Maria, regina di Francia: un’ultima Medici al potere
Maria de’Medici è il ritratto di un’altra donna appartenete al casato toscano che fu veramente di alto prestigio: una figura definita nei secoli in maniera controversa, amata e odiata al contempo, divisa tra torbide manipolazioni e gesta grandiose.
Nata a Firenze nel 1575 Maria era la quinta delle figlie messe al mondo dal granduca di Toscana, Francesco I e da sua moglie Giovanna d’Austria.
Rimasta orfana di madre fin da quando era molto piccola, visse un’infanzia triste e solitaria spesa all’ombra della matrigna Bianca Cappello, prima amante, poi seconda moglie, del padre.
Maria era di piacevole aspetto, intelligente e colta: ricevette una solida educazione che la rese dotta soprattutto nell’arte, nella musica e nella letteratura, qualità che le consentirono di mantenere sempre un posto d’onore nell’ambiente familiare, nonché nella vita di palazzo.
Venutole a mancare anche il padre quando aveva appena compiuto dodici anni, crebbe alla corte di suo zio Ferdinando il quale, deposto l’abito cardinalizio, succedette al fratello nel governo del Granducato per un regno che sarebbe durato circa 35 anni ed avrebbe visto molti successi, fra i quali anche le nozze combinate fra la nipote ed il Re di Francia, Enrico IV.
Un’altra Medici, Caterina, aveva dovuto accontentarsi in precedenza di un secondogenito perché i nostri signori fiorentini non erano ancora una famiglia blasonata (anche se poi, era comunque divenuto re) ma adesso, la figlia di un Granduca poteva ben essere destinata ad avere un matrimonio regale. Tanto più che la Toscana era uno Stato di considerevole importanza strategica nello scenario europeo. E anche se fino ad allora si era mossa nell’orbita spagnola, Ferdinando cercava una linea politica più equilibrata, virando verso la Francia.
Enrico IV che, qualora fosse andato a buon fine l’accordo matrimoniale, avrebbe avuto esattamente il doppio degli anni della promessa sposa (aggirandosi di fatto intorno ai cinquant’anni), aveva da poco ottenuto l’annullamento delle prime nozze con la famosa Regina Margot, nelle cui vene scorreva per metà il sangue dei Medici, essendo figlia della defunta Caterina.
Rimasto assai turbato dai burrascosi trascorsi vissuti con una moglie tanto bizzarra e con una suocera così ingombrante, quale era stata Caterina, Enrico non era certo entusiasta d’imbarcarsi in una relazione con un’altra Medici. Ma a far cadere le sue resistenze giunse l’offerta di una colossale dote di 600.000 scudi d’oro, una somma che spianò – a dir poco – la strada alla fastosa cerimonia con cui il 5 ottobre del 1600, il cardinal Pietro Aldobrandini, nipote di Papa Clemente VIII, unì in matrimonio per procura i due sposi novelli, niente meno che nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.
La celebrazione fu allietata dal più fastoso banchetto che la storia di Firenze possa ricordare: per l’occasione fu dato incarico al più famoso architetto del tempo, Bernardo Buontalenti, il quale allestì in maniera elegantemente sontuosa il Salone dei Cinquecento, all’interno del Palazzo Vecchio, stabilendo anche un ricchissimo quanto interminabilmente menù per il pranzo nuziale. I trecento invitati ebbero infatti modo di gustare addirittura sessanta portate: ai ventiquattro piatti freddi a base di lingua di bue, pasticcio di vitella, pasticcio di cinghiale, piccioni e molto altro ancora, fecero seguito altrettanti piatti caldi, soprattutto a base di cacciagione (fagiani, quaglie, tordi) dai nomi più mirabolanti: galli d’India affagianati, pasticcio in forma di drago e torte di bocca di dama. Non mancarono neanche alcune portate più tradizionali quali le porchette; e poi, formaggi e dolci a non finire tra cui una specialità tutta fiorentina: il sorbetto.
Il pranzo fu ricordato anche per una fantasiosa scenografia: fontane che zampillavano vino, castelli fatti di salame, e statue di zucchero realizzate nientemeno che dal Giambologna. Gli storici raccontano anche che ad un certo momento, tutte le luci si spensero e quando i candelieri furono riaccesi – con sommo stupore degli invitati – le sale si erano trasformate in boschetti con viali, siepi e fontane. Pensate, cari lettori e care lettrici, che la notizia di questo favoloso banchetto ebbe così grande risonanza da riecheggiare fino a Parigi. Ecco perché alcuni dei dolci che erano stati serviti, quali i bigné, divennero poi una specialità dei pasticcieri di rue Saint Honoré.
Ma tornando alla nostra Medici, si può ben immaginare che Maria non fu poi così felice di sposarsi e presenziare a tutto questo senza avere al suo fianco neppure lo sposo!
Non è un segreto per nessuno che tutta questa vicenda le rimase indigesta per un bel po’: e come quel fastidioso sassolino che quando ti entra nella scarpa, ti crea tanto disagio da dover assolutamente trovare il modo di togliertelo al più presto, tanto fece anche la nostra Maria la quale, parecchi anni dopo arrivò a commissionare ad un certo Pieter Paul Rubens una serie di dodici quadri monumentali, per ornare la galleria del suo nuovo Palazzo, a Luxembourg includendo anche Il matrimonio per procura di Maria de’ Medici e Enrico IV in cui si vede la giovane sposa risplendere in un abito tutto dorato, sorretto da un amorino.
Ma torniamo agli eventi: una volta che fu salpata alla volta di Marsiglia, neanche lì Maria riuscì a vedere Enrico, poiché egli era impegnato in una spedizione contro la Savoia. Quindi, la giovane dovette attendere ancora prima d’incontrarlo. E finalmente, si poterono celebrare di nuovo le nozze a Lione.
Ma come già era successo a Caterina, Maria scoprì presto di non essere affatto amata dai sudditi francesi. E mai l’amarono. Probabilmente il problema era radicato: quando Maria giunse in terra straniera, la sua fama di dama assai raffinata l’aveva già preceduta. E questo non era affatto piaciuto ai cortigiani francesi.
Per tutta risposta, la giovane donna trovò ad attenderla una ben amara sorpresa: l’amante ufficiale del re, Henriette d’Entragues. Maria cercò di adattarsi alla situazione, intendendo instaurare un modus vivendi, così come aveva fatto a suo tempo l’altra Medici, Caterina, con Diana di Poitiers: ma la cosa non risultò affatto facile. Ella non piaceva neppure a suo marito Enrico, il quale quando l’aveva vista per la prima volta a Lione, piccolo e mingherlino com’era, aveva ritenuto che Maria fosse troppo alta, imponente e soprattutto molto autoritaria.
Ciononostante, durante gli anni di matrimonio, il francese tenne fede alla sua fama di grande amatore e anzi compì egregiamente il suo dovere coniugale, frequentando il talamo nuziale con la stessa regolarità con la quale frequentava quello delle sue numerose amanti, tanto che già nel settembre del 1601 vide la luce il Delfino, il futuro Luigi XIII. Enrico è infatti rimasto noto nella storia per avere annoverate un numero ineguagliabile di amanti e altrettanta prole: stiamo parlando di 19 discendenti di cui solo 6 furono generati dal rapporto legittimo. Chapeau, monsieur le roi!
Ad ogni modo, anche Maria de Medici sopportò con pazienza l’infedeltà del marito senza sottrarsi mai ai suoi doveri coniugali. Tra il 1601 e il 1609 vennero alla luce l’erede al trono, Luigi XIII, le sue 3 sorelle e i 2 fratelli.
Nel 1610 Maria venne ufficialmente incoronata Regina di Francia nell’Abbazia di Saint Denis ma soltanto due giorni dopo (14 maggio 1610) Enrico IV fu assassinato per mano di un fanatico cattolico.
«Me l’hanno ammazzato!» ebbe appena il tempo di urlare in italiano, prima di svenire, la Regina di Francia, quando una guardia della scorta reale, entrando nel suo appartamento al Louvre, si era espresso in modo concitato asserendo che tutta la corte era caduta in disgrazia per via di questo assassinio! E purtroppo mancò anche il tempo per piangere la perdita del defunto sovrano, in quanto la prima preoccupazione dei ministri fu quella di gestire una situazione potenzialmente esplosiva. Quindi essi dovettero assicurare la trasmissione del potere direttamente sulle esili spalle del nuovo Re, Luigi XIII che al tempo aveva appena nove anni.
Proprio per difendere il trono del primogenito di Enrico IV dai pericolosi appetiti dei principi del sangue, che avrebbero potuto reclamarlo per sé o riaccendere in Francia le guerre di religione che tanto l’avevano insanguinata nella seconda metà del Cinquecento, i ministri convinsero Maria che quello «non era il tempo per piangere, bensì era il tempo di pensare ai propri affari ed a quelli del Re». Il parlamento fu dunque riunito in fretta e furia per deliberare il conferimento della reggenza del Paese alla Regina, in nome e per conto di suo figlio Luigi XIII. Come era accaduto al tempo di Caterina mezzo secolo prima, la Francia tornava ad essere nuovamente governata da un’italiana appartenente alla dinastia de’ Medici.
Purtroppo però, una volta ascesa al potere, tutti i limiti caratteriali della nuova reggente si fecero manifesti: senza avere le doti intellettuali ed il fiuto politico di Caterina, Maria si trovò infatti a governare un Paese che era già in subbuglio, con l’ unico risultato di agire spesso senza troppo buon senso. Peccando di troppa presunzione, continuò a nutrire un culto esagerato per l’etichetta ed il cerimoniale, specie per quanto riguardava gli onori che le andavano tributati. Inoltre, si fece irretire da una coppia di consiglieri, faccendieri e corrotti, che ella si era portata appresso da Firenze: l’amica d’infanzia e sorella di latte Eleonora Dori Galigai e suo marito, un tipo che di nome faceva Concino Concini. Il risultato fu che a Parigi, se si voleva ottenere un impiego, un favore o anche una semplice udienza con la reggente, presto ci si dovette rassegnare a passare per le fameliche grinfie di questa coppia di italiens, odiati da tutti.
Invece, sotto altri aspetti, le cose andarono meglio; ad esempio Maria si rivelò abilissima nell’orchestrare i matrimoni delle figlie e del delfino, riuscendo a porli tutti su eccellenti troni europei: Maria Cristina sposò Vittorio Amedeo I di Savoia, Elisabetta, Filippo IV di Spagna, Enrichetta Maria, Carlo I d’Inghilterra. Per il figlio Luigi XIII, Maria ottenne la mano di Anna d’Austria, la prima figlia del re di Spagna Filippo III, sorella di Filippo IV.
Ma ciò nonostante, l’aristocrazia francese le fu sempre più avversa, con l’unico risultato che la nobiltà diffidò sempre più di questa reggente straniera che tanto ricordava loro Caterina. Inoltre i sospetti sui membri del suo seguito – soprattutto sui coniugi Concini, ritenuti dai più troppo ingerenti e intriganti – si fecero ogni giorno più forti.
Maria fu altresì abile nella scelta dei ministri e dei funzionari statali, puntando su colui che risulterà un vero e proprio jolly: un giovane vescovo che di nome faceva Armand-Jean du Plessis de Richelieu, il quale proprio grazie a lei, che per prima ne intuì le straordinarie doti e l’acume politico, poté entrare nel ristretto consiglio della Corona, intraprendendo in brevissimo tempo una folgorante ascesa sociale che l’avrebbe fatto diventare primo ministro di Francia insieme a Luigi XIII (carica che manterrà fino alla morte e che, oltre a fargli guadagnare la berretta cardinalizia, gli consentirà di diventare uno degli uomini più influenti e temuti di tutta Europa).
Peccato che proprio questa sua creatura le si sarebbe rivoltata contro, ordendo il colpo di stato che nel 1617, dopo l’assassinio del Concini e la condanna a morte per stregoneria della Galigai, permise a Luigi XIII, nel frattempo dichiarato maggiorenne, di governare la Francia in solitaria, senza più bisogno della supervisione di sua madre. Maria venne quindi immediatamente richiusa come prigioniera de facto nel Castello di Blois, riuscendo ad evadere – ed io mi permetterei di aggiungere in maniera assai rocambolesca, quasi comica – calandosi da una finestra appesa ad una corda che, sotto il suo imponente peso, per poco non si ruppe!
Una fatica ed un rischio inutili, se teniamo conto che per lei non rimase altra soluzione se non quella di condurre per il resto della sua esistenza una vita da raminga. A parte infatti una temporanea riconciliazione col figlio che le avrebbe permesso di tornare a corte, un’altra insanabile rottura fra i due la costrinse ad una nuova fuga nel 1631 – che questa volta avvenne dal Castello di Compiègne, vestita da valletta – per poi andare a chiedere asilo prima nei Paesi Bassi spagnoli e poi a Colonia, in Germania, dove si spegnerà nel 1642, ormai dimenticata da tutti e sommersa dai debiti: proprio lei che con la sua sontuosa dote aveva contribuito da sola ad appianare o quasi il debito pubblico di tutta la Francia, la grande Maria de’ Medici morì in una stamberga messale a disposizione dal pittore Rubens, suo amico sincero.
La sua morte sarà seguita, a breve distanza, da quella dei suoi due grandi nemici: Richelieu e il figlio Luigi.
“La grosse banquière”, così come l’aveva nominata Henriette d’Entragues, l’amante di suo marito Enrico, è stata per secoli disprezzata e snobbata dalla storiografia, costretta a subire una vera e propria damnatio memoriae, come è accaduto per altre donne della stessa dinastia.
Ma se non è tutto oro quel che luccica, non è neppure tutto carbone quel che non risplende. Mi spiego meglio: se ella fosse stata un uomo, sarebbe stata giudicata altrettanto severamente dalla storia? Una domanda che certo non avrà mai risposta …
Le spoglie di Maria de Medici poterono riposare accanto a quelle del marito soltanto dopo che Richelieu fu morto: questo e niente altro fu il suo ritorno in terra di Francia, un Paese che invece un po’ di riconoscenza nei suoi confronti, avrebbe dovuto averla; stiamo sempre parlando di colei che mise al mondo ben quattro teste coronate: oltre a Luigi XIII infatti, la figlia Elisabetta sarebbe diventata Regina di Spagna, Enrichetta d’Inghilterra dopo le nozze con Carlo I ed infine Maria Cristina Duchessa di Savoia, avendo sposato Vittorio Amedeo I. Grazie al suo gusto, tutto italiano, la Francia si arricchì di meravigliose opere d’arte, fra cui il magnifico Palais du Luxembourg (oggi sede del Senato francese), che ricorda da vicino Palazzo Pitti, sia per la forma che per l’uso del bugnato, e che fu fatto costruire come sua residenza personale dove riunire una corte d’artisti di tutto rispetto, fra i quali i pittori fiamminghi Rubens, Van Dyck, Vam Egmont e Pourbus il giovane, oltre all’italiano Orazio Gentileschi ed il francese Vouet.
Infine, se il Museo del Louvre trabocca di tanti dipinti dei più famosi pittori di quegli anni, italiani (in primis Guido Reni, il Guercino e Pietro da Cortona) e non, il merito è anche di Maria de’ Medici, che sguinzagliò i suoi esperti d’arte per acquistare i più bei capolavori in tutta Europa.
Ma così va il mondo e la vita di chi lo popola. E con questo velo di amarezza si conclude anche il nostro appuntamento con le donne di casa Medici.
Arrivederci alla prossima storia!