Il miglior fallimento della mia vita
L’estate tra la quarta e la quinta liceo avevo iniziato a lavorare in un bar del mio paese.
Le spese da affrontare per la mia famiglia erano molte già nella normalità, figurarsi se avessero dovuto pagarmi anche la patente.
Quindi avevo deciso di darmi da fare, raccattando tutti i lavoretti che potevo, per pagarmi l’autoscuola e, se possibile, anche i testi universitari l’anno successivo.
Una delle sere in cui ero in servizio, mentre caricavo la lavastoviglie in cucina, era entrato alle mie spalle un cliente, quello che io ritenevo essere il più bel ragazzo che frequentava il locale. Senza preamboli, mi invitò a cena con lui. Sapevo che lui era molto più grande di me, ma sapevo anche che forse la mia età non era così chiara dalle apparenze, in quel momento. Quindi gli chiesi, con tutta l’innocenza dei quasi 18 anni: “Sai che sono minorenne?”
La sua espressione fu quella di chi riceve uno schiaffo in pieno viso, ma io mi resi conto solo in un secondo momento di quanto brutta potesse suonare quella frase.
Quando realizzai, gli scrissi il mio numero di telefono in un foglietto e glielo infilai sotto la tazzina del caffè.
Uscimmo a cena, ci innamorammo, e per un po’ fu una storia bellissima.
Pian piano però cominciai a sentire una sorta di disagio montare dentro di me.
Giocavo a pallavolo, ero anche bravina, ma lui non solo non veniva quasi mai a vedermi, ma non perdeva occasione di rimarcare che quello sport proprio non gli piaceva.
Suonavo con i musici del gruppo sbandieratori del mio paese, ma lui non solo non era interessato alle uscite o alle gare, ma continuava a rimarcare che non era da ragazze serie suonare in un gruppo che ai suoi occhi era “promiscuo”.
Lavoravo come una matta per mantenermi all’università, ma per lui era uno sforzo inutile, tanto i libri e un pezzo di carta non mi avrebbero portata da nessuna parte.
Mi avevano avvicinata dei ragazzi del mio paese per chiedermi di entrare nel loro gruppo politico giovanile, ma ero costretta ad andarci di nascosto, perché lui aveva liquidato la faccenda con un gesto inequivocabile della mano e un’espressione schifata nel volto.
In coppia potevamo frequentare solo i suoi amici, perché le mie amiche erano troppo piccole per lui.
Più uscivamo con la sua compagnia, più lui si divertiva e io mi sentivo fuori posto.
Non avevo realizzato davvero quello che mi stava succedendo… e subivo la situazione, barcamenandomi tra il mio spazio, dov’ero realmente io, e il suo spazio, dove mi facevo piccola e silenziosa.
Fino ad una calda domenica pomeriggio di luglio.
Mi venne a prendere per trovarci, per l’ennesima volta, con i suoi amici per aperitivo e cena.
Non avevo pianificato nulla, ma mi scattò qualcosa dentro, inconsapevolmente: era come se io fossi uscita dal mio corpo e mi sentissi riversargli addosso tutto il mio malessere, incluse le fatidiche parole: “Ti prego, separiamoci senza rancore. È meglio che ognuno vada per la propria strada”.
Ancora una volta non avevo saputo prevedere la sua reazione. Mi vomitò addosso insulti e mi additò come l’inferno con cui aveva dovuto vivere per sei anni. Se ne andò sbattendo la porta, urlandomi dietro che sarei rimasta da sola per tutta la vita, e che la fine di una storia con un bravo ragazzo come lui era solamente un mio grandissimo fallimento.
Accusai il colpo, per un po’. Pensai di essere davvero io quella sbagliata, quella che non sapeva apprezzare il tesoro che avevo avuto davanti agli occhi per sei anni.
Fu uno sbandieratore a dirmi quello che fino a quel momento non avevo mai pensato: “Ora sei finalmente libera di sbocciare”.
Le sue parole furono come una cioccolata calda d’inverno, e la mia vocina interiore si sentì libera di crederci.
Non so se sono davvero sbocciata, nel frattempo.
So che nel corso degli anni ho trovato una professione che adoro, un uomo che mi ha fatto comprendere la portata del vero amore che supporta e non demolisce, e una passione politica che mi porta a spendermi senza rimpianti per gli altri.
So che ho capito chi sono dal momento in cui ho lasciato andare quella storia che mi faceva sentire perennemente inadeguata e sbagliata.
E so che quella domenica di luglio è stata il miglior fallimento della mia vita.