L’ Arcadia del Pop
«…semplici emozioni si traducevano in musiche e parole costruite ad arte, canzoni che erano davvero molto più complesse di come suonavano. Bacharach le faceva apparire facili, ma non lo erano. Aveva spinto il songwriting verso nuove, eccitanti frontiere, con un uso innovativo di parole, ritmi e melodie»
(Robin Platts)
Nell’epoca dell’evoluzione tecnologica e della musica ascoltata con smartphones o lettori, troppo spesso le canzoni durano il tempo di una stagione, quando va bene.
Esistono invece dei classici che, anziché essere intaccati dal trascorrere del tempo, sono sempre più apprezzati anche da un pubblico giovane, dalle cosiddette nuove generazioni, tanto da essere riproposti ciclicamente con nuove covers anche da cantanti contemporanei.
Dunque adesso la domanda sorge spontanea; chi tra voi non conosce canzoni senza tempo come Walk on by, I say a little prayer, Raindrops keep falling on my head, The look of love, Close to you, What the world needs now oppure Magic moments?
Intedetemi, questo non vuole essere un elenco, ma un modo per ricordare alcune delle melodie immortali scritte da Burt Bacharach, scomparso l’8 febbraio del 2023, un vero esempio di songwriter, così come si usa dire all’americana.
Il risultato della sua brillantissima carriera sono stati ben 3 Oscar, 6 Grammy Awards ed innumerevoli dischi di platino e d’oro, con 48 brani nella Top 10, nove numeri 1 e oltre 500 composizioni. Il grande compositore e pianista americano, nel corso della sua lunga vita, seppe spaziare nella sua sessantennale esperienza , dal jazz al soul, dalla bossanova al pop classico ed ha saputo fonderli in uno stile sofisticato e inconfondibile.
Per capire l’impatto delle sue canzoni nella cultura popolare è sufficiente vedere una scena tratta dal gettonatissimo film Il matrimonio del mio migliore amico, nella quale l’attore Rupert Everett, trovandosi ad un tavolo di ristorante a festeggiare con un gruppo di amici, accenna alle prime parole di I say a little prayer: uno ad uno tutti i commensali ne interpretano a modo loro una piccola parte: alla fine, tutti coloro che sono ospiti del ristorante si ritrovano a cantare a squarciagola il ritornello e a battere le mani in un crescendo davvero emozionante.
E dite, a nessuno tra voi viene mai in mente quando piove, di associare quelle gocce cadenti ad una canzone memorabile come Raindrops keep falling on my head, tema principale del film Butch Cassidy, per il quale Bacharach vinse un meritatissimo Premio Oscar come migliore colonna sonora originale?
La grandezza della musica di Bacharach dischiude in sé arcane emozioni, grazie al suo tocco unico e inconfondibile, ma sempre molto easy. Non c’è musicista pop o rock o jazz che non si sia inchinato al suo talento. Eppure, per tanti anni, la sua musica raffinata suscitò pregiudizi e diffidenze. Soprattutto in passato, fu data una lettura troppo semplicistica delle composizioni di Bacharach, considerate da alcuni critici come musica da cocktail, niente più che un delizioso accompagnamento musicale, mentre ci si concede un drink.
Ma a mio vedere, questi non possono essere stati altro che dei giudizi superficiali: ritengo che, dietro ad un apparente allegria e leggerezza, in ogni suo brano si riesca a percepire, invece, l’umanità di una persona che il successo non dispensò certo dalla sofferenza, con tre matrimoni falliti alle spalle, un enorme dolore sofferto per la perdita dell’amata figlia Nikki morta suicida a quarant’anni, ed un lungo periodo d’oblio dal quale poi fortunatamente risorse, come ebbe a fare l’araba fenice.
Tutti aspetti poco noti della sua vita, raccontati invece dallo stesso Burt, a cuore aperto, nella biografia Anyone Who Had A Heart. My Life and Music, scritta a quattro mani con Robert Greenfield.
La fortuna di Bacharach fu anche quella di aver saputo creare degli ottimi sodalizi artistici, come quello con il suo paroliere Hal David (che ha saputo tradurre in parole le sue intenzioni melodiche), ma soprattutto quello con la cantante Dionne Warwick, con la quale istituì un legame artistico talmente forte e profondo da andare avanti ininterrottamente dal 1958 fino al 1973, dando vita ad un numero impressionante di hit, tra cui i capolavori Walk On By, Do You Know the Way to San Josè e la già rammmentata I Say a Little Prayer, canzoni davvero tanto amate ed apprezzate dal suo pubblico (me inclusa!)
Intorno ai primi anni Ottanta, una nuova collaborazione con Carole Bayer Sager portò il nostro compositore ad un miglioramento sia personale che musicale. I due collaborarono alla creazione di diversi grandi successi, tra cui Arthur’s Theme (Best That you can do) per la voce di Christopher Cross, Heartlight per Neil Diamond, Making Love per Roberta Flack, On My Own per Michael Mc Donald e Patty La Belle e forse, il più memorabile fra tutti That’s What’s friends are for del 1985, il singolo di enorme successo che riunì Bacharach con Dionne Warwick (i cui considerevoli profitti furono interamente devoluti per la ricerca sull’AIDS).Insomma, direi che è praticamente quasi impossibile citare qui tutti gli artisti che hanno intepretato le sue canzoni: potrei ancora aggiungere i Beatles in Baby, it’s you, Tom Jones in What’s new, pussycat? e Dusty Springfield in The look of love, ma prima o poi dovrò fermarmi perché l’elenco è veramente troppo lungo!
Particolarmente riuscito fu anche il sodalizio con Elvis Costello, coautore insieme a Bacharach dello splendido album Painted from memory, giustamente premiato con un Grammy Award nel 1998.
«Quando il pezzo decolla – sottolineò Costello – Burt ingrana una marcia in più. Il risultato è quel senso di dubbio, anche nelle sue canzoni più solari, che rende la sua musica senza tempo».
Nonostante l’incedere degli anni, nel 2005 scrisse insieme alla cantautrice e pianista jazz Chiara Civello, la canzone Trouble. Nel 2008, apparve al festival BBC Electric Proms alla Round House con la BBC Concert Orchestra ed è stato insignito del Premio Grammy alla carriera. E ancora, nel 2009 produsse la canzone Come in ogni ora della cantante soul italiana Karima e Something that Was Beautiful per il cantante Mario Biondi.
Bacharach seppe sempre unire nella sua musica più componenti, dal blues – jazz alla popular music, ampliando orizzonti e prospettive: insomma, il primo vero genio anomalo della musica pop, probabilmente un genio poco moderno e forse anche poco appariscente, poco loquace e poco rock; probabilmente anche un po’ troppo borghese perché potesse creare clamori in quell’America anni 50-60, infiammata dal nuovo credo del rock’n’roll.
Ma tutto questo è stato Burt Bacharach; l’uomo che, come fu confermato dalla critica: «…con il fruscio di un battito d’ali di farfalla, ha fatto atterrare sugli anni 60 i suoi capolavori e ha inondato il mondo occidentale con torrenti di lacrime di gioia, riuscendo nella più difficile delle alchimie. Perché dietro quei ritornelli zuccherosi, quelle orchestrazioni falsamente lievi e ottimistiche c’è il suono dei giovani cuori e delle anime vulnerabili, delle loro lacrime e delle loro risate, dell’amarezza, della realtà e del sollievo dei sogni, di chi vive in questo complicato, vertiginoso mondo moderno!»
E’ proprio vero: gli anni Sessanta sono ormai lontani, un nuovo secolo si è affacciato sulle nostre vite, ma io ritengo che nei testi di alcune sue canzoni si celi quello di cui ancora tutti i giovani del mondo hanno un assoluto bisogno:
«Lord, we don’t need another mountain, There are mountains and hillsides enough to climb, There are oceans and rivers enough to cross, Enough to last till the end of time».
Tratto da What the Word needs now