Vittoria della Rovere, una Medici sfortunata
Urbino, anno del Signore 1623: il 28 giugno moriva Federico della Rovere.
Sul trono papale si era da poco seduto il cardinale Maffeo Barberini con il nome di Urbano VIII. La sua elezione al pontificato aveva prodotto una sorta di cataclisma politico. Il conclave indetto il 6 agosto aveva votato il suo nome. La sua idea era chiara: lo Stato retto dai Della Rovere doveva tornare alla chiesa, considerando che proprio dalla chiesa esso era stato concesso in feudo alla famiglia urbinate.
In altre parole si era di fatto trattato di una mera espropriazione ai danni della vedova del duca, Claudia de’ Medici, e della sua figlioletta, Vittoria.
La cosa era ovviamente stata interpretata come un’offesa rivolta nei confronti della famiglia Medici, ma ogni tentativo di modificare le sorti era stato inutile, anche la protesta fiorentina per ricordare che Urbino era uno Stato che avrebbe dovuto essere amministrato doppiamente dai Medici: primo, perché Vittoria ne era la legittima duchessa e secondo perché già in precedenza ad un’altra Medici era già stato sottratto il Ducato con le armi; stiamo parlando di Caterina, figlia di Lorenzo duca d’Urbino e di Papa Adriano VI, il quale l’aveva così posto nelle mani di un suo parente, Francesco Maria della Rovere.
La situazione avrebbe certamente richiesto da parte di Firenze un gesto audace, magari l’occupazione militare del ducato di Urbino, mettendo il Papa di fronte al fatto compiuto.
Ma le cose erano andate diversamente: Ferdinando era ancora troppo giovane e Cristina di Lorena con Maria Maddalena d’Austria erano due donne troppo bigotte per osare di ribellarsi alle parole di un papa. In questo clima di titubanza, Urbano VIII ne aveva approfittato e tempestivamente aveva inviato un contingente di truppe per salvaguardare i suoi diritti.
Claudia, che era rimasta sola con il suocero Francesco Maria della Rovere nel grande palazzo di Urbino, aveva così preferito tornarsene a Firenze assieme alla figlioletta. Qui aveva preso residenza nel monastero della Crocetta.
Vittoria era dunque cresciuta in un convento, nella sfera rassicurante di una sincera accoglienza fiorentina. Tutto sarebbe andato bene per il suo matrimonio, una volta che ella fosse stata in età da marito.
Quando la giovane compì tredici anni fu messo a punto l’atto di nozze fra lei e Ferdinando II, suo cugino, che di anni ne aveva il doppio. I due promessi avrebbero dovuto aspettare ancora un po’ di tempo e poi sarebbero potuti tornare a convivere insieme.
Ovviamente, non c’era alcuna speranza affinché la giovane sposa potesse portare in dote al marito il ducato di Urbino. Ma Vittoria esprimeva pienamente quella cultura della “purezza” che aveva investito la Toscana tra XVI e XVII secolo. E della purezza spirituale intesa come forma di elevazione dell’anima praticata attraverso l’astensione dai piaceri terreni, fece lo scopo della sua vita. “Dos in candore”, la mia dote consiste nel candore. Questo il motto di colei che divenne la quinta granduchessa di Toscana.
Vittoria era certamente figlia del suo tempo nel rappresentare la cultura del “candore”, ma l’educazione di stampo bigotto e clericale impartitale dalla nonna Cristina di Lorena e dalla zia Maria Maddalena, dette probabilmente il più forte dei contributi. A loro, reggenti del trono granducale e tutrici di Ferdinando II, la madre Claudia de’ Medici aveva affidato la figlia a meno di un anno di vita, subito dopo la morte del padre.
Purtroppo però, tra le donne di Casa Medici, ella sarà una fra le meno fortunate. A volerci fare caso, la malasorte aveva incominciato ad accanirsi contro di lei fino da quando, ancora in fasce, aveva dovuto lasciare la città di Urbino sulla quale invece avrebbe potuto regnare; quindi Firenze l’aveva accolta in una lunga attesa per un matrimonio che si rivelerà senza alcun amore. Si aggiunga che sua madre Claudia, sposatasi in seconde nozze con l’arciduca Leopoldo d’Austria, l’aveva lasciata ancora in culla e di lei, negli anni seguenti, si era preoccupata poco o niente; qualche lettera, qualche invio di piccoli doni, veramente cose irrisorie per una bambina.
Ad ogni buon conto, finalmente, nel1634 Vittoria andava incontro al suo destino quale sposa di Ferdinando. Un matrimonio che, come già accennavamo, non sarà mai felice; sembra addirittura che dopo la nascita di Cosimo III nel 1642, la coppia abbia vissuto un lungo periodo di separazione, il che spiegherebbe la nascita del secondogenito, Francesco Maria, solo nel 1660.
In effetti, la divergenza di visione dei due coniugi in ogni affare aveva scatenato un forte conflitto fra i due a cominciare dall’educazione impartita alla propria prole fin dal primo figlio: la madre voleva che venisse formato con precetti di stampo religioso, il padre invece con insegnamenti di carattere laico, moderno e scientifico. Se non altro in questa disputa coniugale, la volontà di Vittoria fu preponderante e Cosimo crebbe secondo rigidi principi.
Ovviamente, ciò che più divideva questa coppia era il fatto di non essersi potuti scegliere, bensì di essere stati uniti nel più balordo dei modi; con un fidanzamento assurdo fatto quando lei era ancora bambina. Si aggiunga poi che pare incominciare con loro, in casa Medici, la malasorte dei cosiddetti “pochi figli”.
Come presagio di quella successiva completa impossibilità della famiglia ad avere discendenti che li seguiranno sul trono di Toscana, Ferdinando e Vittoria videro morire, dopo che erano nati, i loro primi due figli, Cosimino (nel 1639) vissuto soltanto pochi giorni, e una bambina di cui si ignora perfino il nome, quasi si sia voluto lasciare ancora legata al cielo questa creatura, che visse in terra soltanto per un giorno. Sulla lapide della tomba che accoglie le sue spoglie resta non a caso incisa una scritta che tradotta dal latino così avverte dell’accaduto:“Che chi legge non chieda il mio nome. Sono stata figlia del granduca di Toscana, battezzata dopo essere entrata alla vita, cercai subito e felice le vie del cielo”.
Finalmente, al terzo parto, ecco però un erede che rassicura tutti quanti circa la successione: sarà chiamato Cosimo, come a mostrare che in famiglia Medici si crede ancora in questo nome così fortunato per le sorti politiche della casata.
E quel nome, perlomeno in fatto di lunga vita, porterà veramente bene al nuovo arrivato; nato nel 1642, Cosimo III vivrà fino al 1723, giungendo a toccare il traguardo al tempo davvero altissimo di più di ottant’anni.
Ma il matrimonio di Ferdinando con Vittoria doveva dare, ancora un altro figlio, molti anni dopo. Francesco Maria, nascerà infatti nel 1660; sarà dapprima cardinale, quindi verrà curiosamente coinvolto in un’avventura matrimoniale che gli toglierà l’abito religioso nella speranza di mostrarlo come un Medici finalmente prolifico, un’operazione che purtroppo andrà però totalmente fallita. Ma questa è tutta un’altra storia!
Tornando ai nostri protagonisti, Ferdinando e Vittoria non riuscirono mai a legare. Vissero in un mondo – qual era ormai divenuto quello formato dalla corte di Palazzo Pitti – che mostrava straordinari aspetti di contrasto, offrendo volti molteplici, nell’ aggiungersi di manifestazioni così dissimili fra loro da mai poterci offrire un reale possibile ritratto dell’insieme.
Ferdinando e Vittoria rappresentarono lo specchio di un insieme confuso, come del resto lo era ormai l’intera sua corte; gente dissimile nei gusti e nelle abitudini di vita, che seguiva sia il granduca che la moglie con ritmo ineguale. Vittoria mescolava lusso e frivolezza con la bigotteria; si circondava di gioiellieri e sarti, come di preti e frati che teneva a corte come per rassicurare se stessa e gli altri che la donna pia è timorata di Dio. Ella fu prodiga e avara nello stesso tempo; quieta e inquieta; quando pareva avere scoperto un approdo, eccola di nuovo muoversi per chissà quali altre spiagge. Voleva e non voleva; peccava forse del fatto che tutta la sua vita di fanciulla fosse stata sospesa in attesa del ruolo che l’attendeva di granduchessa, un ruolo che ora pareva recarle molto meno frutto di quello che lei aveva sperato.
Anche Ferdinando navigava in acque sempre difficili. Aveva ricevuto un’educazione di buon livello; era colto, preparato ad essere un buon principe; amava le cose d’arte e di cultura; sapeva vivere con la gente e alla gente voleva bene. Ma c’era qualcosa che aveva viziato gli anni in cui si era compiuta la sua stessa educazione. Maria Maddalena e sua nonna Cristina dovevano averlo ossessionato non poco col terrore del peccato, fino a persuaderlo che il peccato possedesse veramente un suo fascino particolare.
Forse per questo Ferdinando era divenuto un vizioso, pur conservando molte di quelle buone doti che tutto il suo carattere pareva anticipare. Di lui la cronaca curiosamente parla come di uomo dissoluto, ma anche di un uomo onesto, che conservava integri i tratti che fanno di un uomo un vero gentiluomo. Le “particolari” abitudini di Ferdinando (ad esempio quello strano vizio della “pederastia” che, ahimé, faceva molti proseliti a corte) certamente non lo disponevano ad essere il genere di consorte e padre di famiglia, che avrebbe voluto avere al proprio fianco sua moglie Vittoria.
E sembra pure assai improbabile il fatto che ella fosse rimasta all’oscuro delle molte “distrazioni” che Ferdinando si concedeva; anzi pare – e sempre le solite cronache mondane ce ne informano – che una volta il granduca fosse stato sorpreso proprio da lei, mentre era in affettuosi rapporti con uno dei più bei paggi della corte medicea. La notizia ce ne riferisce anche il nome: tale Bruto della Molera. Pertanto amici, permettetemi di non biasimarla troppo se, dopo tale episodio, la nostra Medici nego’ l’accesso alle sue stanze private a Ferdinando per qualche annetto!
Ad ogni buon conto, ricordiamo anche che, accaduti del genere, non impedirono però alla coppia di granduchi di generare dei figli sebbene come dicevamo poc’anzi, si trattò di una prole non fortunatissima.
Rimasta vedova nel 1670, Vittoria dedicherà le proprie energie alla protezione delle “Ancille”, dando il via a una stagione di grandi trasformazioni a Villa La Quiete. Sotto la sua protezione (accordata a partire dal 1680), la villa verrà ristrutturata e ampliata e fu costruita la chiesa, permettendo così alle Ancille di assistere alle funzioni sacre senza dover più andare al monastero di Boldrone. La protezione di Vittoria fece sì infatti che altre nobili famiglie mandassero le proprie figlie nel collegio; fu infatti in questo periodo che iniziarono ad arrivare le donazioni più significative di arredi, paramenti e oggetti liturgici.
Grande mecenate d’arte e generosa benefattrice, i suoi gusti particolari e moderni si manifestarono anche in committenze agli artisti più importanti e più all’avanguardia in Firenze e altrove, con la creazione di una vasta collezione personale. Fece costruire e ristrutturare palazzi, ville e chiese, dedicandosi con passione al cosiddetto mecenatismo “al femminile” (anche detto matronage), con particolare attenzione alla protezione e promozione di donne pittrici tra cui meritano menzione le marchigiane Giovanna Garzoni e Camilla Guerrieri, che furono musiciste e suore. Fu anche la protettrice dell’Accademia delle Assicurate, un’accademia totalmente femminile sorta a Siena per riunire, sotto il motto “Qui ne difende e qui né illustra l’ombra”, diverse letterate della città alcune delle quali riuscirono a pubblicare i loro componimenti.
Vittoria morirà nel 1695 all’età di settantatré anni; nella sua lunga vita non ebbe mai la fortuna di ricevere amore, a cominciare dal rapporto materno e, a seguire, con il suo rapporto coniugale. Ma come tutte le creature che popolano questa terra, anche lei era nata per amare ed essere amata; per sua e nostra fortuna ella pertanto riversò questo suo bisogno nell’arte.
Le molteplici iniziative volte a favorire attività filantropiche e culturali resteranno meritatamente a confermare il suo impegno amorevole per sempre.