Anna Maria Luisa de’Medici, l’utima mecenate di Firenze
Firenze è rinomata in tutto il mondo come città d’arte, al punto da essere associata indissolubilmente ai fasti del Rinascimento ed esserne definita la sua Culla. La città di Dante Alighieri rievoca alla mente di chiunque la complessa e leggiadra bellezza dei dipinti senza tempo del Botticelli, la forza incontenibile dei capolavori michelangioleschi o anche la moderna emotività che traspare dalle opere di Donatello oppure di Masaccio.
Sarebbe concepibile una Firenze priva di gran parte delle sue opere d’arte, senza quel milioni di turisti che generalmente affollano l’ingresso al museo degli Uffizi oppure a Palazzo Pitti? Certamente no, la nostra città sembrerebbe priva della sua stessa essenza.
Eppure vi è stato un momento storico in cui l’inestimabile patrimonio artistico fiorentino è risultato in pericolo tanto da temere che la fisionomia della città sarebbe così cambiata da non poter sembrare più la stessa. La sopravvivenza dei suoi capolavori d’arte è dovuta infatti solo alla determinazione dell’ultima esponente del ramo granducale della dinastia medicea.
Il suo nome era Anna Maria Luisa de’ Medici, nata nel 1667, figlia di Cosimo III, Granduca di Toscana, e di Marie Louise d’Orleans, granduchessa imparentata con il Re Sole. Il matrimonio dei genitori era stato uno dei peggio assortiti in tutta la storia della dinastia, infelice al punto che la madre ritornò addirittura in Francia, dopo aver ottenuto la separazione e dopo aver acconsentito a ritirarsi presso il monastero di Saint Pierre in Montmartre. Dei tre eredi dati al consorte – due maschi ed una femmina – Ferdinando, il maggiore, morì di sifilide prima di ereditare la corona e Gian Gastone, ultimo Granduca, morì comunque privo di prole, scatenando le mire delle potenze straniere per assumere il controllo del territorio toscano.
Invece Anna Maria Luisa nasce bella e di animo forte. Sarà la nonna Vittoria della Rovere a crescere la nipotina, che «più avanza con l’età, più imbellisce». Maria Luisa – prediletta del padre – è intelligente e vivace, cavalca come un uomo, va a caccia e spara. Ma ama anche la musica, conosce il latino; assorbe il bello in cui vive.
Le trattative per maritarla risultarono lunghissime: prima si parlò del re del Portogallo, poi del Delfino di Luigi XIV. Ma i forzieri di famiglia erano vuoti e la dote scarsesaggiava. Il valzer delle alleanze si volse allora verso l’Austria. Fu l’imperatore in persona a fare il nome di Giovanni Guglielmo di Sassonia, Elettore palatino del Reno, fratello dell’imperatrice. Giovanni non era bello, ma era un uomo di cultura e soprattutto, emanava una sorridente serenità capace di regalare a Maria Luisa la pace mai conosciuta. Con lui, a Dűsseldorf, ella ebbe modo di vivere una vita che si dimostrò felice e all’insegna del mecenatismo, prerogativa che contraddistingueva entrambi i coniugi.
Nel 1716, rimasta vedova e priva di eredi, l’Elettrice fece ritorno nella sua amata Firenze dove era destinata a restare gli ultimi 27 anni della sua vita, affiancando il genitore prima, il fratello poi nell’amministrazione del Granducato. Cosimo III, temendo che il suo casato fosse destinato fatalmente ad estinguersi, aveva fatto ogni possibile sforzo affinché la figlia prediletta potesse accedere al trono, qualora fossero deceduti gli altri membri maschili della dinastia. Tutti i suoi tentativi si erano però infranti contro l’ostracismo delle potenze europee e contro l’ostilità dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo, che aveva competenza assoluta in materia di successione al Granducato di Toscana.
E infatti, tutto risultò inutile. Alla sua morte, avvenuta nel 1723, dopo 53 anni di regno (il più lungo della storia della Toscana), Cosimo si lasciava alle spalle un paese economicamente in declino, dissanguato dalle imposte e anche da quanto egli stesso aveva imposto; una rigida morale cattolica. Gian Gastone, suo figlio e successore, benché non avesse la stoffa di raffinato politico, provò invano a rimediare al malgoverno paterno diminuendo le tasse e tentando di raggiungere una politica estera indipendente. Economicamente fragile, militarmente vulnerabile, nonché retto da una dinastia morente, il Granducato era purtroppo una preda troppo appetibile nell’instabile scacchiere internazionale per riuscire a mantenere una seppur temporanea autonomia.
A peggiorare le cose vi erano i rapporti sempre più tesi tra i due fratelli, soprattutto dopo la scomparsa del padre. Un ennesimo scontro, che sfociò nell’esclusione quasi definitiva di Anna Maria Luisa dalla partecipazione alla cosa pubblica, si concluse con la volontaria reclusione dell’Elettrice nel buen retiro di Villa La Quiete, fuori Firenze, da cui Anna Maria Luisa riemerse solo per assistere il fratello nel momento del trapasso, il 9 luglio 1737.
Quindi, dopo lunghe e delicate trattative tra Spagna ed Austria, il titolo di Granduca passò finalmente al duca di Lorena il quale offrì ad Anna Maria Luisa la reggenza, titolo che ella rifiutò con assoluta determinazione e caparbietà. Comunque, contestualmente all’ingiusta perdita del ruolo di Granduchessa di Toscana – che pure le sarebbe spettato di diritto – l’Elettrice era entrata in possesso di molti beni mobili ed immobili: ma soprattutto, con la morte del fratello, l’ultima de’ Medici aveva acquisito legalmente le ricchissime collezioni d’arte della dinastia di cui era discendente.
Per avere un’idea dell’entità e della portata del patrimonio in questione, basti ricordare che il collezionismo familiare risaliva agli inizi del Quattrocento, a cominciare dal capostipite, Cosimo il Vecchio: quindi, attraverso Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico, esso aveva interessato quasi tutti i discendenti fino a Ferdinando II, ritenuto a buon motivo il più grande mecenate e munifico benefattore di grandi personaggi quali Galileo Galilei o Evangelista Torricelli. Addirittura osiamo dire che, con il suo avvento al trono, egli abbia delineato l’epoca aurea del collezionismo mediceo (1621-1737).
Tra i numerosi i beni, appartenevano alla famiglia Medici niente meno che la Galleria degli Uffizi, Palazzo Pitti, le Cappelle Medicee, la Biblioteca medicea Laurenziana e pure il Museo Galileo.
Fu a questo punto che l’Elettrice trovò la forza di inventare l’Atto destinato a lasciarla nella storia: i Lorena sarebbero stati solo dei conservatori, ovvero non avrebbero potuto svuotare la città dei suoi tesori, dei quadri e delle statue, dei cammei, dei libri, delle antichità etrusche ed egiziane, delle porcellane o degli arazzi.
Dopo 300 anni di potere, i Medici erano destinati ad estinguersi: fu quindi questo il regalo che ella intese fare alla sua città prima che il libro di famiglia si chiudesse per sempre.
«Datemi un popolano qualunque – aveva detto Cosimo il Vecchio – ed io con pochi metri di drappo rosso, ne faccio un gentiluomo». Stirpe di commercianti fatti banchieri e convertiti in principi, mecenati per proprio diletto più che per pubblica utilità, questi mercanti ammantati in panno rosso erano riusciti nel loro intento: cambiare il corso della Storia, accendendo commerci e intrighi, stimolando prosperità e feroci dissensi. Avevano finanziato il Rinascimento, innalzato un Regno e lanciato la Toscana nel grande firmamento degli stati europei. Ma l’antico ingegno dei più lungimiranti si era disciolto passando di mano in mano fino a giungere all’ultima generazione.
Pertanto, da grandissima amante dell’arte quale Maria Luisa era stata per tutta la vita, ella dedicò i suoi ultimi anni all’immensa collezione di opere e beni mobili che la famiglia aveva accumulato. Il suo più grande terrore era quello che, alla sua morte, Firenze soffrisse lo stesso destino di cui erano stati vittime altri territori italiani precedentemente annessi al Sacro Romano Impero: lo spoglio di tutti i suoi tesori all’estinguersi della dinastia governante.
Ecco perché la conservazione dell’immenso patrimonio familiare fu il suo maggiore obiettivo: perciò volle approfittare della sua posizione di aristocratica per stipulare un accordo con i suoi successori, i Lorena, un accordo noto come Il Patto di Famiglia, con il quale si stabiliva che:
«La Serenissima Elettrice cede, dà e trasferisce al presente a S.A.R. per Lui, e i Suoi Successori Gran Duchi, tutto il patrimonio ivi compresi Mobili, Effetti e Rarità della successione del Serenissimo Gran Duca suo fratello, come Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioie ed altre cose preziose, siccome le Sante Reliquie e Reliquiari, e loro Ornamenti della Cappella del Palazzo Reale, che S.A.R. si impegna di conservare, a condizione espressa che di quello [che] è per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri, non ne sarà nulla trasportato, o levato fuori della Capitale, e dello Stato del Gran Ducato».
I Lorena non solo rispettarono il patto e conservarono le collezioni artistiche dei Medici, ma le aprirono anche al pubblico. Nacque così la Galleria degli Uffizi, il museo più antico di Firenze e uno dei più ricchi. L’importanza del Patto di Famiglia si dimostrò nuovamente cruciale durante l’invasione di Napoleone: Tommaso Puccini, direttore delle Gallerie Fiorentine durante l’invasione francese, nascose la maggior parte di opere d’arte e si rifiutò di consegnarle alle truppe napoleoniche affermando che appartenevano alla cittadinanza e che i Lorena si erano impegnati a conservarle a loro nome.
È grazie alla determinazione e alla caparbietà di Anna Maria Luisa de’ Medici che oggi Firenze conserva i suoi tesori artistici ed è considerata la città dell’arte per eccellenza. Il suo nome è poco noto, la sua figura è eclissata da altri nomi come quello di Lorenzo il Magnifico. Eppure ciò che quest’ultimo iniziò non sarebbe mai giunto fino ai nostri giorni se non fosse stato per lei.
Ecco perché la granduchessa merita di essere considerata come l’ultima grande mecenate di Firenze.
Stroncata da un tumore, l’Elettrice chiuse gli occhi nel febbraio del 1743. Era Carnevale, e i fiorentini l’accompagnarono all’ultimo riposo brontolando, perché il corteo funebre aveva cancellato il corso mascherato. Così, è Firenze.
Bel racconto. Mi hai svelato una curiosità che non conoscevo relativo al Patto di famiglia
Ma cosa sarebbe Firenze se non ci fossero stati i Medici?
Veramente incantevole. Grazie tante per averci raccontato un pezzo di storia fondamentale per la bella Firenze e l’umanità!
Bellissimo racconto come sempre, la storia è l’unica favola vera!
Bel racconto!! Fa sempre piacere conoscere una parte della storia di Firenze!
Ottima ricostruzione di una vita interessante de l’ultima de Medici