We are the world
Il 7 marzo 1985 usciva We Are The World, un brano scritto a quattro mani da Michael Jackson e Lionel Richie, con la produzione di Quincy Jones, che aveva il nobile obiettivo di raccogliere fondi per l’Etiopia, affamata da una carestia devastante.
In 45 risposero all’appello; superstar come Bruce Springsteen, Tina Turner, Stevie Wonder, Bob Dylan, Ray Charles, Cyndi Lauper, Diana Ross non si tirarono indietro e presero parte a Usa for Africa (dove Usa stava per “United Support Artists“).
Un incasso da 100 milioni di dollari con oltre 20 milioni di copie (che ne fece all’epoca il brano più venduto nella storia), riconosciuto anche a livello musicale con 4 Grammy Award conquistati, tra cui quello per la Canzone dell’Anno.
Un brano che è rimasto nella storia della musica, indimenticabile anche per le immagini ormai un po’ sgranate ma piene di nostalgia filmate nello studio di registrazione, con i cantanti che, spartiti alla mano e cuffie alle orecchie, si davano il cambio davanti a un microfono: un video che ancora oggi, su YouTube raggiunge serenamente quasi 500 milioni di visualizzazioni!
La grande iniziativa di We are the world prese il via dopo che qualche mese prima, in Gran Bretagna, Bob Geldof aveva messo in piedi il progetto Band Aid, per realizzare un brano a scopo benefico contro la fame in Africa, dove la carestia aveva ucciso quasi un milione di persone tra il 1983 e il 1984.
Il pezzo, intitolato Do They Know It’s Christmas?, raccolse diversi milioni di sterline in breve tempo.
Fu Harry Belafonte a spingere anche gli artisti afroamericani a fare qualcosa per aiutare. La reazione a catena portò in poche settimane alla realizzazione di We are the world: il brano venne registrato in una sola notte a Los Angeles, il 28 gennaio, nel segreto più assoluto per evitare che folle di fan si accalcassero fuori dagli studi. Partecipò, come ispiratore dell’iniziativa, anche lo stesso Bob Geldof che insieme a Dan Aykroyd (di nazionalità canadese) era l’unico non statunitense presente nel gruppo.
Quel che accadde quella notte fu indubbiamente qualcosa di irripetibile: la base strumentale del brano – spesso criticato perché aveva assonanze con un jingle della Pepsi Cola – era stata scritta in soli tre giorni dal duo Richie&Jackson che fecero anche da voce guida per gli altri artisti invitati.
All’appello arrivarono in 46, molti dei quali provenienti direttamente dagli American Music Awards, tutti convocati in gran segreto agli Hollywood’s A&M Studios di Hollywood dove li accolse un cartello scritto apposta da Quincy Jones: “Lascia il tuo ego fuori dalla porta”. 21 i solisti coinvolti (gli altri si alternavano da coristi), tra cui artisti come Stevie Wonder, Diana Ross, Ray Charles, Tina Turner, Cyndi Lauper, Billy Joel, Bob Dylan, Bruce Springsteen e Dionne Warwick, oltre ai due promotori.
La registrazione finì alle 8 del mattino e per molti è rimasta una notte difficile da dimenticare, tra aggiustamenti dei pezzi (Quincy Jones aveva meticolosamente affidato a ciascuno la sua parte), ritornelli da accordare, scherzi goliardici e crisi di nervi. Tutto questo si ritrova nel documentario di Netflix, sia pure con gli aggiustamenti tipici di un committente che insegue la ricorrenza e la celebrazione ad ogni costo.
Di quella canzone, facilmente orecchiabile, certamente intrisa di retorica nei testi e destinata comunque a un facile successo trasversale (800.000 copie del singolo vendute in un batter d’occhio dalla Columbia, numerose ripetizioni in concerto e perfino un medley eseguito dal vivo ai funerali di Michael Jackson), si può dire tantissimo e non sempre in positivo. Ma è innegabile la spinta emotiva e civile che generò in primo luogo tra i protagonisti, convinti di fare qualcosa di importante e utile, tanto che l’intero ammontare delle vendite arrivò davvero a chi moriva di fame all’altro capo del mondo.
Per una notte non ci fu differenza tra bianchi e neri, superstar e semplici musicisti, artisti e tecnici, tutti coinvolti nella stessa utopia. Parola difficile da sentir risuonare oggi, quando perfino le ricorrenti reunion per nobili causa svelano poi, talvolta, meno nobili interessi. Delle riprese originali del 28 gennaio 1985 restavano un video promozionale girato subito (con Quincy Jones a fare da direttore d’orchestra e cori) e un making off dello stesso anno. Ma al risultato di oggi contribuiscono invece video amatoriali, frammenti sonorizzati apposta, ricordi e testimonianze di chi c’era davvero.
Il 13 luglio del 1985 i due progetti incrociarono le loro strade: il brano, interpretato per la prima volta dal vivo, fu usato come chiusura del “Live Aid” organizzato da Bob Geldof tra Londra e Philadelfia. Alla canzone fece seguito un album omonimo, che a sua volta vendette circa 3 milioni di copie.
L’album includeva, tra gli altri, Tears Are Not Enough, frutto di un altro progetto di beneficenza di un altro supergruppo canadese, i Northern Lights. All’album partecipò anche Prince – che invece prima aveva declinato l’invito per il 45 giri – con il brano 4 the Tears in Your Eyes.
We are the world, negli anni, è stata interpretata più e più volte. Ma per me una delle più emozionanti è rimasta sicuramente quella del lontano 7 luglio 2009, quando venne eseguita durante il funerale pubblico per Michael Jackson (morto il 25 giugno precedente), che si celebrò allo Staples Center di Los Angeles.
Il brano fu intonato da tutti gli artisti presenti, dando vita ad un coro davvero d’eccezione, in cui tra gli altri ricordiamo Lionel Richie, Mariah Carey, Usher, Brooke Shields, Kobe Bryant e Magic Johnson.
Ricorrenza a parte c’è da augurarsi che faccia tornare la voglia di usare la musica e il cinema per cause che hanno più importanza e significato della semplice esibizione di talento. Oggi ce n’è ancora più bisogno.
NOI SIAMO IL MONDO …. SALVARLO E’ UN NOSTRO DOVERE !
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