#gliesercizidi Raccontami una Storia_movimento

Quel giorno la mia vita avrebbe potuto cambiare davvero

Ci siamo stabiliti a Firenze in pieno Agosto del 1970.

Al caldo eravamo abituati, ma questo ci accasciava, era diverso. Ma soprattutto, non potevamo uscire.

La prima casa ad accoglierci fu quella degli zii, eravamo due grandissime famiglie, quante risate, quanti scherzi.

Quello che mi lasciava perplessa erano le strade deserte; per arrivare alla Piazza di Brozzi, bastava attraversare la strada ma non si vedeva nessuno, per non parlare dei negozi, tutti chiusi per ferie.

Nel nostro cuore c’era a “Vucciria”; non era confusione, come tanti dicono. Il mercato è vivo, un vociare, bello da sentire, con tante bontà, “pannelle, pane con la mevusa, piccolissimi carciofi lessi, le olive di tantissime qualità, i stiggliola, i cartocci con i semi e la calia, la marturana”.

Qui il deserto.

Nessuno di noi sapeva andare in bicicletta. Questo compito fu affidato ai miei cugini, mi ricordo ancora adesso la felicità di quando sono riuscita ad andare senza le mani. Diventò la nostra passione, passando dalla Nave di Brozzi, si poteva raggiungere e stare sulla riva dell’Arno.

Un pomeriggio sentimmo la mamma ridere e gridare “ci so andare.. ci so andare…”. Tutti corremmo fuori, ci sembrava impossibile, lei era sempre impeccabile, non azzardava mai. Infatti, tanta era la sua contentezza che si girò per guardarci, e non si rese conto del muro che aveva davanti, rompendosi il piede.

Finì così la sua carriera ciclistica.

Con i giorni scoprimmo che lo zio aveva un grandissimo magazzino di cartone, di riviste e di fotoromanzi, questi ultimi legati con lo spago. Lo zio ci vietò l’accesso, perché pericoloso. La pilata di Grand Hotel, mi invogliava a disubbidire, ero innamorata di Franco Gasparri e di Claudia Ravelli, come si poteva resistere.

Non ci furono abbracci per convincerlo a cedere, da vero marinaio, fu irremovibile.

Siamo stati rigorosamente educati, a non giocare, ci era concesso solo per il periodo natalizio.

La mamma amava i sogni e ci diceva il loro significato attraverso i numeri, ma non li giocava mai, per questo, la mattina per scherzo, raccontando i nostri sogni, la mamma ascoltava attentamente e interveniva: iniziavamo sempre con: “mamma, ho sognato che mi cascava un dente”.  Vedevi lei che si metteva le mani nei capelli, “mamma, ho sognato che moriva”, lei urlava: “zitta, prima dimmi se chi hai sognato è vivo oppure morto”. Un’altra: “mamma, ho sognato un topo”, allora lei diceva: “basta, basta, adesso alzatevi, altrimenti fate tardi a scuola”.

Ridevamo vedendo le sue espressioni. Così, iniziava la corsa a chi arrivava prima in bagno.

L’inizio dell’anno scolastico, fu per tutti noi devastante.

La quarta elementare, si rivelava molto difficile, ero indietro su tutte le materie ed avevo più anni dei miei compagni.In classe tirava un’ area tremenda, venivo additata dai compagni come la meridionale, che se ne poteva, tornare a casa sua. Poi è successo che una compagna prima dell’uscita dal doposcuola, mi si è avvicinata dicendomi di stare attenta, che i “maschi” avrebbero tentato di darmele. Iniziai a ridere, domandando “mi vogliono picchiare e perché?”. Non sapeva dirmelo; uscii quindi preparata pensando che forse loro non sapevano che ero la terza di otto figli, quindi mi sapevo difendere.

Successe il finimondo e ruppi gli occhiali ad un mio compagno di classe, io e 5 dei “ maschi” ci siamo presi a schiaffi senza saperne il motivo.

Tornati a casa, pensammo che fosse finita con la predica dei  genitori, che un atto simile non si sarebbe più ripetuto e per fortuna mia, non ci chiesero di restituire i soldi degli occhiali.

La mattina dopo in classe tutti tranquilli, il “Maestro” uscì di classe e noi tutti zitti. Aveva già fatto l’appello, ma quando rientrò in classe, riprese il registro ed iniziò nuovamente; appena arrivava ai cognomi dei lottatori, ci diceva di andare alla cattedra. Quando fummo tutti li,  partì con una lezione di Geografia e di Storia. Poi iniziarono le domande e voleva una risposta immediata. Non si è mai alterato, quindi pensavamo ad una interrogazione; ci tenne sei ore in piedi, ma nessuno osò fiatare.

Alla fine ci disse che mai si sarebbe aspettato dai suoi “alunni”, un fatto così “grave”. Ci guardammo tutti con una faccia meravigliati.  Sapeva tutto, adesso sarebbero stati guai seri.

Il nostro Maestro era veramente triste, ma quel giorno la nostra vita sarebbe cambiata in modo negativo se non ci avesse fatto capire che avevamo sbagliato tutti in ugual misura. Dopo ci chiese se avessimo capito la gravità di quello che era successo. Al nostro sì ci disse che dovevamo stringerci la mano e  che questo non si sarebbe mai più ripetuto.

   

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Francesca Pisciotta
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Remo Prosperi

Bel racconto , un po’ da libro ”
cuore “

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