L’indomabile
«La vita è troppo breve per avere dei nemici»
(Ayrton Senna)
Per tre volte è stato il più bravo di tutti ma poi un incidente mortale gli ha impedito di continuare a sfrecciare per i circuiti di Formula Uno. Ricorderò sempre quella domenica del 1 maggio 1994: alle 14.17 stavo guardando in televisione il Gran Premio di San Marino di Formula 1, terza gara del Mondiale di quella stagione da poco cominciata, che si correva sulla pista di Imola.
Purtroppo mi ero da poco sottoposta ad un intervento chirurgico e me ne stavo costretta in un letto di ospedale, anche piuttosto abbacchiata …. altrimenti sarei stata lì, ad Imola a presenziare! Sono sempre stata appassionata di automobilismo, una passione che mi è stata trasmessa quando ero piccola da un caro amico del mio nonno che io chiamavo (e ancora chiamo) con familiarità, zio.
Lo zio Franco, da sempre ferrarista, mi aveva convinta a tifare per la medesima scuderia ma, anche per quell’ anno sembrava già evidente che la squadra di Maranello fosse tagliata fuori dai giochi ed io avevo puntato gli occhi su quel giovane, un imprevedibile e avventato pilota di cui tutti parlavano, il giovane Ayrton Senna.
Ma torniamo a noi, alle 14.00 le telecamere iniziano a trasmettere la diretta con l’avvio della corsa: il gruppo di piloti scatta al via: il solito rumore assordante dei motori tirati al massimo, il fumo dei tubi di scappamento, i freni che inchiodano le auto all’asfalto alla prima curva dopo il rettilineo.
Si inizia a girare: tutto come al solito, anche se in questo Gran Premio niente sarà come al solito.
La safety car interviene: si riparte! Poi, improvvisamente arriva lo schianto … ed una giovane vita viene stroncata in un solo istante!
Un comunicato medico in tarda serata informa il pubblico che alle 18:40 di quel maledetto giorno, il cuore di Ayrton aveva cessato di battere.
Da allora, per gli appassionati di motori e di Formula 1, il weekend del 1 maggio 1994 sarà ricordato come il più tragico weekend sportivo di sempre.
Il weekend della morte di Ayrton Senna, il più grande pilota di tutti i tempi, come fu definito da molti fin da allora, come è considerato ancora oggi a venticinque anni di distanza dalla sua morte. Detto questo, nessuno intende certamente screditare altri miti della storia automobilistica quali Jim Clark, Juan Manuel Fangio, o Michael Schumacher.
La tragicità di quel fine settimana fu determinata da una serie di eventi incredibili e sfortunati, e la morte di Senna fu soltanto l’ultima e più clamorosa notizia.
È divenuto luogo comune dichiarare che in Italia non ci siano altri sport se non il calcio, ma in quel giorno e in molti altri a seguire, non si parlò altro che di lui, Ayrton e la notizia della sua morte stravolse completamente la gerarchia delle notizie e delle consuetudini.
Il 2 maggio, giorno in cui normalmente le edicole restano chiuse per via della festività precedente, diversi giornali andarono invece in stampa con un’edizione speciale e molte edicole aprirono fin dal mattino presto .
Per capire perché il weekend del 1 maggio 1994 ebbe un impatto così devastante per il mondo della Formula 1, conviene raccontarlo tutto, dall’inizio.
Le premesse del campionato di Formula 1 del 1994 lasciavano ipotizzare che la stagione avrebbe avuto un solo incontrastato protagonista: il pilota considerato il più forte di tutti, alla guida della vettura che era considerata la più veloce di tutte.
Il brasiliano Ayrton Senna aveva alle spalle due stagioni relativamente deludenti, sebbene McLaren fosse stata la scuderia che gli aveva fornito l’auto con cui aveva vinto già tre titoli mondiali (nel 1988, nel 1990 e nel 1991).
Infatti, gli anni 1992 e il 1993 si erano contraddistinti per l’enorme vantaggio tecnico accumulato dalle vetture della scuderia britannica Williams: l’inglese Nigel Mansell aveva vinto il suo primo e unico Mondiale nel 1992 ed il francese Alain Prost – storico avversario di Senna – si era ritirato dopo aver vinto il suo quarto e ultimo Mondiale nel 1993, lasciando di fatto il posto libero per Senna alla Williams .
Il 1994 si prospettava quindi un anno egregio, per l’accoppiata Senna – Williams ma, contrariamente ai pronostici, la stagione era cominciata molto male e Ayrton aveva da subito manifestato alcune difficoltà ad adattarsi alla nuova macchina, segnalando più volte la ristrettezza dell’abitacolo e l’instabilità della macchina in curva.
Le prime due gare erano state vinte da un giovane e promettente pilota tedesco di nome Michael Schumacher, che guidava Benetton. Il ragazzo si era già fatto notare nelle due stagioni precedenti, sia per essere molto veloce sia per essere abbastanza ambizioso e insolente: con Senna aveva già avuto modo di evidenziare alcune palesi incomprensioni in un paio di situazioni.
Schumacher aveva vinto i primi due Gran Premi del mondiale (in Brasile e in Giappone), mentre Senna si era ritirato in tutte e due le gare e quindi arrivava al Gran Premio di San Marino con 0 punti contro i 20 di Schumacher. Ma in pochi, tra gli addetti ai lavori, credevano che sarebbe continuata così: bisognava soltanto aspettare che Ayrton si adattasse alla nuova macchina e che la Williams la rendesse più guidabile: allora la storia del Mondiale sarebbe cambiata.
E a Imola cambiò, ma purtroppo in un altro senso.
Il 29 maggio, durante un giro nelle prove libere del venerdì (le prime che vengono effettuate durante il weekend dei Gran Premi), Rubens Barrichello alla guida di una Jordan, perse il controllo della macchina in una chicane: salendo su di un cordolo esterno la macchina, anziché perdere di accelerazione, decollò andandosi letteralmente a schiantare contro il filare delle gomme di protezione; la vettura si ribaltò due volte prima di fermarsi capovolta a bordo della pista.
La fortissima decelerazione ed i ripetuti urti subiti dal casco contro i bordi dell’abitacolo causarono a Barrichello la temporanea perdita dei sensi. Nonostante l’apparente gravità dell’incidente, Rubens se la cavò con una frattura parziale ad una costola e al naso: la prognosi dei medici fu comunque sufficiente per decidere di non farlo correre per il Gran Premio.
Poi accadde ancora di peggio. In quella fatidica stagione datata 1994, Roland Ratzenberger era un pilota austriaco di 33 anni alla sua prima stagione in Formula 1. Non era proprio giovanissimo, come esordiente ma si era fatto una certa esperienza in altre categorie e aveva partecipato diverse volte alla 24 Ore di Le Mans, una delle più celebri corse di durata per macchine Gran Turismo e Prototipo. Gli fu data la possibilità di guidare una vettura Simtek – una scuderia con ridottissime risorse economiche – con un contratto valido solamente per le prime cinque gare della stagione. Davvero in pochi conoscevano chi lui fosse ed in tutta franchezza potremmo dire che non fu mai più popolare di quanto lo divenne, sfortunatamente, quel venerdì 30 aprile 1994.
Durante le qualifiche del Gran Premio la Simtek di Ratzenberger perse aderenza in uno dei punti più veloci del circuito: il lungo rettilineo prima della Curva Villeneuve, un tratto che al tempo i piloti percorrevano Con le proprie vetture già a più di 300 chilometri orari. L’uscita di pista fu causata dalla rottura dell’alettone anteriore, che rese la macchina totalmente inguidabile: Ratzenberger non riuscì neppure a impostare la curva e si schiantò contro il muro. Quando la macchina si fermò in pista, semidistrutta e con il pilota ancora a bordo, la gravità dell’incidente fu subito chiara a tutti: le riprese televisive mostrarono il casco di ROlanda oscillare e poi arrestarsi senza alcun cenno di reazione. Alcune riprese mostrarono Senna che aveva raggiunto il luogo dell’incidente per assistere ai soccorsi, praticamente inutili perché l’impatto contro il muro aveva provocato a Ratzenberger una frattura mortale alla base cranica. Fu trasportato immediatamente all’Ospedale Maggiore di Bologna, dove morì pochi minuti più tardi.
Le qualifiche di quel maledetto weekend proseguirono e Senna, Senza fare altri giri, ottenne comunque la pole position, piazzandosi davanti a Michael Schumacher, in un clima che a quel punto era divenuto surreale. C’erano stati notevoli incidenti nel corso del decennio precedente, spesso gravissimi e spettacolari, ma di fatto erano 12 anni che un pilota di Formula 1 non moriva in pista durante un weekend di gara; gli ultimi due erano stati Gilles Villeneuve in Belgio e Riccardo Paletti in Canada, entrambi morti in incidenti durante il campionato del 1982. Per molti dei piloti della generazione del brasiliano e per quelli che correvano in quel sabato di fine aprile, fu la prima volta che qualcuno morì in pista.
Di fatto, arriviamo al giorno del Gran Premio, domenica 1 maggio 1994, appunto.
Generalmente, prima che la gara abbia inizio intercorre un po’ di tempo dal momento in cui i piloti si piazzano in griglia a quando, al segnale del semaforo, scatta il via. Sono i momenti in cui sul rettilineo principale c’è ancora un sacco di gente (meccanici, ingegneri, giornalisti, belle ragazze che reggono palette con i numeri delle macchine); pochi minuti per un ultimo scambio di parole tra piloti e tecnici riguardo la strategia oppure rilasciare una rapida intervista al giornalista di turno.
Quella domenica Ayrton Senna preferì non fare niente di tutto questo: rimase nell’abitacolo della sua vettura, senza casco, con gli occhi chiusi, cercando di concentrarsi prima della partenza .
Alle 14.00 la gara ebbe inizio ma ci fu subito un incidente: la Lotus guidata dal portoghese Pedro Lamy tamponò violentemente la Benetton di J.J. Lehto, rimasta ferma in griglia per un guasto. I piloti non si fecero male, ma alcuni spettatori rimasero feriti dai detriti volati fuori dalla pista.
Per fare proseguire la gara ci fu bisogno dell’ingresso in pista della safety car, (la macchina di sicurezza dietro cui i piloti devono accodarsi in situazioni di pericolo): c’era da spostare le macchine incidentate e ripulire la pista dai detriti, prima di poter ripartire normalmente.
La gara riprese quindi dopo cinque giri, percorsi dalle macchine dietro la safety car. Al sesto giro Senna segnò un giro veloce e sembrò poter distanziare la Benetton di Schumacher, che lo seguiva in seconda posizione.
Alle 14:17, nel corso del settimo giro, poco dopo aver tagliato il traguardo, la Williams di Ayrton tirò diritto mentre procedeva a piena velocità all’inizio della Curva del Tamburello, una curva che solitamente si affrontava in pieno, senza alzare il piede dall’acceleratore. Poi, inevitabile, lo schianto inevitabile contro il muro, a oltre 300 chilometri orari.
L’impatto fu violentissimo e quasi frontale: la macchina rimbalzò fermandosi vicino alla pista, semidistrutta ma con la cellula di sicurezza sostanzialmente integra. Durante la diretta le riprese televisive della macchina, ormai ferma, mostrarono il casco di Senna muoversi leggermente e poi non più.
La gara fu immediatamente interrotta: i soccorsi furono rapidissimi, anche stavolta. Medici e paramedici arrivarono dopo due minuti, estrassero il corpo di Senna dall’abitacolo della macchina e lo adagiarono per terra. Praticarono un intervento di rianimazione e una tracheotomia di urgenza; poi un elicottero atterrato in pista lo portò all’Ospedale Maggiore di Bologna poco prima delle 15.00. Il primo bollettino medico riferì di condizioni estremamente gravi e di un trauma cranico, un’insufficienza respiratoria e di uno shock emorragico.
La gara riprese e ad un certo punto ci fu un altro grave incidente, ai box: una ruota persa dalla Minardi di Michele Alboreto colpì alcuni meccanici, che rimasero feriti, non gravemente.
Alla fine di questa gara da incubo vinse Michael Schumacher, davanti alla Ferrari di Nicola Larini: sostituiva temporaneamente Jean Alesi, che aveva avuto un brutto incidente anche lui, durante alcuni test. Terzo arrivò il finlandese Mika Hakkinen sulla McLaren. Non ci furono festeggiamenti.
Più tardi, poco prima delle 19.00, giunse l’annuncio in diretta televisiva della morte del pilota brasiliano, avvenuta ufficialmente alle 18:40.
Ayrton Senna aveva 34 anni.
Un lungo processo, durato dal 1997 al 2005, stabilì che a causare l’incidente fu la rottura del piantone dello sterzo, ma ancora oggi le responsabilità e le cause dell’incidente sono oggetto di interminabili discussioni.
In seguito al tragico weekend di Imola del 1994 – e anche di un altro grave incidente occorso al pilota austriaco Karl Wendlinger nel Gran Premio seguente, a Montecarlo – la FIA stabilì una serie di modifiche immediate e profonde ai tracciati delle piste, ai motori (che furono depotenziati) e all’aerodinamica delle macchine, per migliorarne la sicurezza.
Mi sarebbe piaciuto concludere questo articolo scrivendo che dal 1° maggio 1994 ad oggi nessun altro pilota di Formula 1 sia morto in un incidente. Invece non è testo così: anche il giovanissimo Jules Bianchi, pilota francese della Marussia trovò la morte il 5 ottobre dell’anno 2015, durante il Gran Premio del Giappone a Suzuka, uscendo di pista e schiantandosi contro una gru.