La mia vita in una compilation musicale (Compagno di scuola)
Era il venti di aprile, l’aria sapeva di primavera ed io entrai nel portone della banca indossando il mio abito migliore, un completo grigio cravatta in tinta unita che si poteva ritenere la divisa di ordinanza nel luogo in cui mi stavo recando.
Il commesso alla porta mi chiese chi fossi e io declinai le mie generalità di cui lui prese scrupolosamente nota.
“Sono venuto a firmare la lettera di assunzione” aggiunsi.
“Allora stiamo per diventare colleghi” mi disse ed io sorrisi.
“Così pare” aggiunsi poi. Mi sentivo un po’ nervoso ma era normale fosse così in un’occasione come quella.
“Qui tutti ci diamo del tu” mi disse poi presentandosi. Io gli strinsi la mano senza aver capito il suo nome. In quel momento avevo altro per la testa, compresa la canzone di Venditti che era sul retro del 45 giri di Lilly che avevo comprato nel 1975 e la cui melodia mi tormentava dalla mattina, ma senza che ricordassi le parole
“Devi salire al secondo piano. Io avverto la segretaria del direttore perchè ti venga incontro.”
Ringraziai e mi avviai all’ascensore.
Ancora la canzone mi accompagnò finché non arrivai a destinazione trovando ad attendermi una donna di circa quarant’anni con folti capelli ricci e degli occhi grandi, chiarissimi e lucenti che era impossibile ignorare.
“Venga dottore” mi disse semplicemente e mantenendo un atteggiamento formale e distaccato.
“Ma non ci si dava tutti del tu in questo posto?” Mi venne spontaneo di pensare ma in fondo poco mi importava.
La segretaria mi fece accomodare in un salottino spoglio con delle poltrone di pelle vistosamente fuori moda e che scricchiolarono sotto il mio peso.
Mi guardai intorno e intanto presi a fischiettare lasciando che il motivo uscisse dalla mia testa per materializzarsi sulle mie labbra, ma sempre rigorosamente senza parole.
Dopo pochi istanti fui accompagnato al cospetto del Direttore, un uomo abbastanza anziano, almeno raffrontato alla mia età di allora, con grossi occhiali quadrati su un volto allungato che aveva qualcosa di equino.
“Bene arrivato tra noi.” Mi disse porgendomi la mano, la stessa che poi usò per invitarmi a sedere.
La stanza era arredata con mobili antichi e il colore prevalente ero un marrone scurissimo, quasi nero. Tutto in quel luogo riportava ai tempi andati e io ebbi l’impressione di aver aver compiuto un salto indietro nel tempo, precipitando nella Firenze dei primi del novecento.
“Lei prenderà servizio dal due maggio, anche se l’assunzione decorrerà dal primo.”
Io mi limitai ad annuire.
“Sa, così la banca le paga un giorno di stipendio in più ma poi sarà più facile farle i conti per la pensione.”
Non avendo ancora iniziato a lavorare la cosa mi faceva ridere ma mi imposi di non farlo perché sarebbe stato veramente un pessimo inizio.
Dopo poche altre chiacchiere il Direttore mi accompagnò alla porta.
“Allora ci vediamo il primo maggio. Anzi il due, ovviamente.”
Io feci ancora segno di sì sorridendo, poi uscii nel corridoio dove non c’era nessuno. Presi quindi l’ascensore e arrivai a piano terra. Il commesso era sempre seduto al suo posto e lo salutai con un gesto della mano che lui ricambiò. Un attimo dopo ero di nuovo in strada a respirare l’aria frizzante di quella bella primavera.
“Compagno di scuola compagno di niente” canticchiai adesso quasi a piena voce.
“Ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?” Eccole finalmente le parole che non riuscivo a ricordare e fu proprio quello il momento in cui compresi di non essere riuscito a salvarmi.