Un saluto da…
Quest’estate ho ricevuto una sola cartolina. Me l’ha spedita un’amica giapponese che stava facendo un viaggio in Australia, semplicemente per mandarmi i suoi saluti e chiedere come stavamo in famiglia.
L’immagine sull’altro rivolto era quella di tre canguri che saltano all’unisono: intorno il deserto, con i colori di un tramonto bellissimo dalle mille sfumature che vanno dal giallo zafferano al rosso intenso.
Non ho potuto capire in quale parte dell’Australia ella sia andata, perché non si tratta di una fotografia che ritrae una città, oppure un’opera di architettura famosa, con la quale ricollegarsi a qualche luogo preciso: praticamente, ho capito di quale continente si trattasse soltanto dal timbro postale e ovviamente, dai canguri.
Ma perfino ricevere una cartolina così inusuale, mi ha fatto un immenso piacere.
Un raro esemplare di posta vecchio stile che avrà sicuramente fatto il suo viaggio sconosciuto e forse difficile in camion, in treno e poi in aereo, poi di nuovo in treno e magari ancora in camion, per arrivare a destinazione, nella città dove io vivo, in Italia.
Fino a qualche anno fa, le cassette delle lettere non venivano riempite soltanto di volantini pubblicitari o di bollette da pagare per la fornitura del gas o dell’acqua, erogata nel mese.
Soprattutto durante l’estate o comunque nei periodi di festa, quasi non passava giorno senza che il postino consegnasse la cartolina di un amico o di un qualche conoscente che se ne era andato in vacanza.
Oggi al massimo, da un amico in vacanza, si può ricevere un’email con una fotografia oppure, se a viaggiare sono i propri figli o i propri nipoti, un messaggio whatsapp composto da tre parole (a esagerare) e magari, anche abbreviate!
Ma, alle volte può andare pure peggio: ad esempio, io che ho una figlia ormai maggiorenne e tecnologicamente evoluta, spesso ricevo soltanto un paio di faccine, vale a dire quelle che, in gergo, si definiscono emoticon.
Ebbene, queste sottospecie di smile di una volta, sono state reinventate per esprimere sinteticamente lo stato d’animo del vostro corrispondente: se digitate in allegato alla fotografia, il gioco è presto fatto!
Così, può capitare ch’io mi ritrovi a dover intuire che una faccina con la bocca all’ingiù mi e stata inviata per rendermi noto che il volo con cui lei è partita, ha fatto ritardo: viceversa, se mi arriva un sorriso smagliante, posso concludere che è serenamente giunta a destinazione.
Ma, senza volere polemizzare sulle nuove generazioni e le loro attitudini relazionali, vorrei ricordare soltanto quanto era bello ricevere una cartolina!
La cosa fantastica era pure la loro straordinaria varietà: per posta non arrivavano solo la Tour Eiffel, il Taj Mahal o qualche altra famosa attrazione turistica: si poteva ricevere l’immagine di un paesino sperduto chissà in quale recondita regione, oppure di animali rarissimi, perfino di alcune aziende di produzione, che magnificavano la loro eccellenza professionale da secoli.
Insomma, tutte le città, tutte le attività commerciali (alberghi, ristoranti e cosi via) avevano la loro cartolina e tu potevi decidere di spedire quella che più ti aggradava.
In base alla mia esperienza, le persone che spedivano cartoline (e lo facevano quasi tutte) si dividevano tra quelle che preferivano le immagini convenzionali di luoghi famosi e quelle che si divertivano a mandare immagini strane, alle volte anche dal gusto pessimo.
Personalmente, ho sempre ritenuto piacevole inviare cartoline piuttosto particolari, di quelle che ritraevano gli scorci inediti di una città, tanto per non sembrare di avere ritagliato quella foto dal sussidiario di geografia, prima di essere partita da casa.
Un vero appassionato di cartoline poteva passare buona parte delle sue vacanze a cercare qualcosa di stravagante da inviare per divertire gli amici a casa. Ma la cosa non finiva qui: una volta trovata la cartolina giusta poi, occorreva trovare anche qualcosa di altrettanto originale da scrivere.
Per esempio, i soliti saluti a me non bastavano mai. Qualche particolare sul viaggio e un paio di osservazioni sul paese che si stava visitando potevano andare ma, alle volte, era ancora meglio tirare fuori una battuta spiritosa, insomma: differenti soluzioni, in base ai differenti destinatari della posta.
Ogni cartolina ha dunque una sua storia: ma a differenza di quel che è accaduto per le lettere, nessuno si è mai preoccupato di pubblicare un’antologia di cartoline, questo perché quando la gente le colleziona, non è interessata ai loro meriti letterari.
Se un libro del genere esistesse, sono certa che conterrebbe centinaia di capolavori di quest’arte minimalista, e lo sostengo perché le cartoline impongono una concisione verbale che può raggiungere vette di eloquenza sublimi: rapidi e commoventi squarci di vita oltre a innumerevoli episodi divertenti raccontati con tocchi magistrali.
Qualche volta, quando ero ancora studentessa alla Facoltà di Architettura e nel mio tempo libero girellavo per negozi di antiquariato e di libri usati, spesso curiosando tra le carabattole del mercatino delle Pulci con il mio amico Leo ( grande collezionista di tutto), mi imbattevo in degli scatoloni pieni di vecchie cartoline che, a mio parere avevano il loro valore non soltanto per la loro antichità, le immagini o i francobolli: il testo scritto generalmente tendeva a essere sbiadito e difficile da decifrare, ma io cercavo sempre di leggerlo e così facendo, mi si apriva un mondo, sospeso tra la fantasia ed il passato.
Sapevate che le cartoline hanno continuato ad essere usate dalle persone che avevano modeste disponibilità finanziarie per comunicare notizie importanti, anche quando il telefono non era più una novità?
Una volta me ne capito’ tra le mani una su cui era scritto: “F.P. è morta ieri notte, i funerali martedì”. Non c’era altro!
Dunque, cari lettori, se nel vostro girovagare giornaliero vi capitasse d’imbattervi in una povera anima solitaria, seduta in un caffè che è ancora impegnata a scrivere qualcosa su una cartolina, abbiate pietà!
Quel lui, o quella lei sono gli ultimi esemplari di una specie in via di estinzione, quasi sicuramente persone di mezza età, già nervose e preoccupate per tutti i problemi che gli anziani devono affrontare nella vita.
Ma forse, per loro, questo è un momento di respiro e se ne stanno lì seduti, leccando allegramente un francobollo e allungando il collo per cercare d’individuare una cassetta postale sulla strada, per spedire quella che potrebbe rivelarsi la loro ultima cartolina, con stampata un’immagine della propria città ed, in allegato, il messaggio: non importa se il contenuto risulterà interessante o banale: sarà senz’altro ricevuto con piacere dal suo sconosciuto destinatario, nella regione accanto o a distanza di molti fusi orari, in qualche altro continente e luogo che non si riesce neanche lontanamente a immaginare.
Post Scriptum: «L’ Invenzione della cartolina»
Fu un professore di economia austriaco, al secolo Hermann Emmanuel, dell’Accademia Militare di Wienere Stad, a proporre l’utilizzo della cartolina postale come forma di corrispondenza veloce e stringata per le comunicazioni istituzionali.
Il professore presentò l’idea in un articolo di giornale che catturò l’attenzione del direttore delle poste austriache. La prima emissione di cartoline avvenne il 1° ottobre 1869: si trattava di un cartoncino di colore avorio, preaffrancato, con uno spazio destinato a un testo lungo non più di 20 parole.
L’idea si rivelò vincente, anche perché il costo era più basso rispetto a quello stabilito per una normale lettera. Col passare del tempo, si passò dall’anonimo cartoncino color avorio ai primi esempi di cartolina corredata da immagini, pitture e simboli, diversi da paese a paese.
In Italia iniziarono a circolare nel 1874, al costo di dieci centesimi, accompagnate dall’effigie di Vittorio Emanuele II, il re dell’Unità nazionale.