“Cuore di mamma non sbaglia” . La storia di una tartaruga Caretta caretta
E se per un giorno fossimo delle tartarughe marine? Come sarebbe una vita da tartaruga nei nostri mari?
Mi sono posta questo quesito qualche giorno fa quando, recandomi in spiaggia nello stabilimento balneare che frequento da anni, mi sono imbattuta in una gabbia metallica.
Era lì, tra le file di ombrelloni, ma fino al giorno prima non c’era. Più che una gabbia, è una recinzione realizzata dai volontari di biologia marina per proteggere un paio di metri quadri di sabbia; la notizia straordinaria è che una mamma di tartaruga Caretta caretta ha deciso di eleggere a culla nidificatoria per i suoi cuccioli esattamente questo fazzoletto di terra sito nella piccola spiaggetta adiacente al porto turistico di Punta Ala.
Certo, le tartarughe marine sono considerate degli innocenti rettili acquatici, amati da tutti, più o meno. Ma avete mai pensato a che cosa ci toccherebbe fare per sopravvivere, se fossimo nati tartarughe anziché esseri umani?
Le difficoltà inizierebbero ancor prima di vedere la luce. Di fatti, la nidificazione delle tartarughe su arenili e spiagge è costantemente in pericolo: le uova deposte da mamma tartaruga vengono saccheggiate dai predatori e spesso finiscono per andare distrutte dalle attrezzature meccaniche per la pulizia delle spiagge. Scampati questi pericoli, dopo la schiusa delle uova, i tartarughini prendono finalmente la via del mare, ma le difficoltà non sono certo finite.
In tutti gli stadi della vita, le tartarughe devono fare i conti con numerosissimi pericoli: e se da piccoli rappresentano un prelibato boccone non soltanto per gli animali che possono raggiungere la spiaggia via terra ma anche dagli uccelli, una volta in mare il pericolo è rappresentato dai pesci. Ovviamente, via via che la tartaruga cresce e la sua corazza si indurisce, sarà predata solo da pesci di grosse dimensioni: il pericolo costante è soprattutto rappresentato dagli squali. Queste povere tartarughe devono però fare i conti anche con altri pericoli: al pari dello squalo, l’uomo è diventato il maggior nemico di questi animali. Da una parte perché ancora in molti paesi, non solo vengono depredate le uova, ma anche gli adulti sono oggetto di caccia sfrenata, un po’ per la qualità delle loro carni, un po’ per impossessarsi della corazza (ne vengono fatti gli usi più disparati); dall’altra perché, anche quando non vengono cacciate trovano ostacoli che noi, nella nostra conclamata arroganza, poniamo sul loro cammino.
In poche parole, se fossimo nati tartarughe ogni giorno saremmo costretti a lottare per sopravvivere forse di più di quanto non lo facciamo da umani: evitare di soffocare per l’ingestione di plastiche, schivare pericolosi incidenti con barche e natanti, non finire impigliate in una rete da pesca o, peggio ancora, catturate dagli ami. Una vita sotto minaccia perenne, soprattutto per una specie come la Caretta caretta, che è ormai a rischio di estinzione nel mar Mediteranneo. I numeri parlano chiaro: solo in Italia ogni anno muoiono più di 10mila esemplari a seguito di catture accidentali, ingestione di plastica e traffico nautico.
Involontariamente, mentre me ne sto comodamente distesa sul lettino da spiaggia spalmandomi la protezione solare, nella mia mente si fanno strada i ricordi: i tempi della mia maternità, la piacevolezza di quel periodo trascorso nella dolce attesa del lieto evento, e poi la fortuna di poter vedere i figli crescere e farsi grandi. Poi, improvviso, arriva un colpo al cuore; il mio pensiero va a quella mamma tartaruga e alla sua gravidanza: quanto deve avere faticato quella poverina, anche soltanto per arrivare fin qua!
La scelta di questa spiaggia, infatti, non è certo stata casuale; ho letto da qualche parte che le tartarughe depongono le proprie uova nella stessa spiaggia in cui sono nate le madri, o poco vicino; questo significa dover girare a volte anche mezzo mondo, pur di tornare al proprio punto di origine.
Una volta tornata in zona, la nostra mamma ha dovuto valutare se la location prescelta era sufficientemente ampia, se la sabbia era adatta, se il luogo era tranquillo, al riparo da predatori e da troppe luce artificiali.
Chissà quanto tempo avrà trascorso la poverina, standosene in attesa, nuotando al largo di questa piccola insenatura, intenta a osservare i movimenti di noi umani, a partire dalle prime luci del mattino; gli ombrelloni che si aprono, la spiaggia che si affolla di gente, il frastuono che giunge da riva, le grida dei bambini che giocano nell’acqua, le mamme che richiamano l’attenzione dei propri figli ad alta voce, il via vai di imbarcazioni di ogni genere, palloni, gonfiabili, materassini e ciambelle che galleggiano ovunque.
Ore e ore di attesa (forse interi giorni!) fin quando il sole non tramonta e la spiaggia, poco alla volta, si svuota e i bagnanti fanno rientro alle loro dimore estive; i bagnini rimettono a posto le sdraio, chiudono gli ombrelloni, tirano la rena. Poco alla volta, il cielo si fa scuro e diviene una macchia nera. Poi la luna fa la sua comparsa, primeggiando in bagliore in mezzo alle stelle.
È notte fonda; mamma tartaruga ha atteso questo momento, ha atteso il silenzio, la quiete. Sicuramente non avrà voluto essere vista da nessuno mentre compiva il suo dovere di madre; se uscendo dall’acqua per deporre le uova, la femmina avesse trovato degli impedimenti, avrebbe rinunciato alla deposizione e ripreso la via del mare.
Invece, qui da noi, ha trovato le condizioni giuste; si è trascinata per qualche metro sulla sabbia, ha scavato la sua buca e vi ha deposto le uova. Tante uova, forse un centinaio; uova morbide e bianche, perfettamente sferiche; dicono che la loro grandezza sia simile a quella di una pallina da ping pong.
Per deporle, la femmina deve avere impiegato molte ore; dopodiché, una volta ricoperta la buca, se ne è tornata in acqua, abbandonando la prole per sempre al suo destino.
Non vedrà mai i suoi cuccioli venire al mondo, non li conoscerà mai.
L’incubazione durerà circa due mesi. L’elevato numero di rischi di sopravvivenza di un’intera nidiata spiega l’altrettanto elevato numero di uova deposte. I volontari hanno riferito che la schiusa avverrà contemporaneamente per tutte le uova: uscite dal guscio le neonate tartarughine misureranno appena 4 cm, ma saranno già pronte per nuotare. Il pezzo di spiaggia che le separa dall’acqua è quello più pericoloso perché proprio lì hanno le maggiori probabilità di essere intercettate da qualche predatore affamato.
Un altro problema è portato dall’illuminazione artificiale. Queste piccole creature agiscono d’istinto, giungono al mare seguendo la via tracciata in cielo dalle stelle. Non distinguono i lampioni o le insegne al neon dalla costellazione del Piccolo Carro… rischiano di confondersi e sbagliare direzione andando incontro alla morte, soltanto poche ore dopo che sono nate.
Una volta in acqua, i piccoli sopravvissuti si dirigeranno verso il mare aperto e si lasceranno trasportare dalle correnti, mangiando ciò che capita loro sotto tiro. Trascorreranno così tutta la fase giovanile fino alla maturità sessuale, che avverrà dopo molti anni. Il ciclo naturale della vita, il miracolo della Natura, farà sì che tutto questo si ripeta ancora e ancora. Io spero all’infinito.
Per agevolare la loro sopravvivenza e – se solo potesse saperlo- far dormire a mamma tartaruga sonni tranquilli, i volontari hanno riferito che torneranno a controllare la spiaggia, e monitoreranno il nido di uova fino al momento della schiusa, prevista per metà settembre. Quindi, scaveranno un varco nella sabbia per indicare la via, agevolando l’entrata in acqua dei piccoli. Li seguiranno amorevolmente sino a quando l’ultima tartarughina non avrà raggiunto il mare.
Anche se il mio contributo sarà poca cosa, compatibilmente con gli impegni di lavoro, mi sono offerta per fare servizio di sorveglianza notturna quando saremo in prossimità del lieto evento.
Andrà tutto bene, me lo sento dentro: “Cuore di mamma non sbaglia”!