Le verghe del tranvai
Era difficile trovare da mangiare durante il periodo detto dell’emergenza nel 1943 ma mia nonna, che proveniva da Montevarchi, aveva ancora tanti parenti che coltivavano la campagna e che erano disposti a darle a poco i generi alimentari che a Firenze non si trovavano nemmeno con la tessera annonaria.
Tra posti di blocco, strade dissestate e ponti bombardati fare circa 50 km con delle biciclette pesantissime non era certo un’impresa facile ma, soprattutto, era faticosissima e lunga. Ad ogni modo, per portare a casa un po’ di mangiare ne valeva assolutamente la pena.
In genere la mia nonna Niccola è il mio nonno Beppe partivano la mattina a buio del sabato e tornavano la domenica sera sempre a buio, dopo avere pernottato dalla mia zia Stella a San Giovanni Valdarno.
Le due biciclette avevano una cassetta di legno su un piccolo portabagagli dietro il sellino e un’altra su un altro portabagagli di fortuna e davanti al manubrio e dentro ci stipavano pane, uova, fiaschi d’olio e di vino, polli vivi e morti, verdure, conigli e pezzi di manzo il che rendeva la bicicletta è veramente pesante e talvolta inguidabile.
Un giorno dopo aver caricato le biciclette fino all’inverosimile, fecero ritorno come al solito a casa in via Pisana ed erano a un centinaio di metri da casa quando il mio nonno entrò con le ruote delle verghe del tranvai cadendo rovinosamente a terra.
Il mio nonno era sanguinante da una parte e la bicicletta e il suo contenuto sparso dall’altra quando arrivò in aiuto mia nonna che, per prima cosa, si accertò che i fiaschi d’olio, le uova e tutta quanta la roba fragile non si fossero rotti e solo dopo andò a prestare soccorso al marito smadonnanante sull’asfalto.
Naturalmente io ancora non ero nato, ma il mio nonno di quando in quando rinfacciava la cosa alla moglie la quale, seraficamente, gli diceva che un ginocchio sbucciato non valeva un fiasco d’olio o una dozzina d’uova!