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La Fenice: un nome, un destino

Il 16 maggio è una data memorabile: nell’ormai lontanissimo XVIII secolo ( 1792) veniva inaugurato a Venezia il teatro de la Fenice.

La Fenice, incredibile ma vero: un nome, un destino.

Spesso nota anche con l’epiteto di araba fenice e chiamata anche uccello di fuoco, la fenice fu un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Gli antichi Egizi furono i primi a parlare del  Bennu (che poi nelle leggende greche divenne qualcosa di diverso), cioè la fenice.  In Egitto essa veniva solitamente raffigurata con la corona Atef o con l’emblema del disco solare ma,  in tutti gli altri miti, essa fu vista come un favoloso uccello sacro, simile ad un’ aquila reale, con un piumaggio dal colore splendido: il collo color dell’oro,  le piume del corpo rosse,  la coda  azzurra con penne rosee, le ali in parte d’oro ed in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume che le scivolano morbidamente giù dal capo e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata.

Il Gran Teatro La Fenice, l’interno

Il motto della fenice è «Post fatta resurgo»,  ovvero «Dopo la morte torno ad alzarmi».

Espressione della cultura illuministica e in questo osteggiato fin dalla sua progettazione, anche il massimo teatro veneziano che del medesimo nome si forgia, risorse infatti più volte dalle proprie ceneri, tenendo viva la memoria di oltre due secoli di storia della lirica, intrecciandola alle principali vicende della repubblica lagunare, dal regno sabaudo in poi.

Gli ultimi anni del XVIII secolo segnarono il definitivo tramonto della Serenissima Repubblica di Venezia: dopo sette secoli di storia, il governo oligarchico retto dal nuovo doge Ludovico Manin, sembrò divenire del tutto inerme di fronte alla spinta riformatrice che proveniva da Napoleone e da una Francia ormai in rivolta.

Anche la qualità di vita nella città risentì del poco polso di chi la governava e cominciò ad essere dilaniata da ripetuti scontri.

In questo scenario (già piuttosto movimentato), si inserì la proposta di costruire un nuovo teatro da parte della Nobile Società dei Palchettisti, la quale era stata  da poco tempo estromessa dalla gestione del Teatro San Benedetto. Questa decisione aveva spinto la medesima Società a rifarsi del torto subito progettando la costruzione di un nuovo edificio che fosse più grande di quello perduto: esso avrebbe preso il nome di Fenice, per sottolineare la rinascita della società dalle proprie vicissitudini.

Il bando di concorso pubblicato il 1° novembre 1789 preannunciava l’intenzione di dare con quest’opera un volto nuovo alla città, in contrapposizione alla parte più conservatrice. Per questo tra i ventotto concorrenti in gara, venne premiato l’architetto Giannantonio Selva, presentatosi con un progetto improntato ad una visione che potremmo definire quasi repubblicana di teatro (in quanto coincidente con gli ideali della rivoluzione francese) dove, insieme all’uguaglianza dei palchi (quindi escludendo dalla progettazione gli spazi cosiddetti privilegiati), si perseguiva anche  l’austerità di ogni sporta di ornamento.

Una linea in totale antitesi con quella rappresentata, per esempio, da Pietro Checchia, l’architetto sostenuto da buona parte dell’oligarchia veneziana,  per via del suo spirito conservatore.

Il Gran Teatro La Fenice, ubicato nel Sestiere di San Marco in campo San Fantin, è oggi il principale teatro lirico di Venezia, nonché uno dei più prestigiosi al mondo

I lavori ebbero il loro avvio nel mese di aprile dell’anno 1790, sotto la supervisione di Antonio Solari, in mezzo ad un mare di proteste: le polemiche non si arrestarono nemmeno dopo il rapido completamento dell’opera, inaugurata ufficialmente il 16 maggio di due anni dopo, con i I Giuochi d’Agrigento del conte Alessandro Pepoli. I detrattori puntarono il dito anche sui costi, che furono considerati enormemente lievitati rispetto alle previsioni di partenza.

Ciononostante, la Fenice entrò subito nel novero dei palcoscenici più prestigiosi dell’Europa ottocentesca, ospitando le “prime” di opere immortali della lirica italiana. Ad iniziare da quelle di Gioacchino Rossini, che qui mise in scena Tancredi, Sigismondo e Semiramide.

Dopo il Belisario di Gaetano Donizetti, accadde però l’irreparabile: la notte del 13 dicembre 1836, a causa di una stufa, si propagò un incendio di proporzioni vastissime che secondo le cronache del tempo durò tre giorni e tre notti.

Ricostruito a somiglianza dell’originale dagli architetti Tommaso e Giambattista Meduna, La Fenice riprese presto il suo ruolo nel panorama lirico internazionale, ospitando altre celebri prime, tra cui quelle del Rigoletto e de La Traviata (rispettivamente nel 1851 e 1853) di Giuseppe Verdi.

Per tutto il XX secolo il teatro assistette all’avvicendarsi di compositori del calibro di Pietro Mascagni, Igor Stravinskij e Sergej Prokof’ev.

Ma, a 160 anni di distanza una seconda catastrofe si abbatté  ancora una volta sul “massimo teatro” lagunare e stavolta gli effetti furono  ancora più distruttivi: la notte del 29 gennaio 1996, la follia criminale di due elettricisti (intenzionati a coprire i loro ritardi nei lavori), li spinse ad appiccare intenzionalmente un incendio che, una volta divampato,  rase al suolo l’intero edificio in una notte soltanto.

Otto anni dopo, grazie alla perseveranza dei veneziani nonché al sostegno dell’opinione pubblica nazionale, la Fenice tornò a nuova vita, ripresentandosi al pubblico nella sua veste storica.

L’evento fu celebrato il 14 dicembre 2003 con un  bellissimo concerto diretto dal grande maestro Riccardo Muti.

Lunga vita a La Fenice!

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Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

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