Accade oggi,Pittura

Con la macchia e …senza paura!

Firenze, sul finire del 1850, un gruppo di artisti usava incontrarsi regolarmente al Caffè Michelangiolo, in Via Larga (l’attuale Via Cavour) per discutere di arte e di politica: giovani idealisti, insoddisfatti delle arti e delle accademie che condividevano il desiderio di rinvigorire l’arte italiana, emulando l’audace struttura tonale che si annidava in maestri della pittura come Rembrandt, Caravaggio o Tintoretto. 

Rompendo con le antiquate convenzioni insegnate dalle accademie italiane d’arte, preferivano fare molta della loro pittura all’aperto per cogliere la luce naturale, l’ombra ed il colore.

Firenze, grazie al governo illuminato del Granduca Leopoldo II, aveva attratto vari letterati ed artisti da tutta la penisola; questi erano giunti in Toscana per studiare, frequentare i salotti intellettuali ed esercitare le loro professioni artistiche. Così il Caffé Michelangiolo, intorno alla metà del XIX secolo, era divenuto un importante ritrovo di studenti e letterati. Inizialmente i convegni furono goliardici ma, ben presto, subentrarono i cosiddetti incontri culturali; artisti ed intellettuali iniziarono difatti a discutere i nuovi indirizzi della cultura, attenti al fervore artistico che già attraversava le principali capitali straniere.

Il gruppo dei dodici artisti che costituirono i “Macchiaioli”, bagni Nettuno, Livorno

Nel 1855 i pittori toscani Serafino De Tivoli e Domenico Morelli, e il pugliese Saverio Altamura, recatisi a Parigi avevano visitato L’ Esposizione Universale. Avendo scoperto la pittura di Corot e dei pittori di Barbizon, una volta rientrati a Firenze, relazionarono gli amici e i colleghi del Caffé Michelangiolo su questo nuovo modo di fare arte caratterizzata da una visione essenziale, oggettiva e realistica della vita e del quotidiano. Ben presto il veneto Vincenzo Cabianca, i toscani Cristiano Banti, Telemaco Signorini e il nostro giovane Giovanni Fattori, si convertirono a questa nuova visione artistica che propugnava una pittura atta a riprodurre l’impressione del vero, molto antiaccademica: non a caso Fattori, che era nato a Livorno il 6 settembre 1825 e che giovanissimo aveva dimostrato grande passione e abilità per il disegno, nel 1846 si era già trasferito a Firenze per iscriversi all’Accademia delle Belle Arti di Piazza San Marco. Qui però, entrato in contatto con giovani artisti e colleghi di studio, già nel 1852 aveva deciso di abbandonare l’Accademia per iniziare un percorso artistico personale ed una carriera autonoma. 

Negli anni successivi, altri artisti condivisero il movimento che stava nascendo nelle sale del Caffè; si ricordano infatti  Vito D’Ancona, Silvestro Lega, Giovanni Boldini e Federico Zandomeneghi, mentre fu il fiorentino Diego Martelli, critico e mecenate d’arte, ad avere un ruolo fondamentale nella stesura del manifesto critico del movimento. 

Nasceva così il movimento toscano detto dei Macchiaioli. 

Il nome fu usato in senso dispregiativo nel 1862 dal critico della fiorentina Gazzetta del Popolo che voleva sottolineare il rifiuto di questi pittori verso il disegno e la forma, a favore invece dell’effetto: macchia è infatti quello stadio della pittura in cui il pittore mette sulla tela, senza cura dei contorni, una serie di macchie di colore al fine di studiare l’effetto dei toni.

Giovanni Fattori, “Bovi al carro”- 1877

L’innovazione dei Macchiaioli fu comunque in senso realista, cioè a favore della bellezza del vero; il vero, non disgiunto da un interesse sociale e ben definito, è disgiunto da una scelta politica democratica. Difatti, i temi trattati dai Macchiaioli nei loro quadri furono le scene di vita comune, dell’umile lavoro quotidiano, i ritratti ed i paesaggi naturali. Non mancheranno neanche le rappresentazioni pittoriche di scene di vita militare e delle battaglie risorgimentali a cui molti dei Macchiaioli  parteciparono in prima persona.

L’esaltazione per le ambientazioni pastorali ed agresti, rappresentò l’inizio di una moderna pittura caratterizzata dal contatto diretto con la natura. I Macchiaioli vivranno infatti a stretto contatto con la natura, in particolare quella intorno a Firenze e sulla costa tirrenica. A Firenze raffigureranno gli orti, i campi e le rive dell’Arno della zona detta Pergentina (oggi è rimasto nella topografia cittadina Via Piagentina), l’area subito fuori Piazza alla Croce, che si estendeva fino al Varlungo e risaliva il torrente Affrico, allora attraversato da sei ponti, fino a San Gervasio.  Qui, in una distesa di orti e campagne, operarono principalmente Lega, Banti, Signorini e Morelli, che diedero vita alla cosiddetta Scuola di Pergentina: erano soliti riunirsi sulle spiagge ombrose dove tutt’oggi l’Affrico si immette nell’Arno, in prossimità dell’’inizio dell’attuale Lungarno del Tempio, e  riuniti sotto un pergolato, mangiavano il pesce fritto della trattoria del Gobbo alla Bellariva, denominazione ancora presente in alcuni esercizi commerciali della zona.

La natura però, iniziava anche a Firenze a subire irrimediabili trasformazioni: sono questi gli anni in cui la città vede le prime modifiche urbanistiche che si sarebbero completate alcuni anni più tardi con i grandi lavori dell’ architetto Giuseppe Poggi per Firenze Capitale.

Ecco perché i Macchiaioli, per rappresentare la Natura, si spingeranno anche fuori citta’: vedremo così nascere la stagione di Castiglioncello, località in cui i pittori erano spesso ospiti del Martelli, il quale aveva in zona alcune residenze di famiglia. Qui il gruppo sperimenterà la pittura en plain air, dando vita a tutta una serie di dipinti dedicati alle marine e alle amate coste livornesi e maremmane. Memorabili resteranno quelli di Giovanni Fattori.

Ulteriori temi trattati dai Macchiaioli  furono quelli contemporanei della storia risorgimentale: celebri sono infatti i quadri in cui sono rappresentate scene militari e di combattimenti, dove l’attenzione è posata sempre sui vinti (ecco la novità del messaggio macchiaiolo), dando risalto alla sofferenza umana per celebrare in maniera antieroica le conquiste e gli obiettivi della politica sabauda. Infatti, il nuovo Regno d’Italia (1861) non corrispose mai alle aspettative e agli ideali del Risorgimento, per cui gli stessi Macchiaioli avevano creduto e combattuto e l’originario entusiasmo di rinnovamento e riscatto sociale annegherà ben presto, specialmente nei dipinti di Fattori, nel rimpianto e nella rassegnazione.

Nel 1865 l’Esposizione Nazionale di Firenze raccolse molti artisti e segnò il trionfo del realismo compreso quello macchiaiolo, ma già sul finire degli anni Sessanta la loro stagione  iniziava a concludersi, lasciando sempre più spazio al  nuovo Naturalismo Toscano. 

Silvestri Lega, “La rotonda dei bagni Palmeri” -1866

Fattori e Signorini  furono quelli che svilupparono maggiormente un proprio stile: il nostri pittore, uomo particolamnte riservato, non incontrò mai in vita il favore della critica (destino comune anche ad altri grandi artisti) e fu così indirizzato verso una vita estremamente povera e contraddistinta, nei più vicini affetti, da numerosi lutti: era solito frequentare una piccola osteria di Via del Parione,  gestita da una certa Cesira: più che la qualità, con l’appetito che lo perseguitava, cercava la quantità e, soprattutto, la faticosa digeribilità dei cibi, per non essere costretto troppo spesso a rimettersi a tavola. Spesso pagava con i propri quadri; quadri che il più delle volte erano di piccole dimensioni. Quadri che oggi, invece, valgono un capitale e sono solennemente ospitati nella Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, e a Roma.

Gli ultimi anni di vita li passò, come diceva lui, da gran signore, per merito di Ferdinando Martini, il Ministro dell’Istruzione, che nel 1869 gli procurò un posto di professore di pittura all’Istituto di Belle Arti a Firenze, assegnandogli pure due misere stanze che stavano all’ultimo piano dell’Istituto e  che divennero per il maestro uno studio-abitazione che abitò fino alla morte,  giunta tra queste mura il 30 agosto 1908. 

In ricordo di Giovanni Fattori e di tutti e 12 i Macchiaioli ancora oggi, al numero civico 21 di Via Cavour, una targa posta all’ingresso dell’allora sale del caffé ricorda così quei momenti: «In questo stabile ebbe sede il caffè Michelangiolo, geniale ritrovo di un gruppo di liberi artisti che l’arguzia fiorentina soprannominò macchiaioli e le cui opere nate fra le lotte politiche e gli eroismi guerrieri del Rinascimento nazionale perpetuarono il lume della tradizione pittorica italiana, rinnovandone gli spiriti».

Un’altra pagina tutta fiorentina, scritta nel grande libro della Storia dell’Arte !

Telemaco Signorini, “Sulle colline a Settignano”- 1885

 

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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Fiorenza Giandotti

Nn sono una intenditrice di arte ma nello stile macchiaiolo ho sempre trovato q.l impatto spontaneo che forte giunge al cuore mettendoti difronte a una realtà vera senza veli, veli atti solo ad esaltare una realtà forzatamente inesistente. Sovente sono a Livorno e sugli scogli trovo ancora q.lche pittore che riesce a scoprire scorci di vita semplice vissuta al ns modo. Sono piccoli dipinti su cartoni ma pieni di vita. Gli adoro e nel tempo, in casa, ne ho alcuni che mi danno sempre la sensazione della grandezza della ns semplice realtà Toscana.

Massimiliano Pancani

Bellissimo racconto, di un movimento pittorico che a mio parere non ha eguali, ho sempre amato Fattori, Lega, Signorini ed altri, in quanto rappresentavano la realtà, dalle campagne rurali alla guerra, dai ritratti con donne che incrociavano la paglia a paesaggi Fiorentini. Complimenti a Barbara che con questo racconto mi ha fatto ricordare le tante mostre a cui ho potuto partecipare

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