La mela di Lea ha due morsi
Lo definirei semplicemente straordinario, l’incontro che ho avuto ieri pomeriggio con l’artista a tutto tondo Lea Monetti.
Il suo atelier a Firenze è una galleria di sculture dall’atmosfera magica, di grande fascino, che tira fuori tutta la potenza e la grandezza che questa donna possiede.
Non appena ci siamo sedute, abbiamo cominciato a parlare. Tacitamente ci siamo subito capite; niente domande, soltanto una piacevolissima conversazione informale per conoscersi meglio, guardandoci dritte negli occhi.
Anche lei, un po’ come me, non ama fare troppa mostra di sé, non ama mettersi a nudo, esporre se stessa come le sue opere ad un vasto pubblico, pur essendo pienamente consapevole del fatto che “mostrarsi” sia il destino di chi nasce con la vocazione (o la condanna) di colui che è spinto nella vita a creare qualcosa.
Sono state sufficienti queste battute iniziali e condivise per realizzare che Lea Monetti non è soltanto un’artista di fama internazionale, ma anche una donna con una straordinaria sensibilità e una profondità non comune. “Il mistero dell’essere -mi ha ribadito- sta tutto nella necessità di scoprire, cercare, creare… Non importa cosa, non importa come, non importa dove, ma so per certo che questa è la giustificazione del vivere”.
Stando seduta nel suo atelier, circondata dalle sue opere, ho sudato freddo per l’emozione, realizzando quale onore, quale privilegio di pochi, fosse soltanto poter essere lì, avvolta nel suo mondo di creazioni, tra i suoi frutti, a conversare amabilmente.
Credetemi, è stata un’esperienza fortissima, direi indimenticabile. Trovarmi di fronte alla terzina di un Laocoonte tutto al femminile, tra schizzi, bozzetti, disegni, fotografie, tra sculture di Eva e Mele Condivise, mi è parso quasi di profanare un luogo sacro.
Lea invece, semplicemente e da squisita padrona di casa quale essa è, mi ha raccontato un poco della sua vita come donna e come artista: chi è Lea Monetti, che cosa l’ha spinta a scegliere la strada dell’arte, ma soprattutto, quali sono le sensazione che ella prova nel creare dal “nulla”, quando accetta il guanto della sfida senza tirarsi mai indietro, quando si impegna per non farsi sfuggire quell’attimo, quella scintilla che fa prendere vita alle sue opere: “Per via dell’emozione che provo in questi momenti, il polso si mette a battere sempre più velocemente, il respiro cambia… è il segno che devo fermare il momento con qualsiasi mezzo”, mi dice.
Le sue risposte alle mie domande sono tutte così, immediate, sincere, toccanti; sono delle continue rivelazioni espresse con pienezza di significato e di sostanza. Sono così ben delineate che mentre le pronuncia mi pento già di non avere provveduto ad attivare la modalità di registrazione vocale di cui dispone il mio cellulare. Avrei voluto salvare ogni sua parole per poi poterla condividere adesso qui con voi. Invece, ho peccato di superbia volendo fidarmi della mia memoria che invece devo ammettere, ogni tanto tende a tradirmi.
Pertanto, scusandomi per usare parole mie, vorrei comunque provare a descrivervi come ella vive il momento della creazione, ovvero il momento più importante. Questo istante magico si è sempre manifestato in Lea all’improvviso, come una forte emozione da cui ella sa di non poter sfuggire. E con il tempo ha imparato che non c’è niente di meglio che lasciarsi travolgere, anche perché questo è l’unico rimedio che ella è riuscita a trovare negli anni per fare rallentare i battiti del suo cuore, per ritornare a controllare il respiro. Sono questi i segnali quando giunge il momento di fermare l’attimo; con qualsiasi mezzo, a volte dipingendo, oppure anche scrivendo.
Per questo Lea viaggia sempre con un taccuino a portata di mano. E io la capisco appieno, poiché anche a me succede così, nel mio piccolissimo e modestissimo mondo creativo che è la professione di architetto e la passione di scrittrice.
Quando Lea crea, si trasforma in una innamorata appassionata. Quello suo, è un atto d’amore a due: “Al principio -mi dice- sono io che prendo l’iniziativa ma da un certo punto in poi, è l’opera che prende il sopravvento e chiede senza pace qualcosa che si placa soltanto quando l’occhio e l’emozione si riposano”. Dopo averla completata (vale a dire, quando Lea non trova più niente da cambiare), la nostra artista si ferma.
Una volta che l’opera è stata ultimata, per lei non conta già più. Per essere in grado di fornire un giudizio obiettivo del suo operato deve distanziarsi da essa, deve lasciare che intercorra del tempo. È Lea medesima la critica più feroce di se’ stessa e, senza alcuna compassione, tende a muoversi soltanto e incredibilmente alla ricerca di un unico punto, quello più debole, qualora esso ci sia, mi vien da aggiungere!
Mentre mi parla e si racconta, a fatica riesco a staccarle gli occhi di dosso. La piacevolezza, l’infinità che si è creta tra noi toglierebbe quasi la scena a tutto il resto. Intorno a noi però sono disposti gli straordinari frutti delle sue creazioni, tante figure femminili in bronzo che spiccano nell’ambiente. Complici anche le luci calde che evidenziano pure nell’ombra le forme sapientemente scolpite, l’atmosfera è magica.
Le opere di Lea Monetti rappresentano e raccontano la donna di oggi attraverso il mito e l’allegoria: “In principio fu Eva. L’urgenza della bellezza”, il titolo di una sua recente mostra ci dice già tutto.
Mi volto, dietro di me c’è “Eva Mitica”, l’opera esposta durante l’Expo 2015 di donna seduta e pensierosa con intorno una grande quantità di mele da lei morsicate quasi a significare che il suo peccato non sia possibile da scontare, perché costantemente ripetuto. Di fronte a lei e a me, invece siede “Eva 2000”, la traslazione moderna dell’antica figura.
L’immaginario comune vuole la donna pronta a peccare e far peccare; invece, l’immagine della Eva rappresentata dalla Monetti esprime la stanca amarezza di dover portare da sempre il peso di questa accusa. E Eva combatte contro la quotidianità di una vita sempre più frenetica. È questo un elemento riconoscibile dal corredo tipicamente femminile posto ai piedi della scultura, che invita anch’essa ad una riflessione sul ruolo della donna posto tra innocenza e colpevolezza.
Del resto, il linguaggio sottile e raffinato della Monetti non si smentisce in nulla: nonostante il bronzo patinato delle due sculture induca l’osservatore a pensare che la materia sia terracotta, invece esse sono di un materiale nobile come il bronzo. L’effetto ottenuto è di valorizzazione della carica empatica dell’opera e dell’impatto emotivo che quest’ultima ha sullo spettatore.
Innamorata della realtà, Lea Monetti proviene non a caso dalla Scuola della Realtà di Pietro Annigoni a Firenze, frequentata negli anni ‘70 dopo i corsi all’Accademia di Firenze. Da qui deriva l’importanza del disegno per l’artista e il suo realismo. Pittrice, scultrice, ritrattista, esperta in tecniche antiche e nell’affresco, è stata anche assistente e restauratrice agli affreschi strappati nello studio del pittore e incisore Bruno Saetti a Montepiano. Dal 2011 si è poi dedicata prevalentemente alla scultura in bronzo.
Il tema ricorrente della sua opera è l’innocenza di Eva “Eva-Ave”. La sua opera più recente rappresenta il punto di svolta di un percorso artistico, lo sdoganamento del mito della “Mela” dalla colpa.
Per questo ha creato “Two bytes at Apple: la Mela della Condivisione”.
La mela – carica del suo simbolismo millenario – è da sempre stata un elemento ricorrente nelle sue opere precedenti, ma fino a quel momento non ne era mai stata la protagonista: «Mentre lavoravo sulle mele morsicate del sedile di bronzo della scultura EVA nella fonderia Mariani di Pietrasanta, 2019, capii chiaramente che questo soggetto è sempre stato ricorrente nella mia mente perché quel morso solitario mi disturbava. Infatti, le esposizioni avevano sempre come soggetto l’innocenza di Eva: ma perché un solo morso alla mela? Rattoppata, ricucita, consumata ma sempre un morso soltanto. Allora ho deciso di mordere una mela, insieme a qualcuno per rompere la simbologia del consumo unilaterale del simbolo “mela”, qualsiasi significato le si voglia dare».
E così, La mela è divenuta il filo conduttore, il fil rouge, del suo lavoro in questi ultimi anni: da simbolo del consumo unilaterale a simbolo di condivisione.
Su questo pensiero l’artista sta ancora lavorando e molti sono i progetti futuri che il tempo ci svelerà. Quello che ci arriva è un messaggio forte e potente che esprime appieno il senso di ribellione della donna contro l’Eva tentatrice e peccatrice, contro il tentativo secolare di sottomettere la donna, rendendola impotente ad esercitare il potere maschile.
È giunto il momento di ribellarsi a quest’accezione negativa che il frutto porta con sé, simbolo religioso del peccato originale e, indirettamente, di egoismo, di un qualcosa compiuto in modo unilaterale. Con questi suoi “due morsi” Lea intende riportare il senso di partecipazione alle scelte, un ritorno ad una socialità positiva.
Mentre mi parla, io accarezzo tra le mani una delle sue mele, sono coinvolta e partecipe di questo principio di trasformazione. Guardo l’orologio; si sono fatte quasi le sei di sera, il tempo è letteralmente volato. Ma una cosa è certa; la sfida lanciata da Lea Monetti, la sua scommessa continua… ed io sono sicura che questa donna, questa grande artista, vincerà.
E’ mia intenzione darle una mano in questa impresa! Non indugiate, ma anzi seguiteci: dall’egoismo del “peccato” alla “condivisione” contro gli egoismi e l’ostilità…
Diamo tutte “Due Morsi alla mela”, affinché i sogni diventino realtà.
Che belli questi tue sensazioni mi commuove il pensiero di avere suscitato in te tutto quello che esprimi.ti sono infinitamente grata