Accade oggi

E se gli esami non finissero mai?

«Ogni tentativo di dare alla vita un qualunque significato è Teatro»

(Eduardo De Filippo)

Gli esami non finiscono mai, è un modo di dire ormai diffuso nel nostro linguaggio corrente, a voler  sottolineare  quante siano  le prove che ciascuno di noi deve continuamente  affrontare nella vita. Oltre agli esami delle scuole, di ogni ordine e grado, atte a provare la nostra conoscenza di un argomento o la nostra idoneità a ricoprire un ruolo, abbiamo esperienza di esami di laboratorio, di  esami medici, di esami di coscienza; insomma la vita è, di fatto, un esame costante!

Eduardo De Filippo, drammaturgo, attore, regista, sceneggiatore e poeta italiano.

Gli esami non finiscono mai non è però soltanto una locuzione comune, è anche il titolo dell’ultima commedia messa in scena dal grande Eduardo de Filippo, di cui ricorre oggi il centoventiquattresimo anniversario della nascita (24 maggio 1900 – 31 ottobre 1984).

Quando il 19 dicembre 1973 Eduardo portò in debutto, sul palcoscenico del Teatro della Pergola a Firenze, l’intero campionario degli esami sostenuti dal suo protagonista Guglielmo Speranza, intese mostrarci come un uomo comune possa apparire sulla scena del mondo.  

Quando all’età di venticinque anni Guglielmo ottiene finalmente la sua sospirata laurea, esulta per aver ottenuto quel pezzo di carta senza il quale, come gli aveva sempre ripetuto il padre, per la società sarebbe stato solo un mazzo di scopa. 

Sente in se’ il senso della responsabilità, dell’impegno, della combattività, ma soprattutto è felice perché d’ora in avanti non dovrà più sostenere nessun esame: «Ragazzi, sono finiti gli esami! Non dovrò più dare esami!». 

Entusiasta del traguardo raggiunto, corre a casa della sua amata per chiederne la mano al padre, ma già in questa occasione è costretto a subire una sfilza di domande sempre più pressanti, come se fosse tornato sotto commissione: «Sappiate che la vostra posizione sarà da noi guardata al microscopio […] Voi in fondo, laureandovi, non avete fatto altro che impiantare una regolare contabilità con tanto di libro mastro, nel quale gli altri, non voi, si prenderanno la briga di segnare le entrate e le uscite».

Insomma, il giovane Speranza dovrà accorgersi fin da subito che gli esami veri incominciano soltanto dopo di aver conquistato la laurea e saranno quelli più difficili, perché riguarderanno il suo impegno di fidanzato, di professionista, di marito e di padre di famiglia, dove tutti – anche gli sconosciuti – si sentiranno in diritto di dire la propria in merito ai suoi pregi e difetti, agli obiettivi raggiunti e non, alla moralità del suo stile di vita e alle sue pecche. Infine non disdegneranno di salmodiare  sulla bontà delle sue azioni, sulla ragionevolezza dei suoi propositi, e via dicendo…

Guglielmo supererà comunque la prova del suocero: si sposerà, avrà due figli, un lavoro che gli assicurerà benessere e onori ma, nonostante il brillante esito di questi esami, la sua vita sarà infelice: avvelenata dall’invidia e dalla maldicenza del falso amico La Spina e dalla cattiveria della moglie che si  rivelerà essere una donnetta viziata e infedele, che crede di più alle sue stupide, pettegole amiche piuttosto che al marito che ha sempre peraltro contrastato in ogni cosa, ritenendolo un incapace e un sognatore. La scarsa considerazione che ha del marito è infine, condivisa anche dai due figli della coppia, di cui  le maldicenze  popolari  insinuano addirittura la paternità!

Non sorprende quindi che, a un certo punto, Guglielmo si rifugi nell’amore disinteressato e vero della giovane Bonaria, una donna di umili origini ma leale e genuina nei sentimenti e nei valori. 

Purtroppo, a causa delle tante maldicenze e delle innumerevoli cattiverie sparlate sul suo conto, la donna sarà costretta a lasciare il povero Guglielmo, che resterà di nuovo solo.

Ormai vecchio, il protagonista si chiuderà sempre di più al mondo, fingendo di essere ammalato e di non poter più parlare. Arrivato il momento della morte, Guglielmo sarà per un’ultima volta ingannato dai suoi familiari, i quali peraltro si mostreranno sinceramente ben lieti della sua dipartita.

L’attore mentre indossa una delle tre barbe

Il dramma teatrale (diviso in un prologo e tre atti in ognuno dei quali il protagonista indossa tre barbe diverse, nera, grigia e bianca, a simboleggiare le differenti età della sua vita), fu inserito  da De Filippo nel gruppo di opere Cantata dei giorni dispari, assieme ad altre commedie come Napoli milionaria! (1945) e Filumena Marturano (1946). 

Guglielmo Speranza, simbolo di un’umanità sognatrice e illusa, rappresenta un uomo qualunque che arriverà a  fingersi muto per protestare contro il conformismo dei benpensanti.

Il suo cognome non è certo casuale: Speranza, quale simbolo di un’umanità che, a prescindere dalle evidenti prove avverse, denota ancora un’anima sognatrice e illusa. Lo scontro con la realtà, le sue inevitabili mediazioni, i compromessi necessari alla vita di società conducono Guglielmo, alla fine della sua esistenza, ad un’accettazione silente, ma non per questo complice, di ciò che gli accade attorno. 

Anche chi vorrebbe apparire come un suo amico fidato, cioè Furio La Spina (anche qui il cognome non è scelto a caso) si rivela essere, nel corso degli anni, un istigatore di liti e un maldicente.

Quando Guglielmo non potrà  impedire che tre luminari lo visitino, i paroloni di cui è infarcita la loro diagnosi gli ricorderanno il burlesco sermone con cui fu festeggiato per la laurea dai colleghi. Questo lo divertirà moltissimo e, divertendosi, Guglielmo morirà (se non altro dopo essere riuscito a sottrarsi  ad un ultimo esame, tentato da un prete per recuperare la sua anima in extremis)!

Il finale della commedia è poi decisamente geniale: il sorriso amaro e ironico di Speranza, disteso sul letto in punto di morte, offre al pubblico la possibilità di leggere la sua dipartita  ciascuno secondo la propria indole, in chiave più ottimistica (la speranza può morire nella sua incarnazione, non nell’idea di essa) o pessimistica (nonostante tutto, la speranza alla fine muore e tace), in base al proprio carattere.

Il tema degli esami che non finiscono mai, per il protagonista della vicenda e per ciascuno di noi, è esemplificativo di una verità: l’intrusione costante del pregiudizio, della meschinità, del conformismo, dell’invidia, o anche soltanto di una curiosità morbosa nell’esistenza altrui. 

Eduardo de Filippo sembra abbia voluto dirci che siamo tutti sempre sul banco degli imputati, di fronte a persone che arbitrariamente assumono il ruolo di giudici: ce l’ha detto portando in teatro una vicenda che si svolge nell’arco di mezzo secolo, attorno alle infinite prove che il protagonista si trova a dover affrontare nel corso della sua vita, dal giorno della laurea fino alla morte.

E voi,  a che punto siete con i vostri esami?

Author Image
Barbara Chiarini

Barbara Chiarini nasce a Firenze nel 1967. Laureata in Architettura con indirizzo storico-restauro e conservazione dei Beni Architettonici, si ritiene un architetto per professione, una scrittrice per passione, ed una fiorentina D.O.C. Autrice del libro “Per le Antiche Strade di Firenze”, “Una finestra affacciata dull’Arno” e “Su e Giù per le strade di Firenze”, ella è anche la fondatrice nonche’ uno degli Amministratori di questo Blog.

0 0 votes
Voto all'articolo
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
Wordpress Social Share Plugin powered by Ultimatelysocial
WhatsApp