Tra eleganza e antichi sapori

Il Caffé dei Macchiaioli

Prendere il caffè al bar è una tradizione molto radicata nei fiorentini, anche se oggi (problema Covid a parte) si è molto snaturata, vuoi per il costo decisamente un po’ troppo alto con cui viene venduta la profumata bevanda, vuoi perché Firenze è divenuta negli anni una città sempre meno per i fiorentini e più per i turisti.

Ecco perché mi è venuto il desiderio di scrivere qualcosa sui nostri antichi caffè molti dei quali hanno fatto la storia della città. Scrivere di loro, di come sono nati, di dove fossero ubicati, fa parte del nostro bagaglio culturale, poiché essi ebbero un ruolo rilevante ai fini della storia, dell’arte e anche della letteratura E, ancora oggi, io li ritengo importanti, anche e semplicemente perché per il singolo individuo stare in mezzo agli altri, socializzare, è di vitale importanza.

E se dunque in molti hanno già scritto interi libri sull’argomento, abbiate pazienza, lo farò anche io, una volta in più: le piccole storie, quelle che a noi, gente comune piace ancora tanto ascoltare, non vanno dimenticate, nulla della nostra bella città deve andare perduto. Ecco perché io non smetterò mai di raccontare!

Cominciamo quindi con la nostra storia odierna.

La città di Firenze era rimasta fino agli inizi dell’Ottocento quasi intatta nel suo tessuto medioevale e rinascimentale. Le trasformazioni si erano limitate a pochi palazzi, a qualche teatro e ad alcune realizzazioni in prossimità delle numerose aree verdi interne alle mura. Ma a partire dalla metà del XIX secolo, invece, si andò modificando sensibilmente e il cambiamento non avvenne soltanto in ambito urbanistico o amministrativo, ma addirittura sconvolse in buona parte le tradizioni del suo stesso popolo.

In questo fermento di trasformazione urbana globale, di vertiginoso aumento della popolazione, che vedrà rapide accelerazioni e lunghi arresti per il trasferimento della capitale e il fallimento del Comune, il vivere civile conoscerà quindi grandi trasformazioni e, a partire dalla metà dell’Ottocento, nasceranno anche qui come nel resto di Europa nuovi spazi di incontro e ricreazioni, teatri, parchi giochi e caffè che progressivamente andranno a sostituire le antiche  mescite e le vecchie osterie.

Un cambio di rotta davvero trasversale se si considera che fino a poco tempo prima buona parte del ceto medio, al massimo, si concedeva il fresco nella buona stagione passeggiando per il Lungarno, sedendosi poi sulle panche di legno appositamente disposte lungo le spallette del Ponte Santa Trinita, pagando qualche soldo al pancaio!

In meno di un secolo la diffusione dei Caffè sarà incredibile: del resto, in questi locali si può chiacchierare, discutere di politica, leggere giornali e riviste, e gustare «caffè e diacciatine», sorbetti, punch e liquori, rosoli, frutta sotto spirito, vino o strani intrugli, come l’elisir dello speziale Tommaso Martini, che veniva venduto a partire dal 1805 al Caffè dell’Aquila (presso piazza del Duomo) o al Caffè della Rosa (in piazza S. Giovanni).

La Bèlle Epoque fiorentina vide fiorire dei caffè che rivestirono un importantissimo ruolo a livello storico: abbiamo già ampiamente rammentato il Caffé Gilli, Le Giubbe Rosse, Il Bottegone, il Gran Caffè Doney. E come non ricordare adesso il caffè storico-artistico-letterario per eccellenza?

Allora amici cari, seguitemi che vi faccio strada!

La via che congiunge piazza San Marco a piazza del Duomo, oggi in parte dedicata a Camillo Benso, conte di Cavour, era stata già per molto tempo lo spazio urbano destinato alla socializzazione dei fiorentini. Dai tempi di Lorenzo il Magnifico fino all’unità d’Italia si era chiamata via Larga. E in via Larga fiorivano molte attività culturali, tra le quali il Caffè Michelangiolo, che fu il luogo di cultura per eccellenza a Firenze.

Le sue origini sono incerte e misteriose, anche se possono collocarsi attorno alla metà dell’Ottocento. Pare infatti che il Caffé abbia aperto i suoi battenti  intorno al 1848/50 in alcuni locali posti a pianterreno di Palazzo Morrocchi, in via Larga, divenendo in breve tempo luogo di scambio di idee e di discussioni politiche spesso animate ma molto apprezzate dai suoi frequentatori, che erano intellettuali, uomini politici, letterati quali Domenico Guerrazzi o Carlo Lorenzini, e artisti (come ad esempio Stefano Ussi) accomunati dagli stessi ideali politici e patriottici.

La sua ubicazione era strategicamente importante, sia  a livello socioculturale che  artistico poiché nelle sue prossimità si trovavano molti studi di artisti nonché la Reale Accademia di Belle Arti (in via Ricasoli), regno della pittura ufficiale; inoltre, in zona avevano sede anche altre istituzioni come la Società Promotrice delle Belle Arti (via della Colonna, n. 31) e la Biblioteca Marucelliana.

Qui si fermavano artisti, avventurieri e rivoluzionari per assaggiare il famoso punch alla fiorentina, una bevanda composta da caffé e rhum, il corrispondente dell’assenzio parigino per gli aspiranti bohemien di casa nostra. Qui si riuniva anche uno piccolo gruppo di pittori, che dette vita da una delle rivoluzioni artistiche più importanti di quegli anni.

Il locale disponeva di due ampi ambienti: il primo era dedicato ai clienti tradizionali, mentre il secondo era una stanza quadrata, simile ad un salotto borghese con tavolini dal ripiano di marmo, sgabelli di legno, divani e pareti decorate con opere di alcuni tra gli artisti che erano più assidui frequentatori, in cui il fumo era più denso e soffocante e l’illuminazione assai tenue veniva irradiata da alcune lampade ad olio appese al soffitto.

In questo locale, che diventò un vero e propio cenacolo frequentato da artisti e intellettuali di diversa provenienza, si incontravano gruppi che arrivavano qui da ogni parte d’Italia: alcuni attratti dal glorioso passato della città, altri per sfuggire al rigore poliziesco dei loro governi.

Infatti, mentre dopo il 1850 negli altri stati italiani si scatenavano le reazioni ai moti risorgimentali, a Firenze, l’apertura culturale di un governo illuminato, favoriva una maggiore tolleranza politica. Così, dopo il 1855, ai cospiratori romantici si sostituirono gli artisti italiani come i pittori toscani Serafino De Tivoli e Domenico Morelli, e il pugliese Saverio Altamura -il quale all’Esposizione Universale di Parigi avevano scoperto la pittura di Corot e dei pittori di Barbizon– ed anche artisti stranieri, tra cui Edgar Degas che nel 1858 soggiornò a Firenze frequentando Altamura, Cristiano Banti e Giovanni Fattori.

In questo ambiente molto vivace si iniziò a parlare di un nuovo modo di osservare e di dipingere, abbandonando le raffigurazioni di eventi storici, ponendo attenzione al “vero” e rappresentando soggetti di vita quotidiana e paesaggi.

I contatti tra la ricerca della “Macchia” toscana e la successiva “Impressione” parigina produrranno delle analogie, sia nel rifiuto della rigidità delle Accademie sia nella tecnica rivoluzionaria dei giovani pittori, che, vittime di critiche e derisioni, furono etichettati spregiativamente all’epoca gli uni Macchiaioli e gli altri Impressionisti. La loro ricerca, però, permise a Firenze di divenire nella cultura figurativa italiana il centro più importante e vitale con un nuovo stile: la pittura a “Macchia”.

Abbracciarono questa nuova visione artistica il veneto Vincenzo Cabianca, i toscani Cristiano Banti, Telemaco Signorini, più di altri influenzato dal Realismo francese, e Giovanni Fattori, che, in nome di una pittura antiaccademica che riproducesse “l’impressione del vero” , già nel 1852 aveva abbandonato l’Accademia stessa.

Essi dipingevano all’aperto, in modo veloce per catturare la luce del momento e semplificavano le forme fino alle loro strutture essenziali; di fatto, eliminarono il disegno che precedeva l’elemento cromatico e privilegiarono la tecnica che allineava “macchie” di colore e di chiaroscuro.

Negli anni successivi, anche altri artisti condivisero il movimento che stava nascendo nelle sale del Caffè Michelangiolo, tra cui il pesarese  Vito D’Ancona, Giovanni Boldini ed il veneziano Federico Zandomeneghi, come anche gli esponenti della scuola Piagentina, Silvestro Lega e Telemaco Signorini, il pisano Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, ed il napoletano Giuseppe Abbati, e pure il critico fiorentino Diego Martelli, che ne fu l’illustre teorico.

Così, il locale iniziò ad essere conosciuto anche come il Caffè dei Macchiaioli o la Chiesuola dell’Arno, termine, quest’ultimo, non troppo gradito a Signorini, il quale affermava che il locale non fosse una chiesa, né gli artisti dei sacerdoti!

Ciononostante, benché tale caffè fosse il più importante del momento, non era l’unico punto di ritrovo per pittori e critici dell’epoca, i quali frequentavano ad esempio anche il Caffè dell’Onore di Borgo Santa Croce.

La scissione del gruppo ebbe luogo nel 1866, dopo l’esposizione del 1865 in occasione del VI centenario di Dante. Il caffè entrò quindi in decadenza per sparire definitivamente poco dopo. Di fronte a tale situazione, alcuni di coloro che lo frequentavano trovarono rifugio nel vicino Caffè del Genio, in via San Gallo al civico n. 26.

Il Caffè Michelangelo visse dunque la sua epoca d’oro nel periodo dei Macchiaioli, il gruppo di artisti che influenzò profondamente tutte le altre correnti nate nel secolo successivo. Ai fasti della metà dell’Ottocento seguì un lungo periodo di oblio finché una decina di anni fa, gli ambienti del Caffè avevano riaperto dando di nuovo spazio alla cultura e all’arte e fino a quando, lo scorso anno, non è esplosa la pandemia Covid, il locale ospitava mostre, venivano organizzati dibattiti e si disputavano piacevoli concorsi letterari, conservando seppure non intatto, il fascino e l’atmosfera di un’epoca che fu.

Di quel che ne sarà dopo questo lungo periodo di restrizioni, aperture e chiusure imposte dai decreti Covid, nessuno può dirlo… come per tutto il resto: chi vivrà vedrà!

 

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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