#gliesercizidi Raccontami una Storia_movimento

Non me la scorderò mai quella sera

Sottotitolo: Una danza particolare.

Era estate, era sera e loro erano felici.

La neo-mamma era ancora in sala parto, probabilmente assieme al neo-papà, mentre il neo-nonno, il neo-zio e le due neo-zie erano davanti a me, nella sala di attesa del reparto maternità dell’ospedale di Taranto.

La loro felicità riusciva persino a far sembrare la luce bianca e piatta dei neon di quella stanza, calda e piacevole. 

Il neo-nonno, in particolare, era euforico. Parlava di pesca in riva al mare, di gelati da mangiare assieme al neo-nipote nella piazzetta di Martina Franca. 

Parlava di una bicicletta da corsa da comprargli appena possibile, per portarlo con lui la domenica mattina. 

Le neo-zie lo schernivano ridendo, sostenendo che non sarebbe riuscito a evitare che il neo-padre lo iscrivesse alla scuola calcio e avrebbe infranto i suoi sogni di campione di ciclismo.

Il neo-nonno rideva sostenendo, col suo marcato accento pugliese, che il neo-papà avrebbe dovuto sudare le sette camice per spuntarla in quel campo. Usò per il neo-papà un appellativo tarantino talmente colorito che fece scoppiare dal ridere tutto il gruppo di neo-qualcosa e strappò un sorriso anche a me.

Fu in quel momento, probabilmente, che il neo-nonno si accorse della mia presenza. Mi guardò sorridente e mi chiese: «Maschio o femmina?»

«Aborto!»

Risposi con un filo di voce.

Abbassai la testa cercando disperatamente di trattenere le lacrime.

L’euforia del neo-nonno si spense di colpo rendendosi conto della sua imprudenza nel fare quella domanda. Per lui, in quel momento, esisteva solo la vita. La sua felicità non poteva contemplare altro.

Un silenzio imbarazzato ed improvviso si impadronì di quella stanza. La luce bianca dei neon mostrava ora tutta la sua freddezza. Tutti si accorsero anche del ronzio che un neon esaurito emetteva mentre mandava i suoi ultimi lampeggi. 

Mi sentii un po’ in colpa per aver interrotto così bruscamente il loro entusiasmo. Provai a tranquillizzarli: «Non preoccupatevi, passerà. Ho già vissuto la vostra gioia due anni fa alla nascita del mio primo figlio e, probabilmente, la vivrò di nuovo tra qualche mese visto che mia moglie, a quanto mi dicono, sta bene». 

Ma fu inutile.

Dopo qualche minuto di silenzio e ronzio, una neo-zia disse di aver sete. L’avvertii che i distributori automatici al piano inferiore erano stati messi fuori uso dai vandali. Ed infatti avevo una sete da matti.

Il neo-nonno si alzò di scatto e uscì dalla sala di attesa. Dopo pochi minuti tornò con in mano due bottiglie di plastica da due litri e me ne dette una. 

Accettai. Non me la sentii di fare troppi complimenti. Avevo troppa sete per farlo. E poi mi avevano detto che in quell’ospedale i pazienti dovevano portarsi l’acqua da casa, se volevano bere.

E questa cosa mi aveva innervosito non poco.

Lui apparve felice di avermi aiutato, come se, con quel gesto, avesse potuto parzialmente compensare l’imbarazzo per la sua domanda inopportuna. 

Lo guardai e gli dissi di prepararsi con l’acqua, perché lo aspettava un periodo in cui avrebbe dovuto riempire molte borracce della bici da corsa del nipote. 

Sorrise.

E ne fui felice. Era troppo brutto aver interrotto la sua felicità con la mia tristezza. 

In quei pochi metri quadri della sala di aspetto di un ospedale, si stava materializzando lo spettacolo più affascinante e drammatico che la realtà possa offrire a noi esseri umani: la danza inevitabile e inarrestabile tra il miracolo della vita e il dramma della morte.

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Lorenzo Rossomandi

Lorenzo Rossomandi è nato a Firenze nel 1967, imprenditore, amante di musica Jazz (tanto da provare a suonarla), è sposato con tre figli. Sostiene di scrivere per approfondire.

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