#gliesercizidi Raccontami una Storia_movimento

Non me la scorderò mai quella sera

Era settembre, faceva ancora caldo e si dormiva scoperti. Finestre e porte tutte lasciate meticolosamente spalancate. “Fai fa current, fa nu cavr e pazz” diceva Lina la signora che ci aiutava a casa e così a casa mia non si chiudeva mai niente, manco il bagno.
Avrò avuto 11 anni, forse 12 e vivevo in quella casa da quando ero nata. Era un appartamento ampio, al secondo piano, molto luminoso, con una bella vetrata che dava su un grande terrazzo. L’unico terrazzo del palazzo. Gli altri condomini si dovevano accontentare di uno striminzito balcone.

Tutti gli appartamenti e tutti i balconi affacciavano sul nostro terrazzo. Questo faceva di noi dei privilegiati.

Sopra la mia testa cinque piani di famiglie delle quali conoscevo poco o niente.
Al quarto piano sulla destra c’era ‘a cinese, così chiamata perché era piccola, aveva i capelli lisci e portava sempre le scarpe basse. Si vociferava che avesse rapporti di parentela un po’ torbidi o comunque non proprio luminosi, ma che vuoi fare, i parenti non te li puoi scegliere. ‘A cinese vendeva “le nocelle” al mercato. Mandorle, nocciole, arachidi sgusciati o no, ceci, lupini e qualche volta, ma non sempre, aveva pure le olive.

Ogni tanto, quando tornavo da scuola, mi accorgevo che avevo dimenticato le chiavi e mi sedevo sulle scale in attesa che tornasse mia madre. Se passava di li ad ora di pranzo, mi faceva salire a casa sua e mi dava qualche nocella.

Al terzo piano sotto ‘a cinese viveva una famiglia con una figlia chiatta e chiassosa. Stava sempre alla finestra con un lecca lecca in bocca, mi chiamava, urlava. Non sempre capivo quello che diceva ma non mi piaceva. Ho fatto la mia prima grande caduta sui pattini davanti a lei. Andavo veloce, presi male una curva e caddi col culo a terra. Lei rideva e io non ho più pattinato, non in terrazzo.

Al quinto piano proprio sopra la mia finestra, abitava una famiglia di Finlandesi. Avevano tre figli, uno più bello dell’altro. Il più grande aveva messo su una specie di allevamento di tartarughe di terra ed io, con la scusa di andare a vedere le tartarughe, mi andavo a guardare i ragazzi. Loro non parlavano italiano, io ero timida e così la frequentazione non è durata molto ma hanno accompagnato i miei pensieri di ragazzina curiosa a lungo.

Il terrazzo, inutile a dirlo, era diventato, con gli anni, un crocevia di sguardi, incontri, saluti e conoscenze. Si perché su un terrazzo poi, alla fin fine, prima o poi ci cade sempre qualcosa. Come minimo ti becchi le sgrullate di tutte le tovaglie del condominio, motivo per il quale lo stendino con il bucato non lo devi mai mettere troppo sotto ai balconi.

Alla signora Bontempi, al sesto piano, una volta cadde una mutanda da uomo roberto cavalli, sicuramente di contrabbando, con un pitone disegnato davanti. La venne a ritirare in evidente imbarazzo data la sua età (indefinita sopra i sessanta) e soprattutto il fatto che la signora era vedova da più di dieci anni e non aveva figli. Se non ci fosse stata mia madre che innaffiava le piante ad assistere al dolce planare della mutanda per quattro piani mentre la signora Bontempi attonita rimaneva pietrificata nella speranza di incenerirsi all’istante, probabilmente si sarebbe tuffata in casa e non l’avrebbe di certo reclamata. Da quel giorno, per noi, divenne la Bontempona.

Al Signore del quinto piano a destra cadde un pennello, uno di quelli grandi, che entrò in rotta di collisione con la pianta di bamboo che non resse l’urto e spirò. Mia madre non gli rivolse più la parola, neanche in ascensore. Il solo nominare la parola bamboo (ma anche panda) la fece sobbalzare per diverso tempo.

Una sera di settembre ci cadde la Signora Russo.
Faceva caldo, ero a letto ma non dormivo. La mia stanza affacciava sul terrazzo. Tutte le finestre erano aperte. Sentii un gran tonfo e un silenzio quasi irreale. Pensai che a qualcuno doveva essere caduto un vaso o qualcosa di grosso e andai a chiamare mia madre che dormiva dall’altra parte della casa.

Quello che ne seguì fu una gran confusione. Vicini, svegliati dallo stesso rumore, che entravano e uscivano, chi a mani giunte, chi con gli occhi al cielo.

“O Gesù, Gesù ma che è stat?”. “Ma comm’è sta cos, chell parev accussì normal”. “Ma po esse che è carut?”.

Ognuno sentiva l’impellenza di lasciare un commento, un’opinione, prima di congedarsi.

La signora Russo è stata la prima persona morta che ho visto. A casa mia. Fuori dalla mia finestra. Non mi fece impressione, né la sognai nei giorni a venire, ma una cosa quella sera la imparai, la imparai bene.

Le brutte notizie, quando arrivano, fanno sempre un gran rumore.

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Verena Del Pinto
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