Le vostre storie,Racconti

la mia campagna – VIII episodio

Una villeggiatura d’altri tempi!

8° episodio

Così passavano gli anni.

Ma debbo precisare che nel corso di questi erano successe due cose importanti. Il Comune si era ricordato di noi, individuando la nostra casa con il numero 95 di Crocino Lungagnano. Quindi applicammo subito, sul pilastro del cancello, una formella di smalto con questa indicazione topografica. 

A me fece molto piacere di stare in una precisa località con tanto di numero civico, anziché in un generico poggio in località Segalari, come si era detto fino ad allora. Finalmente potevo dare il mio indirizzo alle amichette se, durante le vacanze, mi avessero voluto mandare una cartolina! 

Subito dopo papà si decise a fare intonacare, esternamente ed internamente, tutto il fabbricato, che ne aveva proprio bisogno. Chissà perché, all’esterno la fece pitturare color rosa confetto, con gli infissi color marrone. Sulla facciata, in un grande riquadro bianco era riportata la fatidica frase di Mussolini “È l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende”. 

Allora una trovata del genere era molto di moda per le case coloniche… Ad esempio, nella bonifica del grossetano, tutte le case rurali dell’Opera Nazionale Combattenti portavano scritto, in facciata, qualcosa di mussoliniano ed è probabile che a mio padre l’idea gli sia venuta proprio di lì. Tuttavia devo riconoscere che, da quelle parti, la nostra casa fu il primo e restò l’unico esemplare.

Seguitammo a passare l’estate a Castagneto fino al 1942, nonostante la guerra. 

L’anno successivo mio padre capì che non era il caso di muoversi da Roma. Fu una felice intuizione. Che ne sarebbe stato di noi se per caso, 1’8 settembre papà si fosse trovato a Castagneto e non avesse potuto avere quella famosa “liquidazione” che ci ha consentito di vivere per tre anni? Il passaggio del fronte di guerra tra Alleati e Tedeschi oltre Roma ci fece perdere ogni contatto con Castagneto.

Intanto noi a Roma, abituati a sguazzare nell’olio, lo dovevamo comprare a borsa nera.

Un fiasco costava duemila lire, che, per i tempi, era una cifra astronomica ed il cosiddetto olio, nel friggere, produceva bolle e schiuma disgustosa. Quando nemmeno quel surrogato di olio si riusciva a trovare, compravamo, non per friggere ma per condire, delle bustine contenenti una misteriosa polverina gialla (olio sintetico?!) che, sciolta nell’acqua, formava un liquido giallastro da versare sull’ insalata.

Ricordo che l’insalata sapeva solo d’aceto e non risultava nemmeno unta… Passato il fronte oltre la Toscana le cose non cambiarono: i treni non funzionavano, la posta nemmeno, l’automobile di papà era stata requisita fin dall’inizio della guerra.

Fu solo nel 1945 che un castagnetano, venuto a Roma con un traballante camioncino, ci portò da parte dei contadini qualche notizia, una latta d’olio da cinque chili ed un grosso pezzo di lardo. Fu una grande festa e non ci chiedemmo nemmeno perché il lardo e non 1l prosciutto… Per quindici giorni consecutivi friggemmo tutto quello che poteva essere fritto e, per la prima volta, persino i pomodori! Tanto allora nessuno parlava di colesterolo. Il lardo, poi, a me in particolare, sembrò prelibato: ne mettevo ogni giorno una bella fetta bianca nel panino che portavo a scuola per mangiare durante la ricreazione e le mie compagne mi guardavano con invidia.

Come Dio volle, un giorno d’estate del 1947 ritornammo a Castagneto. Era l’anno in cui papà era stato trasferito a Firenze e poi a Livorno, ed aveva a disposizione una jeep con autista. Fu proprio con la jeep, veicolo dotato di “avantreno” e particolarmente idoneo per terreni accidentati e ripidi, che facemmo il ritorno trionfale, salendo addirittura dalla “strada” (chiamiamola così…) in forte pendenza che dal piano conduceva alla casa dei Seri. 

Il primo nostro arrivo motorizzato fu un avvenimento storico!

Il vecchio capoccia della mia prima infanzia era morto da un pezzo. Se n’era andata anche la Dusola. Uno dei figli, con moglie e ragazzi aveva lasciato il podere. Il figlio maggiore era ora il nuovo capoccia e la Pia la nuova massaia. Tutti noi ragazzi eravamo cresciuti.

Ma lì era rimasto tutto come prima, soliti disagi, nessun cambiamento. 

L’unico miglioramento che riuscimmo ad apportare fu la sostituzione dell’infame “parallelepipedo con buco tondo” del presunto gabinetto con una più civile “tazza W.C.? (non ci si poteva pensare prima?…).

Ma il sistema di “scarico” era sempre lo stesso. Come sempre gli stessi erano i passatempi.

Tuttavia, non giocando più a nascondino, trascorrevo molto più tempo disegnando e leggendo. In quel periodo ho fatto gli unici bei disegni della mia vita, per lo più teste di bambini, ricopiate dalle cartoline illustrate, disegni che conservo ancora…

 

….Arrivederci a domani con un nuovo episodio!

 

Anni Quaranta, la casa com’era quando io ero bambina
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Maura Pucci da Filicaja

Maura Pucci da Filicaja vive a Roma da quando era bambina, ma nasce a Firenze novantadue anni fa. Madre di cinque figli affettuosi e nonna di ben dieci splendidi nipoti, è una signora che nutre da sempre grandi interessi. Due sonno state le passioni costanti che l’hanno accompagnata nella vita: la musica e la lingua italiana. Da quest’ultima deriva il suo più alto piacere, quello della scrittura. Come ella sostiene, famiglia e passioni sono state il “motore attivo” della sua longevità…

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