La mia vita in una compilation musicale (Eroi per un giorno)
Voglio raccontarvi di quella volta che andammo a Berlino per la prima volta. M e io avevamo poco più di 15 anni, ancora bambine in un mondo che premia chi ha fretta di crescere, ed era il nostro primo viaggio da sole. Dovevamo andare a stare da un’amica di suo padre, non ricordo bene chi, e avevamo addosso l’agitazione fin da settimane prima della partenza.
Ora, non ricordo se io l’abbia sempre fatto, ma ancora oggi scelgo sempre una canzone che mi accompagna durante i viaggi, una sorta di colonna sonora della vacanza. Quella volta che andammo a Berlino per la prima volta, per pura combinazione, ne scegliemmo una che fu scritta proprio lì, 37 anni prima, ai tempi in cui il muro ancora spaccava a metà la città, ai tempi di Brian Eno, di Iggy Pop e dell’eroina. Scegliemmo Heroes di David Bowie, e fu questa canzone ad aleggiare su di noi mentre visitavamo il Pergamon, facevamo un picnic davanti al palazzo del Reichstag e ci perdevamo nel tetro monumento alle vittime dell’olocausto. Fu con quella canzone che M decise di innervosirmi cantando apposta il ritornello in anticipo (possiamo essere eroi… solo per un giorno), e fu ascoltando quella canzone che ci facemmo quasi investire in strada, perché i tedeschi ti mettono sotto se attraversi le strisce con il rosso. Non sapevamo nulla della storia dietro al pezzo, eppure c’era qualcosa nell’intro che ci commoveva, ci eccitava e ci disperava allo stesso tempo.
Probabilmente ora vi aspetterete qualche colpo di scena. Forse vi aspettate che vi racconti di come sventammo una rapina facendo uno sgambetto al ladro, o che salvammo un bambino caduto nello Spree, due ragazzine diventate eroine in una città sconosciuta. Non accadde nulla di tutto questo. Furono semplicemente giorni felici, e ricordo ancora quella vacanza come un momento cruciale, un puntino piccolo ma ben evidenziato sulla carta della mia vita. Dentro di me qualcosa si ruppe mentre prendemmo il nostro primo volo da sole, ma qualcos’altro vi nacque mentre sgambettavo accanto alla mia amica tra le strade del centro, mentre lei faceva commenti sui passanti che per nostra sfortuna si rivelarono essere un gruppo di turisti italiani piuttosto irritati. In quei pochi giorni crescemmo, e crebbe il nostro legame che dura tutt’ora.
Ci fu però un giorno particolare che ricordo più vivido degli altri. Ci eravamo alzate presto, e dopo una sostanziosa colazione con la signora che ci ospitava (ora ricordo, si chiamava R), ci vestimmo in fretta per poi trovarci nel bel mezzo della giornata più uggiosa che avessi mai visto. Saremmo dovute tornare a casa il giorno dopo, e la cosa ci bruciava. Imbronciate, prendemmo la S-Bahn per il centro, e, guardando i palazzi grigi che sfrecciavano contro il cielo livido, ci accorgemmo di avere perso la fermata, e di tanto anche. Per come ero fatta io, quella giornata poteva già essere catalogata come catastrofica. Ero nel panico. Perdersi in una delle più grandi città dell’Europa era veramente troppo da sopportare. Allarmata, guardai M, che se ne stava placida a mangiarsi il suo Brezel comprato in stazione, ad osservare curiosa gli altri passeggeri. Vederla così serena mi rassicurò, e decidemmo di passare il resto della mattinata a farci trasportare dal treno, senza meta, a guardare fuori dal finestrino e a chiacchierare. Per me quel momento segnò la fine delle mie ansie infantili, e l’inizio di una spontaneità che solo M avrebbe potuto insegnarmi.
E, con lei accanto, fui davvero eroe per un giorno.