna anelante estasi e ardore.
Forse anche per queste segrete inquietudini -mai pubblicamente espresse, eppure da tutti percepite nei silenzi e nei sospiri, nelle rare risate e nell’aura misteriosa che sempre la accompagnarono ovunque nel granducato di Toscana- Bianca non fu mai ben vista dalla nobiltà, ancor meno dalla famiglia Medici.
Nel frattempo era subentrato al trono granducale Francesco I, un giovane dal temperamento inquieto, votato alla ricerca intellettuale, appassionato di chimica e di scienze naturali, ma anche di arte e di scienze occulte. Il suo matrimonio con l’austriaca Giovanna d’Asburgo non era stato felice: la cattolicissima granduchessa, sorella dell’imperatore Massimiliano, sgraziata di aspetto e con una malformazione alla spina dorsale, disprezzava il casato dei Medici che non giudicava neppure alla propria altezza ed era invisa ai sudditi toscani cui si celava persino quando usciva in carrozza.
Non sappiamo quando Bianca incontrò per la prima volta Francesco, ciò che però sappiamo è che da allora nulla fu più come prima.
Invaghitosi subito di lei, esattamente come era accaduto a Piero, il giovane Medici la fece presto assumere tra le dame di corte, per averla vicina. All’ accondiscendente marito, invece, venne offerto un lavoro come impiegato granducale.
Non passò molto tempo che il povero Bonaventuri scomparisse dalla scene, assassinato nel 1572 in circostanze poco chiare: il fatto alimentò a lungo voci che il mandante dell’omicidio fosse stato il Granduca ma poi, l’11 aprile del 1578 fu la volta di Giovanna, la quale perse la vita, a soli trentun’anni per le conseguenze di una fatale caduta mentre era incinta del suo ottavo figlio.
Quale sia la verità nessuno potè mai dirlo, né allora né adesso, fatto sta che Francesco, dopo esserne stato per molti anni l’amante, di lì a poco sposò la sua Bianca. Le nozze celebrate segretamente per via della ferma opposizione di tutta la famiglia verso la donna che era stata fonte di profondo imbarazzo, furono rese pubbliche solo a distanza di un anno.
I nove anni di regno della coppia trascorsero sereni e senza grandi scossoni sia nella vita politica sia in quella domestica. Il granduca, sempre dedito ai suoi esperimenti scientifici, concedeva spesso udienza ai segretari di Stato nel suo laboratorio. La moglie invece, preferiva la vita campestre nell’una o nell’altra villa medicea, al riparo dalla palpabile ostilità che respirava a Firenze. Con l’incoronazione a granduchessa di Toscana, Bianca era ormai diventata “la carissima figlia di Venezia” come veniva rispettosamente descritta negli ambienti diplomatici della Serenissima: i tempi in cui era una figlia reproba e una vergogna per la città veneta erano un pallido ricordo.
Bianca non si insuperbì per il prestigio assunto grazie alle nozze e si mantenne sempre nel ombra rispetto a Francesco, sebbene si comprenda quanto ella fu una donna colta e intelligente, capace senz’altro di intervenire anche in maniera attiva nelle vicende politiche dell’augusto consorte.
Ma alla nobildonna veneziana non fu mai perdonato l’essere straniera (forti erano all’epoca le rivalità tra i tanti Stati in Italia) e l’essere stata amata per tanti anni fedelmente dal granduca; presso il popolino ebbe addirittura fama di essere dedica alle arti magiche «Solo una strega– si mormorava –poteva avere mantenuto inalterata la devozione del suo signore toscano così a lungo».
Tra i tanti detrattori di Bianca, tuttavia uno era particolarmente pericoloso e potente: il cardinale Ferdinando de Medici, fratello di Francesco. Il prelato condivideva con i fiorentini l’inclinazione ad attribuire a Bianca ogni sorta di crimine, sia esso stato reale o immaginato, commesso dal granduca. Egli muoveva al fratello, con cui aveva da sempre rapporti ostili, continue rimostranze per l’attaccamento da lui nutrito verso quella che definiva “la pessima Bianca”, auspicando che fosse bandita dal granducato, prima o poi. La Cappello rispondeva all’astio del cognato con la tolleranza e la magnanimità.
Poi però accadde l’irreparabile, o forse soltanto una singolare quanto triste coincidenza e durante una delle loro abituali permanenze presso la Villa di Poggio a Caiano, la coppia granducale trovò misteriosamente la morte a poche ore di distanza l’uno dall’altra.
Era il mese di ottobre dell’anno 1587: le sue vesti autunnali di un bel colore verde scuro scendevano fino alle caviglie arrivando a sfiorare i gradini dell’ampia scalinata d’ingresso, intonandosi alla perfezione con l’immenso parco che circondava la villa rigoglioso. Il decolleté un po’ rosso per l’emozione e l’aria fresca, le gote accese, le labbra sottili piegate in un sorriso dentro cui era racchiuso tanto, così tanto.
La bella Bianca, non aveva ancora compiuto quarant’anni, ma era divenuta un’ elegante signora: si affacciava dalla loggia della villa Medicea di Poggio per scrutare il parco fino in lontananza, attendendo impaziente il momento in cui avrebbe scorto le sagome dei cavalli al galoppo, far di ritorno dalla caccia pomeridiana.
Da pochi giorni la coppia era stata raggiunta dal potente cardinale Ferdinando. Egli era lì con l’intenzione di riappacificarsi col fratello, dopo decenni di colpi bassi, accuse, calunnie quanto mai gravi.
D’indole forte e orgogliosa, Bianca non si era mai piegata alle numerose intimidazioni ricevute e mai aveva lasciato il fianco dell’uomo a cui aveva affidato il suo cuore, sin dal primo incontro. Mai aveva permesso ad alcuno di metterla da parte, riuscendo al contrario a conquistare a poco a poco un posto sempre più importante nella vita del Granduca, un palazzo intitolato a lei, una discendenza e infine, un matrimonio. Ma adesso, all’improvviso, la nobildonna si accascia e cade a terra priva di sensi. Giace lì, distesa sul freddo pavimento del loggiato.
La storia è fatta: nessuna nuova stagione, per lei ci sarà mai più. E infatti, Bianca non avrà neppure il tempo di distinguere il viso del marito al ritorno dalla caccia, né si accorgerà di null’altro. Non saprai mai di quando anche lui si sentirà male durante la cena, poche ore dopo il suo malore.
Accuditi entrambi nelle proprie stanze, così il destino volle separarli; fu il fato o forse, fu la mano di qualcuno che si era finto amico e anche pentito. E invece, non lo era affatto.
Tra febbre e dolori, la loro agonia durò circa dieci giorni: Francesco de’ Medici fu il primo ad andarsene, ignaro che al di là di un muro l’amore della sua vita patisse le stesse indicibili sofferenze; non passò nemmeno un giorno e anche le palpebre di Bianca Cappello si abbassarono per sempre.
Le ultime parole di Bianca al suo confessore spirituale, prima di spirare furono per lo sposo: «Dite per me addio al mio signore Francesco Dei Medici e ditegli che gli sono sempre stata fedele ed amorosa… Ditegli che lo prego di perdonarmi, se in qualche modo lo avessi offeso».
Date le circostanze quantomeno insolite della morte dei granduchi, Ferdinando fu immediatamente sospettato di aver avvelenato i congiunti, né fugò i dubbi la frettolosa autopsia, con diagnosi di malaria, ordinata sui cadaveri dal cardinale. Francesco e Bianca furono riportati insieme a Firenze ma, mentre il corpo del primo fu imbalsamato e sepolto nella chiesa di San Lorenzo con tutti gli onori, a Bianca Cappello furono negate le esequie di Stato e fu stabilito che il suo corpo venisse sepolto in un luogo sconosciuto.
Il nuovo granduca attuò una sistematica damnatio memoriae nei confronti della cognata: la maggior parte dei suoi ritratti venne bruciata, i suoi busti distrutti come le monete coniate in suo onore; lo stemma dei Cappello fu ovunque scalpellato e sostituito con quello della prima granduchessa, Giovanna d’Asburgo.
Nell’austera cripta delle Cappelle Medicee, in cui riposano tutte le granduchesse di Toscana, manca solo Bianca Cappello, colei che forse più di ogni altra si era guadagnata il diritto ad essere sepolta in quel luogo solenne per il sincero affetto portato al suo consorte.
Un drammatico epilogo ad un idillio che la Firenze del tempo non accettò mai.
Si disse che si era trattato di malaria ma molti sospetti caddero, come ancora oggi si suppone, sull’arsenico. Quel genere di veleno era parecchio in uso al tempo perché era ritenuto inodore, incolore ed insapore, come l’acqua. A maggior ragione se esso capitava tra le mani di un cardinale fratricida.
Una vicenda, destinata a far discutere ancora a lungo pure gli studiosi contemporanei, che non hanno mai smesso di fare ricerche in proposito. In ogni caso, conclusasi bruscamente per morte accidentale oppure per avvelenamento, la vita di Bianca Cappello (donna dagli arditi colpi di testa, infervorata dagli amori romantici, circondata da un alone di stregoneria e dagli intrighi di corte) è testimonianza di quante fossero le difficoltà a cui andava incontro una donna nel Cinquecento, un’ epoca in cui la ricerca della libertà o dell’amore concepito fuori dagli schemi, poteva condurre ad un prezzo molto alto da pagare, talvolta addirittura con la vita stessa.
La loro storia fu certamente una controversa storia d’amore, una delle più celebri, per me anche una delle più belle, del Rinascimento, una storia di cui si è tanto scritto e parlato. A tutte queste Bianca e Francesco devono ancora, a distanza di oltre quattro secoli, aggiungere la loro versione, il vero epilogo, che soltanto a loro fu dato conoscere.