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La mia vita in una compilation musicale (Una vita ai tempi del sonoro)

Ragazzetto del liceo, frequentavo, per dare spazio alle mie molte passioni, in primis la musica e l’elettronica, un “negozio” in cui si vendevano e si riparavano strumenti e amplificatori musicali. C’erano anche i dischi, 45 e 33 giri, vi ricordate che si potevano ascoltare anche in cuffia prima di comprarli?
La nostra musica “giovane”: i graffianti Rolling e i “nemici” Beatles, li ascoltavamo in ammirato religioso silenzio – nessuno sapeva l’inglese e Google translate era ancora nella mente di Giove – così che ci smarrivamo tra i “campi di fragole per sempre”, e le Penny Lane di una lontanissima Liverpool.
Il piccolo aiuto from my friends, “amica” che tutti bisbigliavano essere tale madonna LSD, di cui si sentivano meraviglie, doveva essere vero: poteva una mente “solo” lucida generare quei capolavori musicali?
Un “certo” Joe Cocker ne aveva fatto una straziante versione blues: due anni dopo, universitari, era allo stadio di Bologna, sul palco, ricurvo come un gancio e completamente ciucco a cantarla live.
I Beatles non erano solo un “complesso” ma un modo di pensare. Una ragione di vita.
Quei suoni che ci crescevano intorno erano un brillante pot pourri di mille sapori, profumi, immagini e… sogni.
In quello stesso luogo mi capitò di sentire dei commenti su un certo Fabrizio. Addirittura un cantautore italiano! Al massimo noi ascoltavamo l’Equipe ’84, e altre band nascenti.
Ascoltai il disco… li ascoltavo tutti, da interno, ero privilegiato e potevo… Ecco, la frase incriminata raccontava di Re Carlo che torna dalla guerra e “ruba” i favori di “grandi puttane” “fan cinquemila lire, è un prezzo di favor”.
Scandalo! Ha detto “puttane” in una canzone, e giù lunghe discussioni sull’uso libero delle parolacce.
Così mi ebbe de André, e la prima volta non si scorda mai.
Negli anni a venire furono le sue ballate a rapirci, mille volte replicate con incerta chitarra, tra amici e fidanzate, nei falò di San Lorenzo. Furono i suoi amori perduti, la sua Marinella o l’allegramente peccaminosa Bocca di Rosa, l’ingiusta guerra di Piero che “nella bocca stringeva parole” gelate, i giudici, i matti, e le altre storie di Spoon River, quella Maggie, antesignana di mille altre donne uccise dalle carezze di un animale, e il bel generale “occhi turchini e giacca uguale” a massacrare ieri i Nativi a Sand Creek e oggi qualche altra popolazione inerme.
Poi fu la “buona novella” di una Vergine Maria, condotta per mano in volo sulla città a “contare le costole” del suo futuro, e via via fino alla meravigliosa Dolcenera, passione clandestina di letto, durante una delle solite alluvioni genovesi.
E le storie di un incomprensibile supramonte o di furbi mercanti arabi, e altri furbi contrabbandieri macedoni.
Musica e periodo magici, irripetibili, di qua e di là dell’oceano.
Tremilacinquecento battute, “spazi compresi” servirebbero solo per enunciare i nomi, come un elenco di camicie e calzini, dei principali.
E Bob Dylan lo buttiamo a mare? E l’Hotel California? E i colpi alla porta del Paradiso? E tutti gli altri mattoni del muro Pink? I Velvet sotterranei? Buttiamo Gianna conterranea che non perdeva un minuto, mentre qua e là faceva capolino la brughiera notturna di Mogol e Battisti? E “le scuole” genovesi e bolognesi? Cercavamo tutti un centro di gravità… magari temporaneo.
Non la colonna sonora di una vita, ma una vita colonna sonora: suoni e versi col mio cuore e col mio respiro.

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Fulvio Perri
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