La mia vita in una compilation musicale (Sanremo ‘92)
Sanremo, 1992.
Avevo compiuto qualche mese prima 10 anni, e il Festival era un appuntamento fisso della mia famiglia.
Avevo il permesso di rimanere alzata più del solito, sempre a patto che il mio rendimento a scuola rimanesse costante.
Certo, c’è anche da dire che all’epoca non finiva a notte inoltrata.
Pochi giorni dopo il mio compleanno era morto il mio grande amore musicale, Freddie Mercury, di cui avevo gelosamente tutte le cassette, che ascoltavo voracemente per cercare di capire le parole (angolotesti.it sarebbe arrivato molto tempo dopo).
Il papà mi stava raccontando di come qualche anno prima avessero fatto cantare i Queen in playback proprio a Sanremo, e mentre cercavo di elaborare quelle informazioni appena ricevute, in tv apparve quel ragazzo, in giacca e cravatta dai colori improbabili, con un caschetto di capelli mossi, che non conoscevo affatto.
Della sua canzone non mi colpì la musica, tutto sommato abbastanza piatta, né la vocalità, abbastanza nella media, ma le parole della canzone quelle sì. Furono uno schiaffo in pieno viso.
Mi sembrava che quel ragazzo sconosciuto (almeno a me) avesse preso il mio diario e lo stesse sbattendo in faccia a tutti gli italiani.
“Oggi hai quindici anni
E piangi sola chiusa in bagno
Per la festa del tuo compleanno
Tutti i tuoi amici
Guardano in salotto
Le altre fatte come attrici
Tu come un fagotto nello specchio
Non la smetti
Piangi e vedi solo i tuoi difetti”
Ero dannatamente io!
Io mi vedevo come un fagotto, mentre le mie amiche erano splendide. D’altronde, io ero cicciottella, con i capelli che non stavano a posto neanche pagando, e la timidezza non mi faceva apparire granché interessante.
Inutile dire che quella canzone l’ho ascoltata migliaia di volte, con quella cassettina che poi mi sono fatta regalare.
Nei decenni a venire, poi, l’ho sempre portata con me, nei cd, e ora nella schedina che ho in macchina con più di mille canzoni.
Dentro di me, in fondo in fondo, quella ragazzina che si sente un fagotto rispetto alle altre esiste ancora, si nutre delle mie fragilità, e davanti allo specchio mi risuona:
“Brutta
Ti guardi e ti vedi brutta
Ti senti sola e sconfitta
E non vuoi mangiare più”
Per fortuna, con gli anni, la maturità, e la mia famiglia accanto (in cui includo anche gli amici, la vera famiglia che ci scegliamo), ho imparato che i miei occhi e il mio specchio non sono la misura di tutte le cose, ma che la bellezza, quella vera, quella importante, sta negli occhi e nel cuore di chi guarda (e ascolta).
“Brutta
Lo vedi che non sei brutta
Crescere è sempre una lotta
Ma conta su di me (Brutta)