Se la mia vita fosse un viaggio
Un blocco per appunti sul tavolino, una penna, il programma del corso che devo tenere e le cuffie nelle orecchie. Dalla borsa, che ho sistemato sul posto libero accanto al mio, spunta un astuccio di stoffa verde. So già chi, con aria furtiva, l’ha infilato nella mia borsa poco prima della partenza del treno.
Mi scappa un sorriso.
Resisto alla voglia di aprire l’astuccio, appoggio la schiena al sedile, chiudo gli occhi e mi lascio cullare del sole che entra dal finestrino.
Ho iniziato a viaggiare per lavoro venti anni fa. Da un punto all’altro dell’Italia, per un giorno, due, per un mese o per anni. Che sia in auto, in treno o in aereo, ho sempre avuto la valigia accanto al letto, pronta per un nuovo viaggio.
E quei viaggi sono sempre stati uno tempo-spazio inutile che si frapponeva tra me e il mio obiettivo.
Io, sempre impegnata, io sempre tesa a dare il meglio di me e a farlo in fretta.
Dei miei compagni di viaggio ho fatto delle silhouette di cartone sbiadito, di tutti i luoghi, che ho visitato per lavoro, ricordo il tempo della cena in solitudine, mangiata in fretta, per arrivare in albergo e prepararmi per il lavoro del giorno successivo.
Cene e viaggi fatti quasi sempre da sola. Ma d’altra parte SOLA per me è sempre stato sinonimo di “me la posso cavare, io basto a me stessa”.
Era quello che mi ripetevo anche quel pomeriggio, mentre ero diretta a Linate per prendere il volo che mi avrebbe fatto tornare a casa nel weekend. Quel tempo vivevo metà della vita a Milano e metà a Roma. Il ritmo della mia vita era scandito da biglietti aerei e sveglie in letti diversi.
Camminavo con passo spedito, denti serrati e un frullatore in testa.
Ma un certo punto è accaduta… LEI.
La prima volta che ho sentito mia figlia muoversi dentro di me scendevo le scale della metropolitana Conciliazione a Milano. In una mano una valigia leggera, nell’altra uno di quei quotidiani gratuiti che distribuivano all’uscita della metro. Un tuffo, una bolla, un sussulto. Resto immobilizzata. Mi sono trovata a dire ad alta voce: “eccola qui, lei è con me”.
Da quel momento ho avvertito l’assoluta certezza di non essere più SOLA.
Del successivo viaggio in aereo ricordo la musica nelle orecchie, il Concerto di Colonia di Keith Jarrett, ricordo le lacrime di gioia e stupore che sono scese libere sulle mie guance e la sensazione di essermi finalmente affrancata da me stessa.
Da quel giorno i miei viaggi sono storie, e attraverso le storie degli altri esploro le zone profonde dell’umanità.
Ho rallentato il mio passo, ho imparato a perdonarmi se cado o se arrivo in ritardo.
Dei luoghi che abito ricordo i volti delle persone, mi fermo spesso a raccogliere attimi nelle foto e custodisco segretamente mappe e diari di bordo.
Sono grata di avere i migliori compagni di viaggio, a cui posso dire segretamente che non mi basto più.
A quella bambina dolcissima devo il merito di avermi insegnato ad accorgermi di me.
Lei sa che ha avuto questo potere. Per questo motivo, ogni volta che parto per un nuovo viaggio, va zitta zitta ad infilare una bustina nella mia borsa. E’ il modo tutto suo per ricordarmi che non viaggio più da sola. E nella bustina mette i suoi piccoli preziosi regali.
Come oggi, in questo astuccio verde: una matita, un lucidalabbra, una collana.
Eccola qui! Lei è con me. Ancora una volta. Sempre in questo viaggio che è la mia vita.