Accade oggi,Per le antiche strade...

Calendimaggio

«Ben venga maggio e ‘l gonfalon selvaggio! Ben venga primavera, che vuol l’uom s’innamori: e voi, donzelle, a schiera con li vostri amadori, che di rose e di fiori, vi fate belle il maggio, venite alla frescura delli verdi arbuscelli

Agnolo Poliziano e Lorenzo il Magnifico.

Il Calendimaggio (da calende di maggio) o Cantar maggio, è una tradizionale festa popolare, ormai andata perduta, che si svolgeva ai primi di maggio, per festeggiare l’arrivo della piena primavera.

A Firenze, la città dei fiori per eccellenza, si celebrava il Calendimaggio (dal latino antico calendae maii),  il 1° maggio con il rito della fioritura.

La festa ha origini pagane, nata e dedicata all’ esplosione della primavera: una celebrazione che risale a popoli dell’antichità molto integrati con i ritmi della natura, quali celti (festeggiavano  Beltane), etruschi e liguri, presso i quali l’arrivo della bella stagione rivestiva una grande importanza.

Molti ricordi, quelli più documentati, iniziano dal medioevo. Nel XIV secolo, Giovanni Boccaccio apriva la sua opera Vita di Dante con questa bellissima introduzione: «Nel tempo del quale la dolcezza del cielo riveste de’ suoi ornamenti la terra, e tutta per la varietà de’ fiori mescolati fra le verdi fronde la fa ridente, era usanza della nostra Fiorenza e degli uomini e delle donne, nelle loro contrade ciascuno in distinte compagnie festeggiare…».

Charles Daniel Ward (1872-1935), The Progress of Spring

Ed in onore del risveglio primaverile della Natura, i fiorentini portavano in processione i maggi o majo, cioè i rami fioriti degli alberi, che poi i giovani appendevano alle porte delle case delle loro innamorate come simbolo delle loro lusinghe. Qualora la ragazza avesse apprezzato il corteggiamento nonché il corteggiato, avrebbe conservato il ramo all’interno della sua casa e dunque il maggio avrebbe dato il frutto sperato dall’amato.

Boccaccio scriveva che proprio il 1° maggio del 1274 il sommo poeta conobbe la sua amata Beatrice.

Insomma, Maggio era un turbinio di lieti eventi: a partire dai primi del mese in città  si svolgevano le cosiddette maggiolate, cioè festose celebrazioni fatte di canti, suoni e balli.

Le fanciulle, con le teste ricoperte di ghirlande composte di rose, giaggioli e ginestre, sfilavano per la città: accompagnate dai musicanti, improvvisavano danze tradizionali, “a rigoletto” ( ovvero compiendo dei girotondi) e cantavano le ballate composte con i versi dei poeti.

La ghirlanda del Maggio

In quei giorni anche le attività commerciali venivano sospese e la città diventava, per un mese intero, sede di festosi ritrovi popolari. Il cuore dei festeggiamenti  era a Piazza della Signoria, sebbene comunque tutta Firenze venisse coinvolta.

L’Arte dei Calzolai onorava solennemente San Filippo, suo protettore: quindi, di fronte alla statua del Santo (posta all’esterno di Orsanmichele), allestiva in suo onore un altare completamente addobbato con fiori, alloro e lumi e stendeva per terra un tappeto fatto di foglie e fiori primaverili ( la cosiddetta Fiorita).

In Santissima Annunziata, invece, si svolgeva per tre giorni un ricco mercato contadino.

Ma anche le campagne vicine erano coinvolte e inneggianti alla festa. Le rive dell’Arno, del Mugnone e dell’Affrico si riempivano di gruppi danzanti e  di giovani che  vi si recavano per raccogliere le pratoline, le margherite con cui fare le ghirlande e incoronare la bella del momento.

Infatti, fra danze e canti popolari veniva eletta anche la Regina del Maggio, ovvero colei che  era ritenuta la piu bella tra le donne: incoronata come una vera sovrana con una corona di fiori, ella aveva il compito di rivolgersi alle fanciulle fidanzate cantando versi augurali e consegnando loro piccoli doni.

Come nel Medioevo anche nel Rinascimento, durante tutto il periodo di Maggio, sia gli uomini che le donne si abbigliavano a festa. Gli uomini più maturi e più rappresentativi portavano una sopravveste di panno rosso o nero, lungo tutta la persona, abbottonata davanti, senza cintura e a manica larga. Il cappello a cappuccio ampio di lana o di broccato era a guisa di corto turbante. I più giovani indossavano un corpetto corto fino alle anche, di stoffa pesante o leggera, con maniche intercambiabili di tessuto semplice o broccato, cintura alla vita con appese chiavi, un coltello e qualche piccolo oggetto utile al lavoro (le tasche non erano ancora in uso) e calzamaglia in vari colori. Il cappello era di lana o di feltro, a tesa stretta.

Le donne, mostravano un’eleganza più accurata. Gli abiti femminili erano foggiati da vesti attillate, lunghe fino ai piedi, chiuse da stringhe sul davanti che lasciavano intravvedere la candida camicia sottostante. Lo scollo era ampio e mostrava generosamente il solco verticale che separava il petto, naturalmente molto apprezzato dagli uomini. Ecco perché  le donne fiorentine solevano dire «se l’occhio non vede, cuore non sente»!

La sopravveste, lunga anch’essa fino ai piedi, era intessuta di stoffe pesanti o leggere, ma comunque raffinata con ornamenti impreziositi da decorazioni in filo d’oro o d’argento che distinguevano le madonne nobili dalle popolane. Le maniche in lana o seta erano ampie e staccabili, con ricchi o semplici ricami per consentire di indossare l’abito con più frequenza e in tutte le stagioni. Le donne comunemente non portavano cappelli e mostravano i loro capelli fluenti che scendevano morbidi sulle spalle, impreziositi da fermagli o raccolti da retine di filo d’oro.

Nel corso della storia, il Calendimaggio, è dunque sempre stato sinonimo di festa e di avvenimenti. Si ricorda l’incontro di Dante con  la sua Beatrice nel Calendimaggio del 1274, ma non dobbiamo dimenticare quello nefasto del 1300, quando i giovani dei Cerchi e dei Donati vennero a contesa, dando inizio ai tragici scontri fra Bianchi e Neri che tanto sangue fecero scorrere per lungo tempo nella città.

Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, Sandro Botticelli, Primavera – 1482

Nel periodo Rinascimentale, anche i Medici con il Magnifico Lorenzo e la sua corte partecipavano alle feste scrivendo laudi e poesie. Dopodiché nei secoli successivi, il Calendimaggio perse una buona parte dei connotati tradizionali che lo avevano contraddistinto. Alcuni riti popolari tipici della festa si mantennero ma altri furono demandati alle cosiddette Potenze, organizzazioni di feste rionali ideate dalle corti granducali e quindi spostati nei mesi estivi.

A partire dalla fine dell’Ottocento, con l’istituzione mondiale del 1° Maggio Festa del Lavoro, il Calendimaggio è stato quasi definitivamente accantonato ma non dimenticato. Infatti ancora oggi in piccole realtà locali come Firenzuola e Barberino del Mugello, esso viene celebrato con rappresentazioni che ricalcano le antiche tradizioni: canti balli e sfilate in costume d’epoca, pervase da un’ atmosfera intrisa di allegria e serenità.

Il Calendimaggio è una tradizione viva ancor oggi pure in altre regioni d’Italia come allegoria del ritorno alla vita e della rinascita: fra queste il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, l’Emilia-Romagna, l’Umbria, le Marche, l’Abruzzo ed il Molise.

La funzione magico-propiziatoria di questo rito è spesso svolta durante una  questua  durante la quale, in cambio di doni (tradizionalmente uova, vino, cibo o dolci), i maggianti (o maggerini) cantano strofe benauguranti agli abitanti delle case che visitano. Simbolo della rinascita primaverile sono alcuni alberi ed alcuni fiori (quali viole e rose), citati nelle strofe dei canti, e con i quali i partecipanti si ornano. In particolare la pianta dell’ontano, che cresce lungo i corsi d’acqua, è considerata il simbolo della vita ed è per questo che è spesso presente nel rituale.

Francis Hayman (1708-1776), Le danze intorno al Palo di i Maggio

Anche a Firenze ogni anno (ma questo fa eccezione), si svolge la cosiddetta Fiorita: dopo una messa tenuta nella Cappella dei Priori in Palazzo Vecchio, si forma un corteo di frati domenicani e di cittadini, che scende in piazza per spargere petali di rose, tra rami di palme, sulla lapide circolare che ricorda il punto dove fu impiccato e arso Fra’ Girolamo Savonarola assieme ai suoi due confratelli Fra’ Domenico Buonvicini da Pescia e Fra’ Silvestro Maruffi da Firenze. Questa cerimonia prende origine dalla pietosa e spontanea iniziativa popolare che avvenne la mattina dopo la morte del predicatore, quando il luogo dell’esecuzione fu coperto di fiori.

Estratto tratto dal Libro “Per le Antiche Strade di Firenze” a cura di Barbara Chiarini, 2020 – Masso delle Fate
Henry Holliday, dipinto raffigurante l’incontro tra Dante e Beatrice – 1883

 

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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