Matilde di Canossa, un mito divenuto leggenda
Dopo questi ultimi anni trascorsi, dopo che tutto il popolo italiano è stato chiamato a combattere unito una nuova ed inedita guerra, vorrei oggi con questo mio racconto enfatizzare la storia della nostra unità nazionale e di coloro che con ingegno e con coraggio si adoperarono affinché ciò accadesse.
La nazione italiana esiste da quasi un millennio come unità culturale e linguistica (pur nella diversità delle sue componenti), intravedendo la sua origine nei secoli dell’Alto Medioevo, quando alcuni personaggi seppero raccogliere una preziosa eredità, quella romana (come ebbe a scrivere Dante Alighieri nel primo canto dell’Inferno, guardando, non a caso, a Virgilio).
L’Italia, a tutti è noto, si è forgiata nel corso di ricche e tormentate vicende storiche che hanno prodotto un insieme di esperienze e di tradizioni senza eguali nel mondo, radicate in un terreno comune.
Questa nazione è vissuta per oltre un millennio senza uno Stato unitario e tuttavia gli italiani si sono sentiti tali, perché nutriti dalla percezione di essere parte di una comunità abbastanza omogenea, anche se all’interno di confini vaghi e talvolta mutevoli.
All’edificazione e alla crescita della nazione hanno contribuito nei secoli uomini e donne di ogni ceto e di ogni condizione la cui memoria merita di continuare ad essere tramandata al fine di apportare linfa ad un’identità che ultimamente è spesso bisognosa di essere ravvivata, a prescindere dal fare parte di una nuova o forse già superata «comunità di destini» quale è l’Europa.
Oggi pertanto vorremmo rievocare alla vostra memoria il ritratto di una donna che ne fu non soltanto protagonista, ma pioniera. E se cronologicamente, la nozione d’Italia come entità unitaria si fa risalire già al secolo XIII, quando nacque e si sviluppò una civiltà avvertita anche al di là delle Alpi come italiana, mi pare altresì congruo parlarvi di Matilda di Canossa come la prima «italica» – fra regine, nobili e badesse – a raggiungere livelli di grande responsabilità e potere grazie al suo ingegno nonché alla sua ferma intraprendenza.
L’immagine dell’imperatore romano Enrico IV di Franconia, che nel freddo gennaio del 1077 si aggirò per tre giorni e tre notti intorno al castello di Canossa, sull’Appennino reggiano, per ottenere la remissione della scomunica da papa Gregorio VII, è impressa nella memoria di tutti noi o perlomeno di quelli che, come me, si sono seduti per la prima volta dietro ad un banco di scuola all’incirca cinquanta anni fa. E con essa, sebbene un po’ più sfuocata, comunque ricorderanno la figura di Matilde di Toscana – duchessa secondo l’uso longobardo, o marchesa secondo quello dei Franchi, oppure semplicemente contessa, come amava ella stessa farsi chiamare – ovvero colei che ospitò il pontefice nel maniero di famiglia.
Nata nel 1046, probabilmente a Mantova, da Bonifacio di Canossa e da Beatrice di Lotaringia (pertanto di stirpe reale), Matilde si trovò a vivere da protagonista il periodo più turbolento dello scontro fra il papato e l’autorità imperiale, ovvero quel periodo storico che la consueta espressione «lotta per le investiture» non aiuta a comprendere mai bene fino in fondo.
Ella fu un’assidua sostenitrice dei pontefici – e in particolare di Gregorio VII, di cui peraltro condivideva gli intenti riformatori della Chiesa – sia per tradizione familiare, sia per esperienza personale. E’ stata la donna più potente del Medioevo, con un regno che si estendeva dalla Lombardia all’alto Lazio, dalla Liguria alla Romagna. Sono numerosi i luoghi della regione dove si conservano ancora i suoi segni.
Matilde di Canossa e’ una figura vera e al contempo leggendaria, che e’ divenuta una sorta di mito, essendo stata capace di esercitare un fascino praticamente ininterrotto attraverso i secoli. Fu lei medesima, infatti, a umiliare lo scomunicato imperatore Enrico IV, nel gennaio del 1077, costringendolo a rispettare l’ordine, ormai divenuto celeberrimo: «venire a Canossa». Non paga, ebbe l’ardire di lasciarlo per ben tre giorni e pure per tre notti ad attendere, davanti al suo castello, inginocchiato sotto una bufera di neve.
E fu sempre lei, Matilde di Canossa in carne ed ossa, a sfidare solamente qualche anno dopo, niente meno che il papa Gregorio VII -di cui fu comunque una ferrea sostenitrice – chiedendogli il permesso di celebrare messa. Non ci riuscì…. ma da quel suo braccio di ferro sembra siano stati edificati a sue spese un centinaio di edifici religiosi.
Che donna! Riuscite a immaginarvela? Non occorre osare tanto. Per scoprire il suo volto, aggraziato quanto volitivo, basta alzare gli occhi sulla facciata del duomo di Lucca: nella parte nord del portico, è raffigurato un busto femminile che secondo la voce popolare raffigura proprio lei, Matilde di Canossa. si dice infatti che fosse presente il 6 ottobre 1060 per la solenne cerimonia di consacrazione della nuova cattedrale, voluta dal vescovo Anselmo da Baggio che nel frattempo era divenuto papa con il nome di Alessandro II.
Matilde di Toscana, donna forte e guerriera, malinconica e sola, fu potente feudataria ed ardente sostenitrice del papato nella lotta per le investiture, riuscendo a imporsi in un’epoca in cui le donne non avevano alcuna voce in capitolo, a maggior ragione quando si trattava di politica. Ma ella non scelse il suo destino; di fatto, si ritrovò a gestire il grande potere destinato al fratello prematuramente scomparso, e lo fece con forza e fermezza, assumendo il pieno controllo della propria autorità. Visse un’ infanzia funestata da molti lutti: nel 1052 perse suo padre, quasi sicuramente vittima di un assassinio. Pochi anni più tardi, purtroppo, morirono in circostanze altrettanto poco chiare anche il fratello Federico e la sorella Beatrice.
Così, di fatto, a soli nove anni Matilde divenne l’unica erede dei vasti possedimenti paterni tanto che nel 1076 ella figurava già quale proprietaria di un esteso territorio che aveva il suo centro a Canossa, località ubicata nell’Appennino reggiano. Dopo aver trascorso qualche anno in Germania, a seguito delle seconde nozze della madre, vi fece ritorno per ordine imperiale, allorché nel 1074 la volle in sposa Goffredo il Gobbo, il figlio unico del suo patrigno, il duca di Lorena Goffredo il Barbuto. Il matrimonio durerà poco più di due anni, per via della morte del congiunto: ecco perchè il partito, da sempre contrario al suo orientamento filo-papale, la vorrà indicare come la quasi certa mandante dell’assassinio del marito.
Sono questi gli anni in cui la tensione tra papato e impero andrà sempre più aggravandosi. Matilde di Canossa cercherà pertanto di favorire una mediazione fra le due personalità, l’imperatore Enrico IV di Franconia e il papa Gregorio VII, ma infine, opterà per schierarsi con il pontefice, a cui offrirà un rifugio sicuro nel proprio castello di Canossa. E su questo, come dicevamo poc’anzi, Matilde non ebbe mai dubbi, sostenendo la politica papale fino alla fine dei suoi giorni, che arrivarono all’età di 70 anni.
Matilde morirà infatti il 24 luglio 1115, in provincia di Reggio Emilia.
Sepolta nel monastero di San Benedetto di Polirone, nel 1163 la sua salma verrà poi spostata nella Basilica di San Pietro a Roma, dove attualmente riposa, custodita in una tomba scolpita da Gianbattista Bernini, ma tutta la Toscana continua ancor oggi ad essere costellata del suo ricordo, fra leggende, monumenti ed edifici che si intrecciano nella tradizione popolare. Come ad esempio il Ponte della Maddalena, ai più noto come il Ponte del Diavolo, sul fiume Serchio: si racconta che a far costruire il famoso attraversamento a Borgo a Mozzano, in provincia di Lucca, sia stata proprio Matilde, per consentire ai viandanti di raggiungere le sorgenti e proseguire verso Roma, facendo trovare loro un pasto ed un bagno termale a spese della Gran Contessa. Oppure Casciana Terme, la città termale che la leggenda vuole essere stata fondata dalla signora di Canossa: dice la leggenda che fu lei a scoprire le straordinarie proprietà delle acque del posto. E ciò grazie al suo merlo da compagnia, ormai anziano e malato. Pare infatti che durante un soggiorno a Casciana la Grancontessa di Toscana si accorse che l’animale recuperava le forze: mettendosi dunque con la dovuta attenzione a osservare il suo volo ella scoprì che l’uccello si immergeva in strane “acque fumanti”. Perplessa ma al contempo incuriosita intense provare anche lei e dopo aver constatato i benefici sulla sua salute, diede vita al centro termale.
E ancora molto ci sarebbe da scrivere sul suo conto ma, alla fine di questa storia, un dubbio sorge spontaneo: e se ella avesse avuto un erede? Allora forse il suo progetto sarebbe stato coronato da successo?
Nessuno potrà mai saperlo, poiché nella realtà dei fatti, tutto fu diverso: ad ogni modo, nei suoi domìni, quelli non trasferiti alla Santa Sede, sarebbe fiorita la civiltà comunale!